Per il Santo Natale (1809) di Giacomo Leopardi, geniale poesia scritta a soli 11 anni

19 Dicembre 2025

Scopri il lato inedito di Giacomo Leopardi: a soli 11 anni scrisse "Per il Santo Natale" pieno di gioia e speranza. Un capolavoro senza pessimismo.

Per il Santo Natale (1809) di Giacomo Leopardi, geniale poesia scritta a soli 11 anni

Giacomo Leopardi ha composto più di una poesia dedicata al Natale. In pochi, però, conoscono quella che vi proponiamo oggi: una canzonetta intitolata Per il Santo Natale che rivela una figura poetica ancora non contaminata dal pessimismo cosmico che accompagnerà l’opera del poeta nella successiva fase della sua vita.

I versi di questa poesia sono stati concepiti da un giovanissimo Leopardi, un ragazzetto di appena 11 anni che decise di impegnarsi a creare un componimento poetico per augurare buon Natale ai suoi genitori. La canzonetta dell’allora fanciullo di Recanati è un inno gioioso con cui il futuro grande poeta canta l’arrivo di Gesù Cristo sulla terra. Il tono è, naturalmente, molto diverso rispetto a ciò che siamo abituati ad associare all’autore: si avverte l’entusiasmo di un piccolo talento che si addentra nell’universo dei versi e delle rime con stupore e candore.

Scritta nel 1809, l’opera fa parte della vastissima produzione giovanile di Leopardi nota agli studiosi come Puerili. Trattandosi di scritti nati per occasioni familiari o esercizi scolastici, la loro storia editoriale è rimasta a lungo separata dai celebri Canti, venendo riscoperta solo in tempi più recenti grazie a edizioni critiche come quella curata da Maria Corti.

Leggiamo questa poesia di Giacomo Leopardi per scoprire il grande talento di uno dei più grandi poeti mondiali di tutti i tempi.

Per il Santo Natale di Giacomo Leopardi

Tacciano i venti tutti,
del mar si arrestino le acque,
Gesù, Gesù già nacque,
già nacque il Redentor.

Il Sommo Nume Eterno
scese dall’alto cielo,
il misterioso velo
già ruppe il Salvator.

Nascesti alfin nascesti,
pacifico Signore,
al mondo apportatore
d’alma felicità.

L’empia, funesta colpa,
giacque da te fiaccata,
gioisci, o avventurata,
felice umanità.

Sorgi, e solleva il capo
dal sonno tuo profondo;
il Redentor del mondo
ormai ti liberò.

No, più non senti il giogo
di servitù pesante,
son le catene infrante
da lui che ti salvò.

Gloria sia dunque al sommo,
Onnipossente Iddio,
guerra per sempre al rio
d’Averno abitator.

Dia lode e Cielo, e Terra,
al Redentor divino,
al sommo Re Bambino
di pace alto Signor.

Una “felice umanità” in cui la redenzione è libertà

Il cuore pulsante di questa canzonetta è il concetto di liberazione. Nonostante la giovane età, Leopardi non si limita a una banale descrizione della Natività, ma si concentra sull’effetto che questo evento ha sull’intera umanità. Il messaggio centrale è il passaggio dalle tenebre alla luce: la nascita di Gesù non è solo un fatto religioso, ma un atto di rottura che spezza le catene della “servitù pesante” della colpa.

In questi versi, Giacomo Leopardi esorta l’umanità a scuotersi dal suo “sonno profondo” per ritrovare una dignità perduta. È un messaggio di speranza assoluta, in cui il mondo è visto come un luogo che può finalmente aspirare a un’”alma felicità”. Curiosamente, il tema del giogo e delle catene che qui vengono infrante con gioia, tornerà nel Leopardi adulto sotto forma di riflessione filosofica sul peso inevitabile dell’esistenza umana, rendendo questo testo un primo, inconsapevole seme della sua futura poetica.

Un’opera di un piccolo genio

Per il Santo Natale è molto più di un esercizio infantile. È una poesia che mette in scena una fiducia radicale nella possibilità della felicità umana. Tutto ciò che nel Leopardi adulto diventerà tensione irrisolta, qui appare ancora composto: il dolore ha una risposta, la storia ha un senso, l’umanità può sollevare il capo.

Proprio per questo, la canzonetta commuove. Non per ingenuità, ma perché conserva la traccia di una speranza originaria. È il luogo in cui il genio leopardiano nasce come desiderio di felicità universale, prima di diventare interrogazione tragica. Una luce iniziale che continuerà a brillare, anche quando verrà messa in discussione.

Il silenzio cosmico come annuncio

Tacciano i venti tutti,
del mar si arrestino le acque,

L’apertura è solenne e teatrale. Leopardi utilizza una formula imperativa che richiama la tradizione biblica e innografica: la natura intera è chiamata al silenzio. Venti e mare, simboli di caos e movimento, vengono sospesi.
Il Natale, in questa visione infantile ma potentissima, è un evento che interrompe il ritmo ordinario del mondo. Prima ancora che religioso, è cosmico. La nascita di Cristo coincide con una pausa dell’universo, come se il tempo stesso trattenesse il respiro.

