Una poesia di Antonio Machado svela la lezione del mare sul tempo e sulla vita

12 Agosto 2025

La poesia di Antonio Machado trasforma il mare in simbolo della vita e del tempo che scorre. Un canto che dona bellezza e consuma ogni cosa.

Una poesia di Antonio Machado svela la lezione del mare sul tempo e sulla vita

Il mare nella poesia di Antonio Machado diventa il simbolo delle fragilità umane rispetto alla forza dirompente, inesauribile del tempo che passa. Il poeta spagnolo non si limita a descrivere un paesaggio, ma trasforma il mare in simbolo assoluto della vita e della sua inesorabile azione di consumo.

Ogni essere umano porta impressi i segni del tempo. Non importa la forza, la bellezza o l’energia con cui affrontiamo il mondo: il fragore della vita, prima o poi, ci mette in ginocchio. È la legge della natura, che premia e logora allo stesso tempo.

La vita, come il mare, è movimento incessante, corrente che avanza e non si arresta. È una forza vitale che regala splendore, ma che, con la stessa potenza, corrode, scalfisce e trasforma tutto ciò che incontra. Nessuno può sottrarsi. L’usura è democratica, colpisce indistintamente ogni essere vivente, lasciando sulla pelle, nello spirito e nelle cose i segni del proprio passaggio.

La poesia che presentiamo è il XLIV componimento della raccolta Soledades (1899 – 1907), in italiano Solitudini, di Antonio Machado pubblicata per la prima volta nel 1903.

XLIV di Antonio Machado

Lo scafo corroso e verdastro
del vecchio veliero
giace sulla sabbia…
La vela ormai lacera sogna
ancora nel sole e nel mare.

Il mare canta e ribolle…
Il mare è un sogno sonoro
nel sole di aprile.
Il mare ride e ribolle
con onde azzurre e schiume di latte e d’argento,
il mare ride e ribolle
nel cielo azzurro.
Il mare di latte,
il mare di luce, che ride su lire d’argento le sue risa azzurre…
Ride e ribolle il mare!

E l’aria mi sembra che dorma stregata
nella fulgida nebbia del sole biancastro.
Il gabbiano vibra nell’aria dormiente,
e in un lento volo sonnolento,
si parte e si perde nella bruma del sole.

 

XLIV, Antonio Machado

El casco roído y verdoso
del viejo falucho
reposa en la arena…
La vela tronchada parece
que aún sueña en el sol y en el mar.

El mar hierve y canta…
El mar es un sueño sonoro
bajo el sol de abril.
El mar hierve y ríe
con olas azules y espumas de leche y de plata,
el mar hierve
y ríe bajo el cielo azul.
El mar lactescente,
el mar rutilante,
que ríe en sus liras de plata sus risas azules…
¡Hierve y ríe el mar!…

El aire parece que duerme encantado
en la fúlgida niebla de sol blanquecino.
La gaviota palpita en el aire dormido, y al lento
volar soñoliento, se aleja y se pierde en la bruma del sol.

Il mare come simbolo della fragilità e dell’usura della vita umana

Nella poesia XLIV, contenuta nella raccolta Soledades, Antonio Machado contrappone due immagini potenti. Da un lato, un vecchio “falucho”, un veliero corroso dal tempo e ridotto a relitto. Dall’altro, il mare, vigoroso e ridente, che non conosce stanchezza né cedimento. La vitalità della natura è un dono immenso, ma è anche una forza che consuma ogni cosa che vive e si muove al suo interno.

La barca corrosa, il mare che ribolle senza tregua e il gabbiano che lentamente scompare nella bruma luminosa sono tre fotogrammi della stessa legge universale. Il tempo avanza, e nel suo passaggio logora, modella e infine dissolve ogni esistenza. Eppure, in questa consapevolezza, non c’è solo malinconia. Machado sembra suggerire che la precarietà umana non è un difetto, ma la trama stessa della vita. Riconoscerla, accoglierla e trovare bellezza in ciò che, pur destinato a scomparire, ha saputo ardere di splendore, significa imparare a guardare il mare e la vita con occhi liberi dalla paura della fine.

Il Significato del XLIV poema di Solitudini 

La poesia di Antonio Machado si apre su un’immagine di abbandono e immobilità.

Lo scafo corroso e verdastro
del vecchio veliero
giace sulla sabbia…

Il veliero è ridotto a relitto, segno dell’azione lenta ma inesorabile del tempo e degli elementi. Il colore “verdastro” richiama alghe e incrostazioni marine, memoria visiva di una vita passata.

Machado continua offrendo un’immagine che rende evidente il logorio che il mare ha generato sul veliero.

La vela ormai lacera sogna
ancora nel sole e nel mare.

La vela, personificata, “sogna” ciò che ha perduto. Il passato resta vivo nella memoria, anche quando la materia è consumata: è un’immagine tenera e malinconica, che introduce il tema della nostalgia.

Dall’immobile e silenzioso relitto il poeta spagnolo sposta l’attenzione sul dinamismo del mare.

