La via ferrata di Giovanni Pascoli è una poesia che mette in scena le grandi contraddizioni generate dalla tecnologia nella sua continua evoluzione. Un’evoluzione che mette a dura prova la natura e la stessa vita, intesa come agire all’interno di un contesto reale, umano e sociale. La Terra, così come ci è stata donata, sembra non piacere alla specie più evoluta del pianeta. La dimostrazione è nella costante sostituzione di ciò che è reale con ciò che è artificiale, come se tutto ciò che è vita pura rappresentasse un ostacolo ai bisogni — o ai capricci — degli esseri umani.
La via ferrata, pubblicata nel 1886 in occasione delle nozze dell’amico Severino Ferrari — che Pascoli chiamava scherzosamente “Ridiverde” e con cui intrattenne a lungo un ricco scambio epistolare — apparve su diversi periodici prima di confluire, in forma definitiva, nella seconda edizione di Myricae, pubblicata nel 1892.
Se questo è il contesto, una poesia scritta come madrigale di nozze dell’amico “Ridiverde”, possiamo cogliere la genialità con cui Pascoli riesce ad associare gli effetti del matrimonio ai grandi cambiamenti introdotti dalla tecnologia. Entrambi portano con sé una forma di “disturbo” capace di alterare profondamente l’equilibrio naturale della vita umana. È un impatto deciso e irreversibile, che spezza per sempre la pace della vita pre-matrimoniale, lasciando spazio a quei “rumori” interiori ed esteriori che inevitabilmente emergono nel quotidiano di una nuova vita condivisa.
Leggiamo ora questa breve ma intensa poesia di Giovanni Pascoli per coglierne appieno il significato.
La via ferrata di Giovanni Pascoli
Tra gli argini su cui mucche tranquillamente
pascono, bruna si difila
la via ferrata che lontano brilla;e nel cielo di perla dritti, uguali,
con loro trama delle aeree fila
digradano in fuggente ordine i pali.Qual di gemiti e d’ululi rombando
cresce e dilegua femminil lamento?
I fili di metallo a quando a quando
squillano, immensa arpa sonora, al vento.
La via ferrata di Pascoli una poesia sul cambiamento irreversibile
La via ferrata è una poesia di Giovanni Pascoli che offre l’opportunità di analizzare questo splendido madrigale su diversi piani di riflessione, tutti intrecciati con la poetica della modernità, della natura e dell’identità umana.
1. Il disturbo della tecnologia sulla natura
Il primo, e forse più evidente, livello di lettura riguarda la denuncia del disturbo causato dalle grandi trasformazioni tecnologiche tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il treno e il telegrafo, simboli del progresso umano, irrompono con forza nel paesaggio rurale italiano, alterandone la pace e l’armonia. Il vivere lento e regolare dei contadini e degli animali da lavoro viene improvvisamente turbato dai rumori, dai segnali, dai suoni metallici che il progresso introduce.
2. L’attualità dell’artificialità
Il secondo livello di riflessione ci riporta all’attualità. La poesia di Pascoli diventa oggi più che mai attuale, in un’epoca in cui l’artificialità generata dall’uomo tende a sostituire sempre più la natura, trasformando radicalmente il nostro rapporto con l’ambiente. L’homo sapiens sembra non apprezzare ciò che gli è stato donato: la Terra, la vita organica, il silenzio naturale vengono costantemente rimpiazzati da strutture, rumori e reti artificiali.
3. Il matrimonio come cambiamento irreversibile
Il terzo piano, forse meno considerato ma estremamente suggestivo, è quello simbolico: la via ferrata come metafora del matrimonio. Un evento che, come il progresso, irrompe in una vita fino ad allora libera e tranquilla, portando con sé legami, strutture, responsabilità. La poesia, scritta in occasione delle nozze dell’amico Severino Ferrari, può essere letta anche come una trasfigurazione poetica degli effetti del matrimonio sulla singletudine: una condizione nuova che trasforma definitivamente l’equilibrio precedente.