Gesù, Gesù già nacque,
già nacque il Redentor.

La ripetizione del nome ha valore emotivo e liturgico. È l’esclamazione di chi annuncia una gioia incontenibile. Il verbo al passato prossimo (“già nacque”) comunica immediatezza: l’evento è avvenuto ora, sta accadendo nel presente del canto. Il Natale non è memoria, ma presenza viva.

La rottura del velo

Il Sommo Nume Eterno
scese dall’alto cielo,
il misterioso velo
già ruppe il Salvator.

Qui il giovane Leopardi introduce un’immagine teologicamente densa: il “velo”. È il confine tra divino e umano, tra visibile e invisibile. La nascita di Cristo è interpretata come atto di rivelazione. Il mistero non viene spiegato, ma squarciato.
Colpisce la verticalità del movimento: dall’alto al basso, dal cielo alla terra. Il divino non resta distante, ma scende, si espone, entra nella storia.

La felicità come destino umano

Nascesti alfin nascesti,
pacifico Signore,
al mondo apportatore
d’alma felicità.

La ripetizione di “nascesti” accentua l’attesa finalmente compiuta. Il Cristo è definito “pacifico”, non potente o giudicante. La sua funzione è chiara: portare felicità all’anima.
Qui emerge un elemento sorprendente: la felicità non è rinviata all’aldilà. È una condizione possibile del mondo. Questo Leopardi bambino immagina un’esistenza umana riconciliata, pacificata, capace di senso.

La colpa sconfitta e la gioia collettiva

L’empia, funesta colpa,
giacque da te fiaccata,
gioisci, o avventurata,
felice umanità.

La colpa viene personificata e fisicamente “fiaccata”. È un linguaggio energico, quasi epico. La redenzione non è astratta: è una vittoria concreta.
E soprattutto, la gioia non è individuale. Leopardi parla a una “felice umanità”. La salvezza è collettiva, sociale, universale. Anche qui si intravede una precoce sensibilità etica: il bene riguarda tutti o non è tale.

Il risveglio dalla servitù

Sorgi, e solleva il capo
dal sonno tuo profondo;

L’umanità è descritta come addormentata, piegata. Il Natale è una chiamata al risveglio. Sollevare il capo significa riacquistare dignità.
Questa immagine anticipa, in forma luminosa, uno dei grandi temi leopardiani: la condizione umana come stato di oppressione. Qui, però, la liberazione è possibile e già avvenuta.

No, più non senti il giogo
di servitù pesante,
son le catene infrante
da lui che ti salvò.

Il lessico è forte, quasi politico: giogo, servitù, catene. Il Natale diventa una metafora di emancipazione. La redenzione è libertà.
È significativo che un bambino di undici anni utilizzi immagini così nette di oppressione e riscatto. La felicità non è ingenuità: è liberazione da un peso.

Il coro finale e la pace come orizzonte

Gloria sia dunque al sommo,
Onnipossente Iddio,
guerra per sempre al rio
d’Averno abitator.

Il finale assume la forma del canto corale. La guerra evocata non è storica, ma morale: è la sconfitta del male. Anche qui domina una visione ordinata del mondo, in cui il bene ha un posto chiaro e vincente.

al sommo Re Bambino
di pace alto Signor.

L’ossimoro “Re Bambino” racchiude l’essenza del Natale: potenza e fragilità insieme. E la pace è il suo titolo supremo. La poesia si chiude così come era iniziata: in una dimensione universale, armonica, riconciliata.

Tornare a credere in una felicità condivisa

Per il Santo Natale custodisce una verità che sorprende proprio perché nasce all’inizio di tutto. In questi versi non c’è ancora il Leopardi del disincanto, ma c’è già l’uomo che guarda l’umanità come un corpo unico, attraversato da un desiderio profondo di liberazione. La felicità, qui, non è un’illusione né una promessa ingannevole. È una possibilità storica, un orizzonte condiviso che prende forma nel momento in cui l’essere umano rialza il capo e si riconosce degno di pace.

Questa poesia mostra che il genio leopardiano non nasce dal pessimismo, ma dalla sua futura ferita. Prima di interrogare il dolore, Leopardi immagina una redenzione che coincide con la dignità, con la fine del giogo, con la rottura delle catene. Il Natale diventa così una metafora universale del risveglio: il momento in cui l’uomo esce dal sonno dell’abitudine e riscopre il senso della propria presenza nel mondo.

Riletta oggi, la canzonetta parla con una forza inattesa alla contemporaneità. In un tempo che fatica a credere nella felicità come esperienza collettiva, questa voce infantile ricorda che ogni civiltà nasce da un atto di fiducia.

Giacomo Leopardi, prima di diventare il poeta della disillusione, è stato il poeta della possibilità. E in questa luce iniziale si comprende meglio anche la profondità del suo percorso successivo: perché solo chi ha immaginato una “felice umanità” può sentire, più tardi, tutto il peso della sua perdita.

© Riproduzione Riservata