“La felicità” di Giovanni Pascoli, poesia che insegna a non rincorrere i sogni

23 Novembre 2025

Vale la pena inseguire tutta la vita la felicità? Un capolavoro del 1891 di Giovanni Pascoli spiega perché bisogna smettere di illudersi.

"La felicità" di Giovanni Pascoli, poesia che insegna a non rincorrere i sogni

La felicità di Giovanni Pascoli è una poesia che mette in scena la disillusione più universale: quella corsa furiosa verso i propri sogni che, al momento decisivo, si dissolvono nel nulla. Accade a ogni essere umano di scoprire che ciò che desiderava ardentemente era solo un miraggio, una fenice lontana e irraggiungibile. E che la gioia, alla fine, non è mai stata davvero dove la si è cercata.

Pascoli aveva fin troppo ragione a pensarla così. La sua vita, segnata da lutti precoci e da un’infanzia strappata via, lo aveva portato a maturare una visione profondamente pessimistica dell’esistenza. La sua poetica si muove da sempre lungo questa linea. Ciò che promette luce svanisce, ciò che sembra vicino si dissolve, ciò che appare raggiungibile diventa improvvisamente un’ombra. La felicità, per lui, non è mai dove si crede che sia e ciò che illumina il cammino scompare proprio quando sembra possibile afferrarla.

La felicità fa parte della sezione Elegie della raccolta di poesia Myricae di Giovanni Pascoli pubblicata per la prima volta nel 1891.

Leggiamo questa profonda poesia di Giovanni Pascoli per scoprirne il significato.

La felicità di Giovanni Pascoli

Quando, all’alba, dall’ombra s’affaccia,
discende le lucide scale
e vanisce; ecco, dietro la traccia
d’un fievole sibilo d’ale,

io la inseguo per monti, per piani,
nel mare, nel cielo: già in cuore
io la vedo, già tendo le mani,
già tengo la gloria e l’amore…

Ahi! ma solo al tramonto m’appare,
su l’orlo dell’ombra, lontano,
e mi sembra in silenzio accennare
lontano, lontano, lontano.

La via fatta, il trascorso dolore
m’accenna col tacito dito:
improvvisa, con lieve stridore,
discende al silenzio infinito.

“La felicità” è solo un’illusione

La felicità è una poesia di Giovanni Pascoli  in cui emerge chiaramente l’idea che la felicità sia una mera illusione. Pascoli la colloca in due momenti simbolici dell’esistenza: il momento dell’alba, che coincide con la vitalità della giovinezza, e l’attimo del tramonto, che richiama la vecchiaia e la consapevolezza della fine che si avvicina.

Le immagini del fanciullino sono presenti e riconoscibili. L’io lirico entra in relazione con la natura e con ciò che lo circonda, trasformando il paesaggio in metafora dell’intera vita. Nelle prime due strofe domina il tempo giovanile, quello in cui la felicità sembra raggiungibile, quasi a portata di mano. Si crede di poterla vedere, toccare, possedere. È il tempo dell’illusione.

Con l’arrivo della maturità, rappresentata dal tramonto, la felicità torna a mostrarsi, ma ormai da lontano. Appare sul margine dell’ombra, come un’eco che chiama e allo stesso tempo si ritrae. È il momento in cui si comprende di aver dedicato la vita a un sogno che non si è mai lasciato afferrare. La consapevolezza arriva tardi, quando il tempo non permette più di goderne i benefici. L’esistenza si avvia verso la fine e la felicità svanisce proprio mentre sembra finalmente cedersi.

In questo quadro la visione pessimistica dell’autore è evidente. La felicità si prende gioco degli esseri umani, li spinge a inseguire ciò che non esiste, li illude di averla raggiunta quando ormai non c’è modo di viverla. Il colpo più crudele arriva nei versi finali, quando conduce il poeta a guardare indietro, verso la strada percorsa e il dolore accumulato, per poi scivolare via nel “silenzio infinito”, lasciando soltanto un senso di vuoto.

Il vero inganno è l’inseguimento

A un’analisi più attenta emerge che, per Pascoli, il vero male non è la mancanza della felicità, ma il suo inseguimento. Correre verso un desiderio assoluto e irraggiungibile allontana dalla comprensione della realtà. L’illusione diventa un abbaglio che impedisce di accogliere la vita per ciò che è, con la sua fragilità e le sue ombre.

L’esperienza personale dell’autore traspare in modo evidente. Pascoli era stato costretto, fin da bambino, a confrontarsi con la perdita dei genitori e di alcuni fratelli. La solitudine, il trauma e il senso di abbandono avevano plasmato il suo sguardo. È naturale che la felicità, per lui, non potesse essere un traguardo, ma una chimera. Un’immagine bella e crudele allo stesso tempo.

La sua conclusione è chiara: la felicità non merita di essere rincorsa. È ingannatrice e porta più sofferenza che gioia. L’autore osserva negli altri la speranza che lui non ha mai potuto vivere e, proprio per questo, sceglie di guardare la vita con lucidità, senza illusioni, nella convinzione che tutto sia destinato a svanire.

E nel pensiero pascoliano questo svanire coincide con la morte, che non è soltanto una fine, ma un approdo ultimo e quasi liberatorio. È il luogo in cui cessano l’inganno, la corsa, l’illusione stessa della felicità. La morte diventa così una forma di silenziosa salvezza: il punto in cui il dolore si placa e l’ombra finalmente accoglie.

La vita va affrontata con più lucidità

La felicità di Pascoli continua a colpire perché racconta una dinamica che tutti vivono, anche senza saperlo. Mostra come gli esseri umani passino gran parte della loro vita a inseguire qualcosa che sembra vicino e invece si allontana ogni volta che si prova ad afferrarlo. È una fotografia precisa dell’esistenza moderna, dove la felicità è diventata un obiettivo da raggiungere più che un’esperienza da vivere.

Il poeta fa capire con una semplicità disarmante che l’illusione è sempre la stessa, ovvero credere che la felicità si trovi nel “dopo”, nel “quando avrò”, nel “più avanti”. La realtà è che spesso ci accorgiamo troppo tardi che quella corsa ci ha consumati. E ciò che pensavamo fosse un traguardo si rivela un’ombra, un lampo che non resta.

Giovanni Pascoli invita, senza mai dirlo apertamente, a guardare con più lucidità alle proprie aspettative. Non perché la felicità non esista, ma perché inseguirla con ossessione rischia di renderla irraggiungibile. La vita, suggerisce il poeta, non si misura dalla grande gioia che si attende, ma dai piccoli frammenti che si riescono a riconoscere mentre accadono.

È una lezione semplice, quasi elementare, e proprio per questo sorprende. Pascoli ricorda che la felicità non arriva alla fine della corsa: passa, sfiora, appare e scompare. Sta a ciascuno riconoscerla prima che scivoli nel silenzio.

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