Morte di una stagione (1937) di Antonia Pozzi, poesia sulla fine della felicità

18 Settembre 2025

Scopri il significato di Morte di una stagione (1937) di Antonia Pozzi, poesia che trasforma l'autunno in metafora della fine della felicità e della vita.

Morte di una stagione (1937) di Antonia Pozzi, poesia sulla fine della felicità

Morte di una stagione di Antonia Pozzi è una poesia che, attraverso la metafora del passaggio dall’estate all’autunno, esprime la malinconica sensazione della fine dei momenti felici. Nei versi emerge con forza l’idea che la gioia sia fragile, destinata a dissolversi, quasi un’illusione passeggera. Un sentimento che vive con profonda evidenza nella voce di una delle poetesse più raffinate e sensibili della letteratura italiana del Novecento.

Antonia Pozzi trasforma il paesaggio autunnale in un canto di congedo: coglie la bellezza tragica della natura che cambia e, insieme, la fragilità della vita umana. Non c’è disperazione urlata, ma lo struggente abbandono, l’accettazione che ogni stagione, come ogni esistenza,debba finire. Ne nasce un ritratto poetico della precarietà dell’essere umano.

Morte di una stagione fu scritta a Pasturo, nella villa di famiglia in Valsassina (Lecco), il 20 settembre 1937 e fa parte della raccolta di poesie Parole di Antonia Pozzi, pubblicata postuma a Milano da Mondadori nel 1939.

Leggiamo questa malinconica poesia di Antonia Pozzi per viverne la magia dell’atmosfera e coglierne il significato.

Morte di una stagione di Antonia Pozzi

Piovve tutta la notte
sulle memorie dell’estate.

A buio uscimmo
entro un tuonare lugubre di pietre,
fermi sull’argine reggemmo lanterne
a esplorare il pericolo dei ponti.

All’alba pallidi vedemmo le rondini
sui fili fradice immote
spiare cenni arcani di partenza –

e le specchiavano sulla terra
le fontane dai volti disfatti.

Pasturo, 20 settembre 1937

Il significato di Morte di una stagione di Antonia Pozzi

Morte di una stagione è una poesia di Antonia Pozzi che non descrive soltanto la fine dell’estate, ma dietro le immagini del paesaggio autunnale si nasconde un profondo messaggio esistenziale. Antonia Pozzi ci mostra che la natura non consola, ma riflette e amplifica il dolore interiore.

Attraverso pioggia, ponti in pericolo, rondini immobili e fontane disfatte, la poetessa racconta la fragilità della felicità e l’ineluttabilità della fine. È importante sottolineare come l’autrice trasformi il ciclo naturale delle stagioni in una metafora universale della condizione umana: ogni gioia, come ogni vita, porta in sé il seme della propria conclusione.

La fine inesorabile dei momenti felici

La poesia inizia con con un’immagine in cui la pioggia svolge il suo lavoro di eliminare i segni di ciò che c’era prima.

Piovve tutta la notte
sulle memorie dell’estate.

Come emerge di versi di Antonia Pozzi, la pioggia non cade “sull’estate” (il tempo oggettivo è finito) ma “sulle memorie”. L’acqua agisce sui ricordi, li offusca e li erode. È chiaro il riferimento al passaggio dal tempo vissuto al tempo perduto. È come se l’evento piovoso facesse emergere la consapevolezza della fine di ciò che si è vissuto, quella felicità tanto desiderata non c’è e spariscono pure tutti i ricordi felici.

La poetessa seppure molto giovane piomba inesorabilmente nell’autunno della vita, percepisce che tutto ciò che di bello poteva essere, non sarà mai più.

Ogni momento di passaggio è doloroso

Nella strofa successiva Antonia Pozzi esprime come ogni cambiamento, ogni transizione da uno stato all’altro, comporta una dose di paura, di incertezza. È la rappresentazione della fragilità umana nella transizione dalla gioia alla perdita, della resistenza interiore almeno fino al punto in cui la luce è ancora possibile.

A buio uscimmo
entro un tuonare lugubre di pietre,
fermi sull’argine reggemmo lanterne
a esplorare il pericolo dei ponti.

Non si tratta di una trasformazione naturale tranquilla, ma di un momento in cui le certezze vacillano. L’io è costretto a uscire nell’oscurità, a reggere lanterne come un’illusoria protezione, mentre cerca di esplorare il rischio.