I pericoli del cambiamento in Pascoli
In La via ferrata, Giovanni Pascoli coglie con estrema sensibilità le contraddizioni della modernità, restituendole non attraverso una denuncia ideologica, ma attraverso una risonanza poetica. Il treno e il telegrafo, simboli di un’epoca che corre verso il futuro, non sono descritti come “male” in senso assoluto, ma come forze dirompenti che entrano nel paesaggio (e nell’anima) modificandolo per sempre.
1. Modernità come minaccia al mondo contadino
Nel primo livello, la poesia mette in scena un’Italia di fine Ottocento ancora agricola, pastorale, legata a un tempo lento e ciclico. In questo contesto, la “via ferrata” non è solo una ferrovia, ma un confine che taglia, una cesura netta tra ciò che era e ciò che sarà. Il treno, con la sua forza, velocità, fumo e rumore, spezza la continuità del paesaggio. Il telegrafo, con i suoi fili tesi come nervi d’acciaio, trasforma il cielo in una griglia meccanica.
È il mondo di ieri che si vede attraversato, violato, messo in discussione dalla macchina.
Pascoli ne coglie il fascino, certo, quella “brillantezza” lontana, ma anche l’alienazione. La campagna, una volta spazio sacro del lavoro, della fatica e del silenzio, ora risuona di echi artificiali, suoni “femminili” e inquietanti che sembrano lamenti del mondo che si trasforma.
2. Natura e artificialità: una profezia sull’oggi
Nel secondo livello, più universale e sorprendentemente attuale, La via ferrata anticipa un conflitto che oggi è diventato centrale: quello tra natura e artificio, tra mondo organico e mondo tecnologico. Il desiderio umano di dominare la natura, plasmarla, attraversarla con cavi, binari, fibre ottiche e server, rivela una difficoltà profonda ad accettare la realtà così com’è.
Come se ciò che è spontaneo e naturale dovesse essere, per forza, corretto, sorpassato, reso “utile”.
Questa lettura ecologista della poesia ci porta a vedere nel treno e nel telegrafo le antenate delle infrastrutture moderne: i gasdotti, le autostrade, i satelliti, i data center. Anche oggi, come allora, ogni conquista umana è ambivalente: porta con sé progresso, ma anche rumore, disconnessione dal ritmo della Terra, e una nostalgia profonda per ciò che è perduto.
E in fondo, il vento che suona tra i fili come un’arpa è il tentativo disperato della natura di fare poesia con ciò che l’ha ferita. È la voce del mondo che cerca di sopravvivere all’impatto dell’umano.
3. Il matrimonio come simbolo esistenziale
Infine, la terza chiave di lettura, quella matrimoniale, invita a un’interpretazione psicologica e simbolica della poesia. Scritta per le nozze dell’amico Severino Ferrari, La via ferrata può essere vista come una meditazione lirica sui cambiamenti che l’unione matrimoniale porta nella vita di una persona.
Prima: la pace, la solitudine, la libertà del proprio ritmo interiore. Dopo: l’innesto dell’altro nella propria traiettoria, l’obbligo di riorganizzare il paesaggio dell’anima.
La “via ferrata” diventa allora il legame coniugale stesso: struttura, promessa, tracciato. I pali del telegrafo sono le colonne invisibili su cui si regge la nuova vita a due. I fili, i vincoli invisibili dell’intimità. E quei suoni femminili, che risuonano tra i fili, sono l’eco della trasformazione interiore che l’amore comporta, dolce o amara che sia.
Il matrimonio, come la modernità, non distrugge, ma cambia. Impone nuove armonie, nuove vibrazioni, nuove direzioni. E la persona, come la natura, deve imparare a “suonare” anche con ciò che prima non esisteva.
Una poesia sul cambiamento inevitabile
La via ferrata è dunque molto più di un quadretto campestre. È una meditazione poetica sul cambiamento: culturale, tecnologico, affettivo. Ogni elemento naturale — gli argini, le mucche, il cielo — viene toccato da qualcosa di nuovo, che non è né completamente male né del tutto bene, ma che impone una trasformazione.
Giovanni Pascoli non grida, non accusa: trasfigura. Trasforma l’invasione in melodia, il rumore in poesia, l’imposizione in eco dell’anima. E ci lascia, tra quei fili di metallo, il suono struggente di un mondo che cambia.