In pochi sono stati capaci di raccontare l’umanità con la profondità e l’ironia che ha usato Wislawa Szymborska. In questa poesia, intitolata “Numero sbagliato”, l’autrice polacca ci fa immergere in una scena surreale, in cui il mistero e l’ironia veicolano un importante insegnamento di vita: sbagliare è umano, umanissimo. E va bene, perché significa che stiamo tentando, che stiamo vivendo.
“Numero sbagliato” di Wislawa Szymborska
Nella pinacoteca squillò il telefono,
squillò a mezzanotte tra i quadri alle pareti;
poteva svegliare i dormienti, se c’erano,
ma qui abitano solo insonni profeti,
soltanto re sbiancano al chiarore lunare,
del tutto indifferenti a quel che c’è da guardare
e, vivace all’aspetto, la moglie del notaio
osserva l’aggeggio che squilla sul caminetto,
ma no, non mette via il suo bel ventaglio,
come gli altri resta appesa, colta sul non fatto.Superbamente assenti, con ricche vesti o senza,
trattano quell’allarme con noncuranza,
e in essa c’è, lo giuro, assai più humour nero
che se dalla cornice scendesse un condottiero
(a cui solo il silenzio fa fischiare le orecchie).E il fatto che qualcuno continui a richiamare,
provando in buona fede all’apparecchio
un numero inesatto? È vivo, e può sbagliare.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Numero sbagliato”
“Numero sbagliato” fa parte di “Ogni caso”, raccolta pubblicata nel 1972 con il titolo originale “Wszelki wypadek”. Questa, come le altre raccolte dell’autrice, in Italia sono disponibili nel volume di Adelphi che riunisce l’opera omnia di Szymborska. Si intitola “La gioia di scrivere”, con testo originale a fronte e traduzione curata da Laura Rescio.
La forma, l’ironia, il surreale
“Numero sbagliato” di Wislawa Szymborska si sviluppa come una scena surreale e ironica, in cui un telefono squilla nel cuore della notte in una pinacoteca.
Il tono leggero e al contempo inquietante crea un’atmosfera sospesa tra realtà e immaginazione. Lo stile della poetessa si distingue per un uso raffinato delle immagini e per un ritmo quasi narrativo, che accompagna il lettore in questo piccolo mistero.
Dal punto di vista retorico, spicca l’uso dell’antropomorfizzazione, con i personaggi dipinti che assumono atteggiamenti umani: i re “sbiancano” al chiarore lunare, la moglie del notaio osserva il telefono, ma nessuno reagisce davvero.
Szymborska si serve anche della personificazione dell’oggetto: il telefono che squilla ripetutamente diventa un elemento di disturbo, un intruso nella dimensione immobile e fuori dal tempo del museo. Il contrasto tra la fissità dei quadri e il suono insistente dell’apparecchio crea un effetto ironico, amplificato dall’uso del paradosso: mentre il telefono rappresenta un ponte con la realtà viva, i personaggi dipinti sembrano più “assenti” di quanto non sarebbe un vero uomo.
Infine, il tono beffardo è sottolineato dall’ossimoro “humour nero”, che rafforza il senso di assurdo e l’ambiguità dell’intera scena.
Fra realtà e rappresentazione
A livello tematico, la poesia gioca sulla contrapposizione tra vita e immobilità, tra realtà e rappresentazione.
Il telefono che squilla rappresenta il mondo dei vivi, il presente che cerca di irrompere in uno spazio fuori dal tempo, popolato da figure immobili, quasi eterne. Ma questi personaggi, pur essendo “fermi” nelle loro pose, sembrano possedere una consapevolezza tutta loro, un distacco che li rende, in un certo senso, superiori al trambusto del quotidiano.
Non reagiscono perché, ormai, non appartengono più alla dimensione dell’errore, dell’incertezza, della vita vera.
Sbagliare è umano. Sbagliare è vita
L’ultima strofa introduce il vero nucleo del messaggio: l’errore umano. Chi chiama ripetutamente sta cercando di comunicare, ma sbaglia numero.
Eppure, proprio questo sbaglio diventa la prova che è vivo, che è parte del mondo reale, dove si può fallire, insistere, correggersi. Il contrasto con la staticità delle figure dipinte è evidente: loro sono perfette, intoccabili, ma proprio per questo non più umane.
Con una semplicità solo apparente, Szymborska ci ricorda che vivere significa anche sbagliare, e che l’errore – per quanto banale, per quanto fastidioso – è una conferma della nostra esistenza.