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“Preghiera alla madre” (1930) di Umberto Saba, la commovente poesia sull’amore filiale

“Preghiera alla madre” di Umberto Saba è una commovente poesia in cui l’autore cerca un modo per riconciliarsi alla figura materna, ormai scomparsa.

La mamma: la persona che ci ama di più sulla terra, senza volere nulla in cambio. A lei è dedicata questa struggente poesia di Umberto Saba che si intitola “Preghiera alla madre”. Scopriamola insieme.

“Preghiera alla madre” di Umberto Saba

Madre che ho fatto
soffrire
(cantava un merlo alla finestra, il giorno
abbassava, sì acuta era la pena
che morte a entrambi io mi invocavo)
madre
ieri in tomba obliata, oggi rinata
presenza,
che dal fondo dilaga quasi vena
d’ acqua, cui dura forza reprimeva,
e una mano le toglie abile o incauta
l’impedimento;
presaga gioia io sento
il tuo ritorno, madre mia che ho fatto,
come un buon figlio amoroso, soffrire.

Pacificata in me ripeti antichi
moniti vani. E il tuo soggiorno un verde
giardino io penso, ove con te riprendere
può a conversare l’ anima fanciulla,
inebriatasi del tuo mesto viso,
sì che l’ ali vi perda come al lume
una farfalla. È un sogno
un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungere
vorrei dove sei giunta, entrare dove
tu sei entrata
— ho tanta
gioia e tanta stanchezza! —
farmi, o madre,
come una macchia della terra nata,
che in sé la terra riassorbe ed annulla.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Preghiera alla madre”

“Preghiera alla madre” di Umberto Saba è una delle poesie più intense della sezione Cuor morituro (1925-1930) del suo Canzoniere, l’opera in cui il poeta triestino raccoglie e rielabora tutta la propria vicenda biografica e spirituale.

In questa lirica, Umberto Saba torna a un nodo fondamentale della sua esistenza: il rapporto doloroso con la madre.

Ma lo fa in una nuova luce, più pacificata, in cui la memoria e l’immaginazione si fondono per ricostruire un contatto oltre la morte. Il tono è di preghiera, come recita il titolo, ma anche di confessione e di abbandono, in un’invocazione che è al tempo stesso rimorso, desiderio e sogno.

Uno stile limpido e penetrante

Lo stile della poesia è semplice nella forma, ma estremamente profondo nel contenuto. Saba adotta un linguaggio piano, fatto di parole quotidiane e immagini nitide, ma le carica di un’intensità emotiva che colpisce il lettore.

Non ci sono rime né una struttura metrica rigida: la poesia si affida al ritmo del verso libero, che segue l’andamento dei pensieri e delle emozioni.

Le figure retoriche più forti sono le metafore, come quella dell’acqua che sgorga (“vena d’acqua”) o della farfalla attratta dalla luce (“sì che l’ali vi perda come al lume / una farfalla”), che trasmettono l’impeto della memoria e la fragilità del sentire.

Particolarmente significativa è la ripetizione del verbo “soffrire”, che apre e chiude il testo, racchiudendo il tutto in un cerchio di colpa e amore. La voce poetica si muove tra un passato segnato dal dolore e un presente di riconciliazione, sostenuta da un tono colloquiale e meditativo.

Il significato della poesia

Al centro della poesia c’è il rimorso del poeta per aver fatto soffrire la madre, e il tentativo struggente di ristabilire un legame con lei dopo la morte.

La madre, inizialmente evocata come figura lontana (“ieri in tomba obliata”), torna improvvisamente viva nella mente del poeta (“oggi rinata presenza”). La memoria la richiama, come se sgorgasse da una sorgente repressa a lungo (“dilaga quasi vena d’acqua”), e la sua voce risuona dentro di lui con gli “antichi moniti”, che un tempo erano inutili ma ora si caricano di senso.

La figura materna non è idealizzata: è reale, concreta, eppure trasfigurata da un dolore che diventa amore.

Questa presenza materna è accolta con una gioia commossa, ma anche con una profonda stanchezza. Saba vorrebbe raggiungerla, entrare dove lei è entrata, fondersi con la madre nella terra.

La poesia, così, si chiude su un’immagine di annullamento sereno: il desiderio di tornare alla terra come una “macchia” che viene assorbita, un’eco leopardiana che unisce la morte a una pace definitiva. È una morte desiderata non per disperazione, ma come ritorno all’origine, alla figura materna che ora appare come salvezza e consolazione.

“Preghiera alla madre” non è solo un tributo alla figura materna, ma anche un percorso interiore di riconciliazione e resa. La tensione tra colpa e amore si scioglie in un sogno dolente, in cui la morte non è fine, ma ricongiungimento.

In questo, la poesia diventa universale: parla al lettore di ogni tempo del bisogno profondo di perdono, dell’eco della voce materna che ci accompagna, e del desiderio di pace dopo una lunga fatica del cuore.

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