“Momento epico” di Giosuè Carducci: quando un paesaggio nasconde un segreto d’amore

1 Settembre 2025

Un sonetto nato da un viaggio in treno che trasforma il paesaggio in mito, evocando Ferrara, il Po e l’epopea della poesia italiana: Momento epico di Carducci.

“Momento epico” di Giosuè Carducci quando un paesaggio nasconde un segreto d’amore

“Momento epico” è un sonetto che Giosuè Carducci scrisse durante un viaggio in treno tra Bologna e l’area del Polesine — probabilmente nel maggio 1877 — originariamente legato a un incontro d’amore con Carolina Cristofori Piva – la Lina o Lidia, presente in molte liriche carducciane.

Il testo subì più riscritture — e di queste abbiamo prova in delle lettere, una delle quali è datata 5 agosto 1878 e Carducci scrive a Lina: “ti mando anche il sonetto rifatto la terza e non forse l’ultima volta” — fino a quella del dicembre 1882, dove vengono meno i titoli precedenti a coloritura pseudo-mistica e la destinazione del viaggio diventa Ferrara, non più Rovigo. Sparisce inoltre la donna e al suo posto c’è l’ideale della poesia epica.

La prima pubblicazione di “Momento epico” è sulla “Cronaca bizantina” il 1 gennaio 1883; poi confluirà in “Rime nuove” (1887).

È, dunque, una poesia che muta, che si evolve nel suo percorso creativo: passa dalla sfera privata, l’amore per Lina, a quella della tradizione epico-cavalleresca che ha in Ferrara un centro naturale — ricordiamo Boiardo, Ariosto, Tasso.

Il “momento epico” sta nella descrizione lirica, nella scintilla che anima il poeta lungo il tragitto in treno, mentre osserva il paesaggio; è il barlume che accende la memoria letteraria, la vocazione cavalleresca.

“Momento epico” di Giosue Carducci

Addio, grassa Bologna! e voi di nera
Canape nel gran piano ondeggiamenti,
E voi pallidi in lunghe file a’ venti
Pioppi animati da l’estiva sera!

Ecco Ferrara l’epica. Leggera
La mole estense i merli alza ridenti,
E specchiando le nubi auree fuggenti
Canta del Po l’ondisona riviera.

O terre intorno a gli alti argini sole,
Ove pianser l’Eliadi; a voi discende
La tenebra odiata, e a me non duole.

A me ne l’ombre l’epopea distende
Le sue rosse ali, e su ’l mio cuore il sole
De le immortali fantasie raccende.

Salutata la “grassa” Bologna (V. 1) con l’epiteto tradizionale della città opulenta, Carducci attraversa i campi di canapa (V. 2) e le file di pioppi mossi dalla sera estiva (V. 4); poi giunge a Ferrara: è lei la città “epica”, dove la mole estense si alleggerisce e il Po “ondisona” canta (V. 8).

È qui che il racconto del viaggio finisce, il privato si spenge, e prende voce il pubblico: all’abbassarsi della tenebra – che “a me non duole” (V. 11) – si accende dentro al poeta il sole (V. 13) dell’“epopea”, cioè della tradizione.

Lina viene assorbita dalla Poesia e si trasforma: diventa una musa, una figura ideale capace di trasmettere al poeta “immortali fantasie” (V.14) attraverso “Le sue rosse ali” (V. 13).

“E voi pallidi… Pioppi animati da l’estiva sera!”

Immerso nel suo viaggio in treno, Carducci non può fare a meno di descrivere cos’ha intorno a sé e, con la dote impareggiabile della sua poetica, racconta il paesaggio padano caratterizzato dal verde dei pioppi al vento. Il pallore di cui parla nasce per creare un’atmosfera visiva più eterea, per immergere il lettore in un’immagine da sogno.

“Ecco Ferrara l’epica. Leggera / la mole estense…”

Come abbiamo detto, nella tradizione di Carducci, Ferrara, è città dell’epopea (Boiardo, Ariosto, Tasso). La mole del Castello Estense diventa paradossalmente “leggera”: il reale è trasfigurato dalla cultura; l’architettura si fa icona che sorride (“merli… ridenti”).

“…specchiando le nubi auree fuggenti / canta del Po l’ondisona riviera”

Il Po è sonoro (“ondisona”) e su di esso si specchiano le nubi. Immagine e suono si fondono assieme in un connubio che sembra giocare con i sensi del lettore, mentre la sera corre verso il tramonto (“nubi auree fuggenti”).

“O terre… Ove pianser l’Eliadi…”

Qui c’è un rimando al mito: le Eliadi, figlie del Sole, piangono Fetonte caduto nel Po e si trasformano in pioppi. Il paesaggio visto dal finestrino — gli stessi pioppi “pallidi” del V. 3 — si sovrappone al racconto ovidiano e il momento moderno della poesia di Carducci si specchia nel classico.

“La tenebra odiata, e a me non duole”

La notte che scende “non duole” al poeta, perché nella tenebra si accende la luce dell’intelletto.

“A me ne l’ombre l’epopea distende / le sue rosse ali”

Il tramonto dipinge Ferrara, e lui lo dice con parole diverse, quasi simboliche: un’immagine bellissima: l’epopea ha ali rosse — il tramonto, la Poesia, ancora Lina. Nell’ombra si spalanca la tradizione: è qui che Carducci sente la sua missione.

“… e su ’l mio cuore il sole / de le immortali fantasie raccende”

Una chiusura circolare: la tenebra non duole perché riaccende il sole della poesia. Il paesaggio ha compiuto la sua funzione: ha attivato il rapporto tra memoria e ispirazione.

La relazione con la musa

Giosue Carducci (1835-1907), primo Nobel italiano (1906), costruisce in “Rime nuove” un canone civile dove il paesaggio d’Italia riaccende storia e letteratura. La sua vita, spesso segnata dal rapporto intenso con la “musa” Lina, entra nei versi ma viene sublimata: nel “Momento epico”.

Ciononostante, la loro relazione durò quasi dieci anni e fu fatta di passione, tormento e, soprattutto, poesia. Carducci le dedicò moltissimi versi, con lei i componimenti si fecero più personali, intimi e talvolta struggenti. Tuttavia, morì improvvisamente nel 1881 e, dopo quel lutto sconcertante, la sua figura venne sublimata in ideale poetico.

Questo spiega le modifiche finali di “Momento epico” prima della pubblicazione su “Cronaca bizantina” nel 1883.

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