“L’ora più solare per me” è una poesia che esprime alla perfezione il percorso artistico di Alda Merini: intenso, visionario, capace di trasformare la fragilità in bellezza; ma è anche una dichiarazione autobiografica che sottolinea l’alternarsi di rari — da qui “l’ora” — momenti luminosi in un miasma oscuro — la vita.
Merini ha sì conosciuto le ombre più profonde, ma nei suoi versi l’amore torna sempre come varco verso la luce che le “abita il cuore” (V. 10).
“L’ora più solare per me” di Alda Merini
L’ora più solare per me
quella che più mi prende il corpo
quella che più mi prende la mente
quella che più mi perdona
è quando tu mi parli.
Sciarade infinite,
infiniti enigmi,
una così devastante arsura,
un tremito da far paura
che mi abita il cuore.
Rumore di pelle sul pavimento
come se cadessi sfinita:
da me si diparte la vita
e d’un bianchissimo armento io
pastora senza giudizio
di te amor mio mi prendo il vizio.
Vizio che prende un bambino
vizio che prende l’adolescente
quando l’amore è furente
quando l’amore è divino.
La poesia è un inno all’amore. Non un amore idealizzato, ma un amore semplice, che trascende l’età di chi ama e il modo in cui lo si fa: un sentimento che invade il corpo e la mente, che sconvolge e perdona, che porta allo sfinimento e al vizio, eppure redime.
Merini restituisce al lettore la totalità di questa esperienza: una passione carnale e spirituale insieme, un amore che è “furente” — eros — e “divino” — agape. Nei suoi versi emerge un’urgenza di assoluto: non basta l’affetto tiepido, non basta la convenzione sociale. L’amore, per Merini, è totalizzante e totalitario, una forza che divora e ricrea, abbattendo i confini di sacro e profano.
I versi principali
“L’ora più solare per me / quella che più mi prende il corpo / quella che più mi prende la mente /quella che più mi perdona / è quando tu mi parli”
È l’incipit della poesia che spiega il senso di quanto andremo a leggere: un amore fisico, un amore mentale, un amore di cui non ha vergogna. Qui Alda Merini ribadisce l’importanza del dialogo e della voce come fondamento d’amore. È un dettaglio autobiografico, il dettaglio d’eccellenza: la poetessa, chiusa a lungo nell’isolamento del manicomio tra il ’65 e il ’72, visse il linguaggio come strumento di salvezza.
“Sciarade infinite, infiniti enigmi”
L’amore non porta certezze, ma misteri, e sono proprio quei misteri che solleticano il linguaggio.
“Rumore di pelle sul pavimento / come se cadessi sfinita”
Il corpo entra in scena con la sua fragilità: l’amore è talmente potente da abbattere, da far collassare a terra. Eppure, è proprio in questa caduta che si trova la rinascita.
Qualche parola su Alda Merini
Alda Merini (1931–2009) è stata una delle poetesse italiane più amate e controverse del Novecento; e, come tutti gli artisti più amati del tempo, la sua vita fu segnata da periodi di internamento psichiatrico — dal 1965 al 1972 — un’esperienza che trasformò la sua poesia in un grido di dolore e di ribellione.
Dopo anni di sofferente silenzio, tornò a scrivere con forza negli anni Ottanta, pubblicando raccolte che la imposero al grande pubblico.
“La volpe e il sipario”, raccolta postuma del 1997, testimonia la maturità della sua voce: qui il tema amoroso non è più soltanto disperazione o ferita, ma diventa canto, ironia, gioia inattesa. Tra le tante poesie che spiccano nella pubblicazione del ’97, troviamo anche “L’ora più solare per me”.
L’assenza di mediazione
Alda Merini ci ha regalato una poesia senza filtri in un periodo doloroso della sua vita; eppure, non c’è disperazione tra i versi: c’è solarità, perdono, grazia. Una lezione di umiltà per i lettori contemporanei.
Ci ricorda che amare significa esporsi, cadere, tremare, farsi vizio e redenzione insieme. Significa trovare l’ora più solare non nell’assenza di dolore, ma nel momento in cui la parola dell’altro ci perdona e ci restituisce a noi stessi.