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Carducci e la dolcezza della bella stagione in “Sogno d’estate”

La stagione più amata dell’anno è finalmente arrivata. Per l’occasione, condividiamo con voi “Sogno d’estate”, una meravigliosa lirica di Giosuè Carducci.

In occasione dell’arrivo dell’estate, vi proponiamo una poesia di Giosuè Carducci in cui la bellezza dei mesi più caldi dell’anno si fonde con la stagione della gioventù. Ecco “Sogno d’estate”, una meravigliosa lirica contenuta nella raccolta “Odi barbare”.

Sogno d’estate, la poesia di Giosuè Carducci

Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ‘l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ‘l Tirreno.
Sognai, placide cose de’ miei novelli anni sognai.
Non più libri: la stanza dal sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su ‘l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su ‘l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d’oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l’amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l’alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunziando Cristo tornante dimane a’ suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l’aure, pe’ rami, per l’acque,
correa la melodia spiritale di primavera;
ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fiori gialli e turchini ridea tutta l’erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de’ prati,
e molli d’auree ginestre si paravano i colli,
e un’aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giù dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardavo la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su ‘l poggio d’Arno fiorito
quella che dorme presso ne l’erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s’ancora ei spirassero l’aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passâr le care imagini, disparvero lievi co ‘l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l’opra de l’ago.

Dolci memorie estive

Tutto ha inizio in un’afosa giornata di estate, nello studio bolognese in cui Giosuè Carducci sta leggendo i suoi libri. Conciliato dal caldo e dalla spossatezza, il poeta scivola nel sonno, e subito si fanno strada reconditi ricordi di una lontana gioventù. È fanciullo in Maremma, in compagnia del fratello Dante, scomparso prematuramente, e dell’amata madre.

È probabile che se dovessimo individuare una sola parola per descrivere questo componimento, tutti sceglieremmo “dolcezza”. In “Sogno d’estate”, infatti, Giosuè Carducci si immerge nelle memorie della gioventù e ne riaffiora con dei versi stupendi, che parlano della vita del poeta ma anche di un sentire universale che è quello della nostalgia di giorni che sono stati vissuti e sono oramai confluiti in passato che ci appartiene ma a cui non apparteniamo più.

L’intera poesia è pervasa di una nostalgia dolce, potremmo dire serena, che ci culla attraverso suoni armoniosi e delicati e ci trasporta in luoghi lontani. Emozionanti i versi dedicati al compianto fratello ed estremamente suggestivi quelli in cui Carducci descrive il paesaggio tanto familiare della Maremma.

Ma forse, il momento più bello della lirica – composta in esametri latini – è quello del risveglio, quando Carducci realizza di essere a casa, nel suo luogo sicuro, in compagnia delle adorate figlie che riempiono la dimora e il cuore del poeta di amore e di gioia, di gratitudine per un presente che non lascia spazio al rammarico per ciò che è stato e non può più ritornare.

 

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