“Orgoglio”, così Sibilla Aleramo mise in dubbio l’antica parola

11 Agosto 2025

Scopri il significato profondo di “Orgoglio” di Sibilla Aleramo, una poesia intensa che intreccia immagini di neve e memoria.

"Orgoglio", così Sibilla Aleramo mise in dubbio l'antica parola

La poesia “Orgoglio” di Sibilla Aleramo, scrittrice e poetessa che ha segnato il Novecento italiano come figura centrale del femminismo, mette in scena il ritorno di un sentimento che la voce poetica aveva “scordato” — e lo capiamo dall’ultimo verso.

È un testo breve, ma densissimo di simboli e suggestioni: dove l’orgoglio appare dapprima come “antica parola” dimenticata e poi riaffiorata. Ma non è soltanto un vocabolo, bensì un sentimento, un tratto interiore, una forza che non è né positiva e neppure negativa. L’orgoglio della poesia è un elemento freddo, distante, capace di posarsi su “cime di neve” (V. 3) e di guardare da lontano, con diffidenza.

L’ambientazione poetica è di fatto quella di un paesaggio lattescente, rarefatto: ci sono neve, nubi, cime, biancore. Uno scenario sospeso, che richiama il paesaggio mentale di una persona in ricerca, lontana dalla concretezza della vita quotidiana. In questo spazio di gelo e luce diffusa, “orgoglio” diventa una presenza dubbiosa, quasi fisica, non del tutto desiderata.

“Orgoglio” di Sibilla Aleramo

L’antica parola che m’ero scordata
viene dubbiosa da nubi portata.
Orgoglio. Su cime di neve si posa,
su fresca neve vertiginosa.
E le nubi fan rime fra loro fra loro,
più non v’è pianoro se non di opache rime.
Orgoglio. Dubbiosa tra neve e biancore
di nubi di nubi mi guata.
Oh squallida, oh non fatta per il mio cuore
l’antica parola che m’ero scordata

È come se Sibilla Aleramo interrogasse sé stessa: quell’orgoglio, un tempo necessario per difendersi, è ancora utile? O è diventato un peso, una barriera che separa dal calore umano? La ripetizione di “dubbiosa” (V. 2 / V. 7) sottolinea l’ambiguità: orgoglio come difesa o come isolamento? Forza o sterilità affettiva?

Alcuni passaggi chiave

L’apertura introduce subito la dimensione della memoria: “L’antica parola che m’ero scordata / viene dubbiosa da nubi portata.”

È qui che troviamo “l’antica parola”. Non è spiegata subito la sua denominazione, viene detto che un tempo esisteva e aveva un nome.

Aleramo crea così una suspense poetica… E, quando finalmente appare, “orgoglio” nel paesaggio freddo e irreale, come da favola, circondato dalle “cime di neve”, “fresca neve vertiginosa”. La verticalità delle immagini suggerisce distanza, isolamento, equilibrio precario. È così che si comprende subito che era proprio l’orgoglio quell’antica parola.

Il finale è netto: “Oh squallida, oh non fatta per il mio cuore / l’antica parola che m’ero scordata!”

Qui la voce poetica non accoglie l’orgoglio, ma lo respinge. È un sentimento che, pur riapparendo, viene giudicato incompatibile con la propria sensibilità. È come se la vita avesse insegnato che certe corazze, pur necessarie in un’epoca di ferite, non proteggono più: diventano muri.

Il contesto storico e letterario

Negli anni in cui compone testi come “Orgoglio”, Sibilla Aleramo vive in un’Italia segnata dal Ventennio fascista, un contesto in cui il ruolo femminile era rigidamente confinato alla sfera domestica. Per una donna indipendente, separata e intellettualmente libera, l’orgoglio non era solo un sentimento personale, ma una necessità di sopravvivenza.

Aleramo, nota per il suo romanzo “Una donna” (1906), era stata tra le prime in Italia a denunciare pubblicamente il matrimonio coatto, la violenza domestica e la mancanza di diritti per le donne. La sua figura era guardata con sospetto tanto dal regime quanto da parte dell’ambiente culturale maschile, che spesso tollerava le intellettuali solo se conformi a un ideale musa e non di donna autonoma.

L’orgoglio, in questa prospettiva, diventa il simbolo della resistenza di un’identità femminile che rifiuta di piegarsi. Ma, nella maturità, Sibilla Aleramo sembra interrogarsi: si può vivere senza abbassare mai le difese? O questo finisce per impedire anche l’intimità più autentica? Che cosa ho perso nel mio tanto orgoglio?

L’orgoglio nella sua vita privata

Oltre al lato pubblico, l’orgoglio di Aleramo fu messo alla prova nelle sue relazioni personali. I suoi legami sentimentali — intensi, spesso passionali e tempestosi — con figure come Dino Campana o Giovanni Cena, furono sempre segnati da tensioni legate alla sua libertà. La sua indipendenza, spesso confusa con freddezza o egoismo, era per lei una conquista e una condanna.

In “Orgoglio”, l’immagine della “neve” e delle “cime” potrebbe alludere a questa condizione: la consapevolezza di essere arrivata a una vetta di autonomia, ma al prezzo di un paesaggio emotivo rarefatto. Il cuore, dice la poesia, non è “fatto” per quel tipo di orgoglio: eppure, senza di esso, l’esperienza le aveva insegnato che il rischio era la vulnerabilità estrema.

Il paesaggio simbolico

Il biancore della neve, la rarefazione delle nubi, la verticalità delle cime: sono immagini che evocano purezza ma anche solitudine. La neve “vertiginosa” unisce la bellezza e il pericolo, mentre le “opache rime” chiudono lo spazio, trasformando il paesaggio in un labirinto sonoro.

Questa estetica del bianco e del gelo dialoga con altre correnti poetiche europee del primo Novecento, dove la natura diventa proiezione dell’interiorità. In “Orgoglio”, il paesaggio non descrive solo un luogo fisico, ma uno stato mentale: un altopiano emotivo in cui l’aria è rarefatta e i contatti umani difficili.

“Non ho bisogno di nessuno”

In un’epoca in cui l’affermazione personale è spesso legata all’idea di “non aver bisogno di nessuno”, Sibilla Aleramo ricorda che la forza non sta solo nell’ergere muri, ma anche nel sapere quando abbassarli.

L’“antica parola” non è un valore assoluto: può essere una risorsa, ma anche una prigione: è su questo che medita la poesia; e il coraggio sta, a volte, nel riconoscere che un sentimento tanto duro non è fatto per essere mantenuto a lungo e senza necessità.

In queste poche righe, Aleramo ci consegna la sua personale riflessione: l’orgoglio può essere necessario, ma il cuore — per restare vivo — deve saperlo lasciare andare.

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