Tra le voci della poesia confessionale americana spicca quella di Anne Sexton: nei suoi testi, l’esperienza privata diventa materia letteraria senza alcun filtro e trasforma la sofferenza psichica esperienza onirica per liberare se stessa dai turbamenti che l’affliggono — e ce ne sono tanti, purtroppo.
“La maledizione” è uno dei componimenti che ben esprimono questo genere di poetica: versi brevi che intrecciano memoria adolescenziale, traumi e sensi di colpa; immagini perpetue che non riescono ad abbandonarla, come un incubo che si ripete notte dopo notte.
La maledizione di Nana
La poesia ruota attorno a una figura misteriosa di nome Nana, che dal testo sembra avere gli stessi occhi della poetessa, il che fa subito pensare a un vezzeggiativo del nome Anne, la poetessa; tuttavia parrebbe non sia così: Nana è sì un vezzeggiativo, ma della zia Anna Dingley, figura affettuosa e insieme disturbante, centrale nella vita della giovane Anne Sexton.
La perdita di Nana, avvenuta nel 1954 quando Anne aveva 25 anni, fu per la poetessa una ferita troppo profonda. Poco dopo, Anne avrebbe affrontato crisi depressive sempre più gravi, sfociate in tentativi di suicidio e dipendenza da farmaci che il sistema sanitario del tempo non era certo in grado di gestire.
Possiamo dunque supporre che La maledizione di Nana presente nella poesia, quella capace di distruggere la felicità di Sexton, sia la voce interiorizzata di Anna Dingley, che la perseguita come marchio indelebile anche dopo il decesso.
“La maledizione” di Anne Sexton
(Italiano)
Ogni volta che sono felice
ritorna la maledizione di Nana.
Gli uccelli si trasformano in attrezzi da idraulico,
il sonetto in una barzelletta sconcia
il venticello in una tracheotomia
la barca in un cadavere
il nastro in un cappio,
tutto per la nenia di Nana,
note acide che nella sua pazzia ripetono:
sei stata tu. Tu sei il male.Avevo tredici anni,
la sua omonima imbranata,
i nostri occhi lo stesso identico verde.
Niente di notevole, tranne che
ogni volta che dico:
mi sento benissimo oppure
la vita è meravigliosa oppure
ho appena scritto una poesi
palpitazioni
mano intorpiditagli occhi diventano neri
a partire dai bordi esterni
lo xilofono nelle orecchie
e la voce, la voce,
la maledizione di Nana.
Gli occhi balbettano. Divento cieca.Seduta sui gradini a tredici anni
mi premevo le orecchie con le mani,
lo psichiatra con la bocca di Hitler
mi scavalca come un becchino,
e il grido di paura della vecchia:
sei stata tu. Tu sei il male.
Era il giorno predestinato.
Tredicenne a vita,
soltanto le maschere continuano a cambiare.
Col sangue in bocca,un pesce che sbatte nel petto
e il destino che pesta i piedi.
Sei stata tu. Tu sei il male.
Lei se n’è andata da tempo.
Se n’è andata col treno della morte.
Ma qualcuna resta al poligono di tiro
e aspetta il momento opportuno.
La morte prende la mira.
Mi sento benissimo!
La vita è meravigliosa!E al centro del mirino
la maledizione.È tutto consegnato alla storia.
Il brandy non consola.
Il Librium mi stende
come una regina delle nevi morta.
Sì! Sono una criminale.
Sì! Portami in questura.
Ma prenotami una doppia.(Inglese)
Every time I get happy
the Nana-hex comes through.
Birds turn into plumber’s tools.
a sonnet turns into a dirty joke,
a wind turns into a tracheotomy,
a boat turns into a corpse,
a ribbon turns into a noose,
all for the Nana-song,
sour notes calling out in her madness:
You did it. You are the evil.I was thirteen,
her awkward namesake,
our eyes an identical green.
Where is no news in it
except every time I say:
I feel great or
Life is marvelous or
I just wrote a poem,
the heartbeat,
the numb hand,the eyes going black
from the outer edges,
the xylophone in the ears
and the voice, the voice,
the Nana-hex.
