Novembre di Vincenzo Cardarelli è una poesia che racconta l’imprevedibilità della condizione umana attraverso l’immersione nel contesto naturale dell’undicesimo mese dell’anno. È un racconto dell’animo umano, un invito a prepararsi ai periodi più difficili e a trovare la forza di sapere resistere quando tutto sembra finire.
Il poeta di Tarquinia trasporta il lettore in un paesaggio naturale dove ogni cosa sembra armoniosa e destinata al compimento. Ma, come accade nella vita, dietro quell’equilibrio si nasconde sempre una variabile imprevista, pronta a mettere tutto in discussione.
Nel freddo e nella malinconia del mese di novembre, Cardarelli trova il simbolo perfetto della condizione umana. La necessità di affrontare non soltanto la parte matura della vita, ma, soprattutto, i momenti bui con coraggio, lucidità e consapevolezza.
E proprio quando l’ombra sembra vincere, la poesia mostra un raggio di luce, un “sole freddoloso”, più prezioso dell’oro vecchio, che torna a ricordare che la speranza, se coltivata, non muore mai.
Novembre fa parte della raccolta di poesie Poesie nuove di Vincenzo Cardarelli nuove, edito da Neri Pozza per la prima volta nel 1946. È possibile trovare anche la poesia in Opere Complete, pubblicata da Mondadori nel 1962.
Ma, leggiamo la poesia di Vincenzo Cardarelli per cercare di carpirne il profondo e intenso significato.
Novembre di Vincenzo Cardarelli
C’è un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l’invernata.
Sopraggiungono, di lì a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d’acacia
che piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.
Il significato della poesia
Novembre è una poesia di Vincenzo Cardarelli che sposta il fuoco dalla descrizione stagionale a una profonda metafora della condizione umana. La poesia diventa un’allegoria della forza di saper resistere di fronte ai momenti bui dell’esistenza, che si tratti della tarda età o di qualsiasi crisi capace di incrinare l’armonia interiore.
In quest’ottica, Novembre non è solo un quadro d’autunno, ma una guida per incontrare la vita “nel modo più giusto”, con consapevolezza, misura e fiducia. È una riflessione sulla preparazione, sull’attesa e sulla rinascita, in cui ogni immagine naturale diventa un atto umano di resistenza.
Vincenzo Cardarelli sembra, come nel suo stile, dare un quadro temporale sul come bisogna affrontare la vita. Il penultimo mese dell’anno con le sue caratteristiche lo aiuta a decifrare come affrontare e resistere alle insidie che la vita presenta.
Il prevenire e la metafora delle formiche
Il primo atto di resistenza non è la lotta, secondo il poeta ma la capacità di saper prevenire.
C’è un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l’invernata.
Le “formiche” non negano l’arrivo dell’inverno, ma si preparano con calma, senza panico. È l’immagine della saggezza di chi sa che la serenità si costruisce prima della tempesta.
Umanamente, questo significa “fare il fascio” delle proprie risorse interiori, ovvero curare affetti, memorie, energie spirituali che serviranno nei giorni più difficili. È un atto di responsabilità verso la propria sopravvivenza emotiva. Rappresenta la scelta di non farsi trovare impreparati dal dolore, dalle difficoltà, dalle insidie tipiche della vita.
Il momento in cui la crisi arriva, come le piogge di novembre
Nella stessa strofa della poesia arrivano le lunghe piogge autunnali. Le piogge annunciano l’arrivo della crisi nella sua fase più acuta.
Sopraggiungono, di lì a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.
Il “pianto interminabile” rappresenta la disperazione, la sensazione di essere travolti da un dolore che non avrà mai fine
È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
Quando la tempesta arriva nell’esistenza la disperazione appare senza fine. Le lacrime come la pioggia non finiscono mai, “sgorga a fiumi, a torrenti”.
È una scena che in tanti purtoppo hanno vissuto e non sembra esserci via di uscita.
“Rovina i ponti”, ovvero spezza i legami, distrugge i riferimenti. Eppure la forza non sta nel negare la pioggia, ma nel saperla attraversare.
Resistere significa accettare la tempesta come parte del viaggio, riconoscere che anche il dolore ha un tempo, e che la sua durata non coincide con la nostra fine.
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.
Nonostante la furia dell’acqua, i campi restano “ostinatamente verdi”, la vita continua, si ostina a reagire alla tempesta. Questa è la tenacia pura, la forza che non grida, ma insiste.
Non è eroismo, è una forma di fede naturale, una forza biologica che si oppone alla resa. Anche quando l’anima è ferita, esce fuori qualcosa che resta vivo e tiene, silenziosamente, nel flusso della vita.
Ma, la “vellutina sui muri” lascia i segni delle ferite subite, dei torti avuti, del male subito. La crisi lascia sempre un segno. Non si esce illesi da un “novembre dell’anima”. La “vellutina”, il muschio che cresce sui muri, è la traccia del passaggio del tempo e dell’umidità.
La disperazione nasce dal rimpianto per come si era prima. La forza, invece, è accettare la trasformazione. Le cicatrici, come la vellutina, non sono vergogna ma testimonianza: mostrano che la naturale resistenza umana. Sono il modo in cui la vita scrive sulla pelle la sua continuità.
L’atto della resistenza che permette di reagire
Ma quando tutto sembra non lasciare alla speranza, accade sempre qualcosa di meraviglioso.
Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina…
È il momento della grazia. La speranza non si impone, arriva “quando più nessuno se l’aspetta”. È il dono che riceve chi ha saputo restare aperto, anche nel dolore.
Quel sole non scalda come in primavera, ma illumina. È “freddoloso”, fragile, e proprio per questo autentico. È la luce guadagnata, non quella ricevuta.
Dopo il buio, ogni piccolo chiarore diventa sacro. È la pace che segue alla consapevolezza.
La vera forza è lasciare scorrere il rancore, la rabbia come le foglie ingiallite al vento
a trovare le foglie gialle d’acacia
che piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.
Il sole torna, ma la caduta non si arresta. Le foglie secche continuano a staccarsi. Se la “vellutina” era il segno che la crisi lascia sulle ferite umane (la cicatrice), le “foglie ingiallite” sono le scorie che la crisi lascia dentro gli umani: i rancori accumulati, la rabbia, il peso inutile del dolore passato.
La forza di saper resistere non è solo aggrapparsi alla vita, ma anche avere il coraggio di fare pulizia. Non bisogna aggrapparsi a ciò che si è perso, ma si deve essere “bravi a lasciare andare” attivamente queste scorie.
Il vento che “trascina lungo i viali” non è più solo un nemico, ma un alleato. È l’immagine del tempo, o della volontà, che spazza via i rancori. Lasciarli sui davanzali significherebbe farli marcire, impedendo alla luce del “sole freddoloso” di illuminare davvero.
Le foglie che volano non sono una sconfitta, ma il segno che la vita si sta purificando e si rinnova. Accogliere la luce e, contemporaneamente, liberarsi attivamente dei rancori (le foglie secche), è la forma più matura di serenità.
Novembre non è una poesia sulla fine, ma un inno alla continuità. Vincenzo Cardarelli insegna che la vita non è fatta per durare immutabile, ma per trasformarsi. Resistere non significa restare fermi, ma continuare a respirare dentro il cambiamento, imparando che ogni inverno dell’anima custodisce già la promessa della rinascita.
