“Pace” è una poesia presente nella raccolta “Alcyone” (1903) che non celebra passioni divoranti e che si distingue nella produzione dannunziana per la serenità trasmessa attraverso la fusione di un ambiente rarefatto con delle figure mitologiche.
La sua forza risiede nella semplicità, nella descrizione sublime di un paesaggio toscano che si dipana in pochi versi, dove il mito e il reale sembrano diventare una sola cosa; ed ecco che l’Arno, le colline, la voce della cicala, si mescolano a figure classiche e rinascimentali, creando una sinfonia che attraversa i secoli e giunge fino a noi…
Il superuomo messo da parte, la voce segreta della natura in “Alcyone”
Spesso associato al mito del superuomo, alla ricerca di gloria e di dominio, Gabriele D’Annunzio mostra qui un nuovo volto: quello di un poeta che invoca la pace, che si lascia cullare dalla voce dei fiumi, dal fruscio delle colline e dal canto degli animali.
“Pace” di Gabriele D’Annunzio
Pace, pace! La bella Simonetta
adorna del fugace emerocàllide
vagola senza scorta per le pallide
ripe cantando nova ballatetta.Le colline s’incurvano leggiere
come le onde del vento nella sabbia
del mare e non fanno ombra, quasi d’aria.
L’Arno favella con la bianca ghiaia,recando alle Nereidi tirrene
il vel che vi bagnò forse la Grazia,
forse il velo onde fascia
la Grazia questa terra di Toscanaescita della casalinga lana
che fu l’arte sua prima.
Pace, pace! Richiama la tua rima
nel cor tuo come l’ape nel tuo bugno.Odi tenzon che in su l’estremo giugno
ha la cicala con la lodoletta!
La poesia si apre e si chiude con un grido di invocazione: “Pace, pace!”. Non si tratta solo di un appello, ma di una richiesta, un bisogno del poeta stesso. La pace che D’Annunzio cerca non è quella politica o sociale, bensì quella che deriva dal sentirsi parte di un ordine naturale.
Ogni elemento del componimento è teso a rafforzare questa sensazione: Simonetta che canta senza scorta, l’Arno che dialoga con la sua ghiaia, le colline che si piegano come onde leggere. La natura diventa organismo vivo, dotato di voce e movimento.
In questo contesto, il poeta non domina, ma ascolta. È un passaggio fondamentale, che segna l’anima stessa di “Alcyone”.
Analisi dei versi e delle immagini
La poesia si apre con l’immagine di Simonetta Vespucci, la musa di Botticelli, raffigurata nei suoi due dipinti più famosi: “La nascita di Venere” e “La Primavera”. Simonetta è simbolo di una bellezza ideale e allo stesso tempo eterna, che nei versi è “adorna del fugace emerocàllide”, un fiore paradossalmente scelto per la sua caratteristica di sbocciare e morire in un solo giorno — simbolo della transitorietà del bello e della vita.
Dunque è insieme figura reale e archetipo: incarna la femminilità rinascimentale e diventa tramite tra il mondo terreno e quello mitico. La sua leggerezza, mentre vaga cantando una ballata, esprime quella spontaneità che, per D’Annunzio, è la chiave della pace.
Le colline toscane sono protagoniste della seconda quartina. Si piegano “leggiere” come onde di sabbia: una figura retorica che trasforma il paesaggio in movimento attraverso due luoghi ancora — due paesaggi descritti dal poeta. La collina non è statica, ma viva, partecipe del ritmo cosmico. La similitudine col mare crea un effetto di fluidità: terra e acqua diventano intercambiabili, unite da un’unica corrente vitale.
Al temine della quartina si presenta l’Arno che lega la quartina a seguire, le Nereidi. È un fiume che “favella con la bianca ghiaia”, quasi fosse un essere animato; tutto, nella poesia “Pace” si muove ed è animato. Porta con sé un velo, che forse appartenne a una Grazia. È un’immagine di sacralità laica , dove la natura custodisce segreti divini. Ed ecco che l’Arno si fa ponte tra Toscana e mito greco: le Nereidi, ninfe del mare, ricevono un dono che unisce i due mondi. Una quartina potente, centrale e fondamentale.
Ma la parte più intima della poesia arriva quando il poeta invita sé stesso a richiamare la propria rima nel cuore, “come l’ape nel bugno”. L’immagine dell’ape è essenziale: la poesia è nettare, ma deve anche rientrare nell’animo per diventare miele, un alimento spirituale. È una metafora della poesia stessa, che non deve disperdersi, ma maturare dentro.
L’invocazione finale
L’ultima immagine è la più gioiosa: la tenzone tra la cicala e l’allodoletta. Non è una lotta, ma un gioco naturale, una sfida musicale che accompagna l’estate. La pace si realizza non nel silenzio assoluto, ma nell’armonia dei contrasti: la natura è un coro, e la poesia di D’Annunzio si fa sua eco.
Contesto storico e biografico
“Pace” appartiene alla raccolta “Alcyone” , pubblicata nel 1903, la terza raccolta delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi”.
In quel periodo, D’Annunzio viveva una stagione di grande notorietà, ma anche di inquietudini personali: dopo gli anni romani, con le avventure mondane e politiche, si rifugia in Toscana, dove trova nella natura una nuova fonte di ispirazione.
“Alcyone” rappresenta il vertice della sua poesia lirica: un’arte che non proclama, ma canta; che non domina, ma si dissolve nel paesaggio. È qui che il poeta abbraccia il panismo — la fusione con la natura —, che diventa esperienza sensuale e mistica al tempo stesso.
In un’Europa scossa da tensioni politiche e sociali, D’Annunzio offre in questo componimento un attimo di sospensione, una tregua che guarda indietro al Rinascimento e al mito classico come luoghi ideali di armonia.
La pace come ascolto
Oggi la poesia “Pace” ci parla con forza nuova. In un mondo dominato dalla violenza e dalla guerra, mentre tutto scorre senza poter essere fermato, i versi di D’Annunzio sembrano quasi un eco necessario e ci ricordano che la pace non è inerzia, ma ascolto : ascolto della natura, delle voci che ci circondano, del battito che risuona dentro l’essere umano.
La bellezza effimera di Simonetta, l’Arno che favella, le colline che respirano, il duetto tra cicala e allodoletta: tutto concorre a creare un microcosmo in cui l’uomo ritrova la propria misura.
Quella pacatezza di un mondo ideale che non a tutti è concesso, ma che sarebbe bello lo fosse.