Il mare canta e ribolle…
Il mare è un sogno sonoro
nel sole di aprile.
Il mare ride e ribolle
con onde azzurre e schiume di latte e d’argento,
il mare ride e ribolle
nel cielo azzurro.
Il mare di latte,
il mare di luce, che ride su lire d’argento le sue risa azzurre…
Ride e ribolle il mare!

In questi versi Machado trasforma il mare in un essere vivo, quasi in un personaggio della scena. Non è un mare minaccioso o tempestoso, ma un’entità gioiosa, instancabile, che sembra celebrare la propria esistenza. “Canta e ribolle” è un modo poetico per dire che il mare è in continuo movimento, pieno di suoni: il frangersi delle onde, il mormorio dell’acqua, il ritmo costante che accompagna chi lo osserva.

Il definirlo “un sogno sonoro” sotto il sole di aprile aggiunge una dimensione di incanto: è un mare che non solo si vede e si sente, ma che avvolge come un sogno luminoso, fatto di luce primaverile e di suoni che sembrano musica. Le onde azzurre e le schiume “di latte e d’argento” creano una tavolozza brillante, dove il bianco spumoso si mescola ai riflessi metallici della luce.

Ripetere più volte che “ride e ribolle” rafforza l’idea di vitalità inesauribile: il mare non si stanca mai di muoversi e di ridere. È un riso naturale, che non deride ma celebra, come se l’acqua trovasse gioia semplicemente nell’essere sé stessa.

Quando Machado lo chiama “mare di latte” e “mare di luce”, eleva questa vitalità a qualcosa di quasi soprannaturale: l’acqua sembra nutriente come il latte e luminosa come il sole. La metafora delle “lire d’argento” trasforma il rumore delle onde in musica, e le “risa azzurre” sono la fusione perfetta tra colore e suono.

È come se in questi versi il mare fosse un artista che, con luce e movimento, compone la propria sinfonia: un’armonia senza fine, che continuerà a esistere ben oltre lo sguardo di chi la contempla.

Ancora una volta nell’ultima parte della poesia Antonio Machado cambia atmosfera.

E l’aria mi sembra che dorma stregata
nella fulgida nebbia del sole biancastro.
Il gabbiano vibra nell’aria dormiente,
e in un lento volo sonnolento,
si parte e si perde nella bruma del sole.

L’energia del moto ondoso si attenua e subentra una calma sospesa, quasi irreale. L’aria “che dorme stregata” suggerisce una quiete incantata: non è il semplice silenzio di una giornata tranquilla, ma una sorta di immobilità magica, come se il tempo si fosse rallentato. La “fulgida nebbia del sole biancastro” unisce due elementi apparentemente opposti — la luce e la velatura — creando un’atmosfera rarefatta, lattiginosa, in cui ogni contorno sembra sfumare.

In questo scenario entra il gabbiano, che “vibra” nell’aria dormiente: il verbo rompe per un attimo l’immobilità, facendo percepire il battito delle ali, un piccolo sussulto di vita in mezzo alla stasi. Ma il suo “lento volo sonnolento” non è un gesto di energia, bensì un movimento pigro, che accompagna l’atmosfera ipnotica del momento.

Il finale, “si parte e si perde nella bruma del sole”, è un’immagine di dissolvenza. Il gabbiano non scompare in un punto preciso, ma si fonde con la luce e la foschia, diventando parte di quell’orizzonte indistinto. È una chiusura che racchiude il tema centrale della poesia. Ogni cosa, anche ciò che si muove e vive, alla fine si disperde e si confonde nel grande respiro della tempo.

La lezione del mare di Antonio Machado

Il mare della poesia di Antonio Machado non si limita a incantare con la sua bellezza: insegna, in silenzio, qualcosa di essenziale. Nel suo canto perpetuo e nel suo continuo ribollire ci ricorda che la vita non si arresta per piangere ciò che perde, né trattiene ciò che si allontana. Ogni onda che si frange sulla riva porta con sé la fine di un viaggio e, nello stesso istante, l’inizio di un altro.

Machado sembra dirci che opporsi al tempo è inutile quanto voler fermare la marea. La vera sapienza sta nell’accogliere il ritmo naturale delle cose: riconoscere che esiste un momento per avanzare e un momento per dissolversi, come il gabbiano che svanisce nella bruma del sole. Il mare non teme questa alternanza, anzi, vive di essa: è il suo respiro, la sua legge.

C’è un invito implicito in questa visione: imparare a vivere senza aggrapparsi, ad amare ciò che è presente sapendo che un giorno cambierà forma. Così come il mare accoglie ogni fiume che lo raggiunge e lascia andare ogni goccia che evapora, anche noi possiamo imparare a dare e a lasciare andare con la stessa naturalezza.

La lezione del mare di Antonio Machado non è dunque una promessa di eternità per ciò che siamo, ma la certezza che il flusso continua, e che la nostra esistenza, pur destinata a trasformarsi, è parte di quel movimento senza fine. E in questo, forse, c’è la forma più alta di consolazione: sapere che, anche quando non ci saremo più, il mare continuerà a ridere sotto il sole.

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