My eyes stutter. I am blind.Sitting on the stairs at thirteen,
hands fixed over my ears,
the Hitler-mouth psychiatrist climbing
past me like an undertaker,
and the old woman’s shriek of fear:
You did it. You are the evil.
It was the day meant for me.
Thirteen for your whole life
just the masks keep changing.
Blood in my mouth,a fish flopping in my chest
and doom stamping its little feet.
You did it. You are the evil.
She’s long gone.
She went out on the death train.
But someone is in the shooting gallery
biding her time.
The dead take aim.
I feel great!
Life is marvelous!and yet bull’s eye,
the hex.It’s all a matter of history.
Brandy is no solace.
Librium only lies me down
like a dead snow queen.
Yes! I am still the criminal.
Yes! Take me to the station house.
But book my double.
Il nucleo della poesia: una felicità impossibile
Sono i primi versi che suggeriscono il senso della poesia: la felicità è impossibile, perché ogni volta che Anne la sfiora ritorna il trauma dell’adolescenza. “La maledizione di Nana” è una voce che interrompe ogni gioia con un’accusa implacabile: “Sei stata tu. Tu sei il male.” (V. 10), un’accusa che si riferisce agli abusi subiti in famiglia, quando ancora aveva tredici anni.
Sexton mette in scena il meccanismo del trauma: ciò che dovrebbe portare sollievo — gli uccelli, il vento, la scrittura, perfino la musica — si trasforma in oggetti di soffocamento, di dolore e di morte. È il linguaggio poetico che rende visibile l’angoscia psichica, il ribaltamento dei significati, la deformazione della realtà.
Analisi dei passaggi principali
“Sei stata tu. Tu sei il male.”
La frase ripetuta è il nucleo ossessivo, una maledizione permanente, un tormento che l’autrice si porta dietro additata come una criminale (ultimi tre versi).
La poesia tocca da subito un punto universale: chiunque abbia vissuto esperienze di colpa ingiusta riconosce la sua eco nel tempo. In “Anne Sexton: Una vita” (1991), biografia scritta con i nastri delle sedute psicoanalitiche di Anne Sexton, Diane Wood Middlebrook delinea uno scenario drammatico e spiega bene cosa si nasconde in gran parte di poesie come questa: episodi di abusi sessuali subiti da Anne da parte del padre e, in seguito, anche dal nonno paterno…
“Lo psichiatra con la bocca di Hitler mi scavalca come un becchino”
Sexton denuncia anche il fallimento della psichiatria del suo tempo: più che cura, spesso significava repressione, sedativi, elettroshock. La terapia non liberava, ma si trasformava in un’altra forma di violenza.
“Tredicenne a vita, soltanto le maschere continuano a cambiare”
Il trauma congela Sexton nell’età dell’adolescenza. Pur crescendo, sposandosi, diventando madre e poetessa, dentro rimase sempre la tredicenne ferita, traumatizzata, abusata. È un’immagine devastante di una psiche frammentata.
“Il brandy non consola. Il Librium mi stende”
Qui la confessione diventa ancora più diretta: Sexton rivela la dipendenza da alcol e psicofarmaci. “La maledizione” non può essere anestetizzata dall’alcol, meno che mai con l’anestesia chimica.
Anne sexton e “La maledizione”
Anne Sexton nacque nel 1928 in una famiglia della borghesia del Massachusetts. Fin dall’adolescenza mostrò segni di instabilità psichica, aggravati da rapporti familiari difficili: sua madre era una donna colta e molto critica, che la derideva quando provava a scrivere poesie, accusandola persino di plagio; suo padre un alcolista violento e aggressivo.
In questo scenario, la zia Nana assunse le sembianze di una figura ambivalente: amata ma anche disturbante.
Una voce che continua a chiedere di Nana
Nei suoi versi riconosciamo la potenza della poesia confessionale, che trasforma il dolore personale in linguaggio universale, capace di parlare a chiunque abbia sperimentato una colpa fittizia, addossata dal prossimo, e l’impossibilità di sentirsi in pace con sé stesso.