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“La mia sera” di Giovanni Pascoli, una poesia per ritrovare la quiete dell’animo

“La mia sera” è una poesia di Giovanni Pascoli composta nel 1900 e contenuta nella raccolta “Canti di Castelvecchio”

Giovanni Pascoli scrive la poesiaLa mia sera” nel 1900.

Il componimento, contenuto nella raccolta “Canti di Castelvecchio” riporta l’analogia tra la quiete del paesaggio subito dopo una tempesta e la stessa sensazione di serenità dell’animo del poeta.

“La mia sera” di Giovanni Pascoli

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Nè io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.

Un momento di pace

La poesia in questo caso è nettamente divisa in due temi, quello dell’animo del poeta e quello della natura. Una natura descritta precisamente, quasi riprendesse fiato dopo una spaventosa tempesta che ha piegato i suoi alberi e sferzato i suoi fiori.

Pascoli si sposta, poi, dall’osservazione di questo paesaggio rinato dalla furia del temporale alla riflessione interna e personale. Ciò che arriva a concludere il poeta è che la tempesta, sinonimo delle difficoltà che si presentano nella nostra vita, è indispensabile per riuscire a vedere le bellezze che vogliono rifiorire e raggiungere la serenità di un cuore finalmente in pace.

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia agiata. Il padre, Ruggiero, è fattore presso una delle tenute dei principi di Torlonia. La famiglia è molto numerosa: Giovanni è, infatti, il quarto di dieci figli.

L’infanzia di Giovanni Pascoli trascorre in modo abbastanza sereno fino al 10 agosto 1867, quando una tragedia colpisce la casa: mentre torna dal mercato di Cesena, il padre di Giovanni Pascoli viene ucciso da alcuni spari. Comincia così un periodo di tristezza e difficoltà economiche, culminato con il trasferimento a San Mauro e poi a Rimini, dove il fratello maggiore di Giovanni ha trovato un ottimo lavoro.

Intanto, però, i lutti si susseguono rapidamente: nel 1868 muoiono la madre e la sorella maggiore, nel ’71 il fratello Luigi, nel ’76 Giacomo. Nonostante le grandi difficoltà economiche, Giovanni Pascoli riesce a completare i suoi studi classici e ad iscriversi alla facoltà di lettere con una borsa di studi all’Università di Bologna.

Gli anni universitari sono un po’ turbolenti: il giovane partecipa a manifestazioni socialiste contro il governo e nel 1979 viene arrestato. La permanenza per qualche mese in carcere segna il definitivo distacco dalla militanza politica.

Da questo momento in poi, Giovanni Pascoli si dedica esclusivamente alla poesia e alla sua famiglia, in particolare alle due sorelle Ida e Mariù, con cui vive a Massa dal 1884, per ricostruire il nido familiare distrutto dai lutti. Nel 1887 la famiglia si trasferisce a Livorno, dove Giovanni Pascoli ottiene l’incarico di insegnante.

Le nozze di Ida e un nuovo incarico, stavolta come insegnante all’Università, stravolgono un’altra volta la vita del poeta, che si trasferisce con Mariù prima a Bologna e poi a Messina, dove ottiene l’incarico di professore di latino nell’ateneo siciliano. Nel 1905, infine, viene nominato professore di letteratura italiana all’Università di Pisa, sostituendo il suo stesso maestro, Giosuè Carducci.

Gli ultimi anni sono per Pascoli anni schivi e impegnati soprattutto nella scrittura. È ormai un poeta noto agli italiani. Scrive discorsi pubblici e componimenti patriottici. Muore il 6 aprile 1912 a causa di un tumore allo stomaco.

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