È chiaro ed evidente che i versi esprimono il passaggio da qualcosa che offriva bellezza, gioia, felicità, benessere, ad una nuova condizione di sofferenza, in cui l’ignoto, il buio, l’oscurità prendono il sopravvento.

Nella notte, le pietre tuonano, un’immagine spaventosa e opprimente. Non è tuono del cielo ma della terra. Qualcosa di minaccioso, che esprime l’arrivo di una minaccia inaspettata, tutto ciò che avvolge diventa ostile.

Malgrado il pericolo, “fermi sull’argine reggemmo lanterne”, la speranza, la coscienza, il ricordo cercano di offrire ancora la loro nella tenebre. Si cerca ancora un modo per vedere, orientarsi, restare umani. I ponti fungono da metafora del legame, del passaggio, della connessione.

Ma, la percezione di qualcosa che può far male diventa evidente, forse perché si teme che “cedano”, che il ponte che unisce ormeggi o cuori o stagioni non regga la tensione, che il passaggio sia rischioso. Esplorare il ponte significa misurare l’imprevedibilità del cambiamento, affrontare la paura di perdere ciò che era saldo.

L’impotenza di fronte all’inevitabile

La terza strofa esprime l’attesa impotente davanti alla fine.

All’alba pallidi vedemmo le rondini
sui fili fradice immote
spiare cenni arcani di partenza –

L’arrivo dell’alba non porta sollievo, ma rivela stanchezza e smarrimento: i soggetti sono “pallidi”, svuotati di energia e speranza. Anche la luce del giorno è fredda, spenta, segno di un tempo che non ridona vita.

Le rondini, che di solito simboleggiano leggerezza e libertà, qui sono bagnate, ferme, senza più slancio. I fili su cui poggiano diventano una sorta di linea di confine tra il cielo e la terra, sospensione tra un volo che non c’è più e una caduta che incombe.

Le rondini non partono, non decidono: aspettano segnali misteriosi, “arcani”, che annunceranno il momento di partire. Questo mostra un atteggiamento di impotenza. La vita, come le stagioni, segue forze che non controlliamo. La partenza non è scelta libera, ma destino da accogliere. Il trattino finale lascia la frase sospesa, come se la scena restasse in attesa, incompleta.

Le rondini sono espressione dell’essere umano, fermo e indebolito, che non può fermare il tempo e non può trattenere la felicità, ma aspetta solo il momento in cui dovrà partire, lasciare, dire addio.

Il senso del dolore che provoca ogni fine

La poesia si conclude con la presa di coscienza di una triste realtà. Non c’è più niente da fare.

e le specchiavano sulla terra
le fontane dai volti disfatti.

L’immagine finale è desolante, la natura stessa appare consumata, sfigurata, incapace di restituire vitalità. I volti disfatti delle fontane sono il riflesso del mondo interiore della poetessa. La felicità si è dissolta e ciò che resta è il paesaggio che diventa immagine della fine, del dolore e della perdita definitiva.

Una poesia che svela la fragilità della felicità e della vita

Morte di una stagione di Antonia Pozzi non è soltanto un’elegia sulla fine dell’estate, è una dichiarazione esistenziale. La poetessa mette davanti al fatto che ogni felicità, anche quando appare solida e luminosa, è destinata a consumarsi. La pioggia che cancella le memorie dell’estate, i ponti fragili da attraversare, le rondini immobili in attesa, le fontane dai volti disfatti: ogni immagine diventa un frammento di un’unica rivelazione, ovvero che la vita è transitoria e il dolore accompagna inevitabilmente la fine dei momenti felici.

La forza della poesia sta nella sua assenza di retorica, non ci sono proclami, non c’è ribellione. C’è invece una limpida e struggente accettazione, quasi un abbandono consapevole. Antonia Pozzi non nega la bellezza, ma mostra come la sua essenza sia inseparabile dalla perdita. Ciò che si ama, inevitabilmente, un giorno scompare.

In questo senso, la poesia si fa ritratto universale della condizione umana. Ogni vita attraversa stagioni di luce e di oscurità, e il passaggio dall’una all’altra non può che essere doloroso. La giovinezza della poetessa, già segnata dal presagio della fine, si intreccia così con il destino di tutti gli esseri umani.

Morte di una stagione è dunque un canto di congedo e di verità, che non consola, ma illumina. Ricorda che la felicità è fragile e che proprio questa fragilità ne costituisce il valore. Resta allora, nel lettore, una malinconica ma necessaria consapevolezza: ogni stagione muore, ma nel suo morire lascia un segno eterno di bellezza e di senso.

© Riproduzione Riservata