Novembre di Vincenzo Cardarelli è una poesia che racconta l’imprevedibilità della condizione umana attraverso l’immersione nel contesto naturale dell’undicesimo mese dell’anno. Il poeta di Tarquinia (Viterbo) ci offre con i suoi versi la sinfonia della natura. Ogni cosa nella poesia sembra svolgersi con la massima armonia, ma lasciando una variabile aperta pronta a mettere tutto in discussione.
Ma seguendo la poesia di Vincenzo Cardarelli la speranza non è ancora persa, il sole seppur freddo può aiutare ad offrire quella vita che l’autunno inoltrato sempre definitivamente spegnere con l’arrivo del buio e delle ombre dell’inverno.
Ma, leggiamo la poesia di Vincenzo Cardarelli per cercare di carpirne il profondo e intenso significato.
“Novembre” di Vincenzo Cardarelli
C’è un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l’invernata.
Sopraggiungono, di lì a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d’acacia
che piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.
Il significato della poesia
Novembre di Vincenzo Cardarelli sembra seguire il percorso temporale di un’altra poesia del 1931 del poeta laziale, Autunno, in cui l’arrivo della stagione che precede l’inverno viene rappresentata metaforicamente come l’anticamera della fine della vita dell’uomo.
Novembre inizia in un momento che il poeta sembra voler fissare nel racconto della sua poesia. “Il giorno in le formiche escono dal bosco per fare il fascio per l’invernata”. Sembra di vedere l’esercito di migliaia di piccoli insetti lavoratori sbrigarsi a fare le provviste per poter superare l’inverno.
La metafora delle formiche, seguendo il pensiero dell’autore, è quella degli umani che dedicano tutta la loro vita cercando le “risorse” per potere affrontare la parte finale della vita.
Ma, “novembre” porta inevitabilmente “lunghe piogge autunnali, simili a un gran pianto dirotto, interminabile”. È chiaro che continuando con i simboli, l’arrivo delle piogge segnano la fine della vita operosa degli umani e la relativa parte finale dell’esistenza.
Nella seconda strofa, Vincenzo Cardarelli descrive perfettamente la parte finale della vita umana, attraverso la pioggia, appunto che come “un pianto ininterrotto” fa straripare i bacini d’acqua invadendo ogni cosa. “Dilaga per i campi ostinatamente verdi” afferma il poeta a voler indicare l’ostinata reazione umana, che non si rende conto che l’inverno sta per arrivare e la fine di tutto sta dietro l’angolo.
“I muri si ricoprono di vellutina.” Sono i segni indelebili del tempo che le sofferenze che gli umani incontrano finiscono per farsi sentire e diventare evidenti.
Ma, Cardarellli ci offre un effetto a sorpresa.
Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina
Quando, la fine sembra segnata, la pioggia ha lasciato i suoi effetti distruttivi, può arrivare qualcosa di magico che può aiutarci a risvegliare la speranza e a prendere coscienza che la fine seppur vicina ci lascia ancora tempo preziosissimo, che va tutelato come la cosa più importante.
Ma, quel tocco di sole può essere anche considerato, seguendo i versi finali della poesia, come la luce del passaggio degli umani ad una nuova vita, fuori dal mondo conosciuto prima e magari migliore.
Possiamo ancora leggere l’alternarsi pioggia/sole, quale metafora in cui ad ogni periodo negativo, che porta danni e rovine, segue sempre, spesso inaspettatamente, un prezioso momento di positività, capace di ridare speranza e prospettive di ripartenza.
Anche se siamo convinti che le “foglie gialle d’acacia che piovono ancora sui davanzali” e le “foglie secche dei platani che il vento trascina lungo i viali”, definiscono che la fine è arrivata e bisogna guardare a quel sole gelido con la dovuta speranza, che magari la rinascita possa esserci e che la vita possa continuare.
La poetica di Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli è stato un importante testimone della “restaurazione classicistica” che negli anni Venti e Trenta seguì ai fermenti innovativi del primo Novecento. La sua è una poesia descrittiva e lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi, animali, persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
L’esperienza poetica di Cardarelli si pone a cavallo tra l’avanguardia degli anni dieci e la restaurazione degli anni venti. Se in un primo momento è evidente nelle sue opere la caratteristiche tipiche dell’avanguardia, successivamente se ne distacca, rigettando ogni trasgressione espressiva.
La collaborazione alla rivista “La Voce” rappresenta il momento in cui l’autore si avvicinò al clima avanguardistico, del resto le opere di quegli anni rivelano non pochi influssi riconducibili all’alveo dell’avanguardia: espressionismo linguistico, frammentismo, temi come lo sradicamento, il viaggio, l’adolescenza, la perdita di identità.
Nella poesia di Vincenzo Cardarelli sono individuabili due tendenze opposte: una pulsione trasgressiva e una volontà di autocontrollo. A prevalere è generalmente la seconda, che comporta l’accentuazione della compostezza formale senza però far venire meno l’elemento di derivazione avanguardistica.
Il ritorno all’ordine che si attesta a partire dagli anni Venti porta l’autrore a una ricerca costante di compostezza, di tono colloquiale e di atteggiamento ragionativo e distaccato.