“Lombrico” di Louise Glück: l’essenza dell’io tra la terra e l’infinito

13 Settembre 2025

Lombrico di Louise Glück riflette sul limite dell’io e sul rapporto tra mente, materia e infinito, invitando a ritrovare verità nel silenzio.

“Lombrico” di Louise Glück: l’essenza dell’io tra la terra e l’infinito; poesia

“L’inconfondibile voce poetica” di Louise Glück, “che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale” le ha permesso nel 2020 di ottenere il premio Nobel per la Letteratura. Tre anni dopo è scomparsa. Tuttavia, il suo lavoro rimane immortalato in opere come “Una vita di paese” — “A Village Life” — dove la poesia “Lombrico” sfida il lettore a considerare l’essenziale contro l’eccesso, l’invisibile contro il visibile, il primato della mente contro la corporeità del mondo sotterraneo. In essa Glück invita a spogliare l’io, a vivere ciò che è fisico, ciò che è “senza linguaggio o visione”, per tastare il limite e l’abisso del “non misurabile”.

“Lombrico” di Louise Glück

Non è triste non essere umani,
nemmeno vivere interamente dentro la terra
è avvilente o vuoto: è nella natura della mente

difendere il suo primato, come è naturale per chi
cammina sulla superficie della terra temere il profondo — la tua
posizione determina i tuoi sentimenti. Eppure

camminare sopra qualcosa non significa prevalere —
piuttosto il contrario, una dipendenza mascherata,
con cui lo schiavo completa il padrone. Allo stesso modo

la mente disdegna ciò che non può controllare,
che a sua volta la distruggerà. Non è doloroso ritornare
senza linguaggio o visione: se, come i buddhisti,
rifiuti di lasciare

degli inventari dell’io, emergi in uno spazio
che la mente non può concepire, in quanto interamente fisico, non
metaforico. Qual è la tua parola? Infinito, ovvero
quanto non può essere misurato.

Non solo una poesia, ma una ragion d’essere

“Lombrico” non è solo una poesia, ma una meditazione sulla condizione dell’essere umano, creatura limitata dalla sua percezione d’essere nel mondo. Secondo Glück, noi esseri umani ci siamo separati dall’essere primitivo che eravamo un tempo, abbiamo dei limiti dovuti dal linguaggio, dai desideri di controllo, dalle dipendenze e dalla materialità. Vivere in superficie, così come siamo costretti a fare, non significa affermare supremazia, ma ignorare una dimensione intera che sfugge alla coscienza comune.

Il lombrico non è inferiore

Nella poesia c’è un ribaltamento: vivere nascosti, non essere visti, è una condizione che molti considerano inferiore “inferiore”. Frasi come “Sei un verme” sono chiari insulti di ieri e oggi, ma per Glück c’è uno spostamento tra mente e materia, fra ciò che si conosce e ciò che si teme. Questo significa che non è triste “non essere umani” (V. 1): ciò che sembra assenza può essere presenza, ciò che sembra limitazione può essere apertura.

La poesia ci invita a spogliarci di orgoglio, aspettative, necessità di vedere e di parlare, per entrare in quello spazio che è “interamente fisico, non metaforico”. Nel lento camminare sopra la superficie, si impara qualcosa: riconoscere la dipendenza mascherata, sentire la propria posizione come determinante dei propri sentimenti — nascosti —, quanto ciò che ignoriamo ci modella anch’esso —nascosto di nuovo.

Louise Glück

Louise Glück nacque nel 1943 a New York in una famiglia educata, con radici ebraico-ungheresi paterne. Sua madre, laureata, la introdusse fin da piccola ai classici, alla mitologia e alla lingua. Le influenze classiche sono presenti nel suo lavoro poetico, il suo stile è spesso definito austero e le poesie non cercano mai una via di consolazione facile.

Ha insegnato poesia in varie università, è stata Poet Laureate degli Stati Uniti (2003-2004) e ha vinto premi prestigiosi come il Pulitzer (per The Wild Iris) e il Nobel per la Letteratura.

Scavare alla ricerca del “Lombrico”

Già da giovane Glück ebbe esperienze personali difficili: sviluppò anoressia durante l’adolescenza, che le segnò fortemente la sua percezione della corporeità, del sé, della fragilità umana. Tutto ciò si riflette in “Lombrico” nella tensione verso la materia del corpo, verso ciò che è fisico, nascosto, materiale, tanto da suggerire che la dissoluzione del sé, la perdita di certe strutture mentali, possa non essere solo triste o dolorosa, ma anche illuminante.

Riflettendoci, è possibile leggere questa poesia con forte spirito auto-critico, se si è pronti a scavare dentro di sé alla ricerca del lombrico. Noi non prevaliamo, dobbiamo essere pronti a gettare la maschera, a distruggerla, volendo, consapevoli di essere creature finite di fronte alla magnificenza dell’infinito.

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