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“La canzone del girarrosto” (1903) di Giovanni Pascoli, poesia sul valore del pranzo della domenica

Scopri l'energia che serviva per mantenere il "nido" familiare domenicale grazie alla poesia "La canzone del girarrosto" di Giovanni Pascoli.

La canzone del girarrosto di Giovanni Pascoli è un’allegra poesia che celebra la domenica attraverso la preparazione del più classico pranzo domenicale. Una poesia allegra, divertente, che coglie come in un testo di un documentario contemporaneo tutte le sfumature legate alla preparazione di un rito collettivo che sembra perdere la sua attenzione.

Un Pascoli inedito che questa volta con lo sguardo del “fanciullino” non immortala il dolore, ma attraverso il suo linguaggio fonosimbolico un momento di “fatica collettiva” in cui gli umani si fondano con ogni cosa presente in cucina per arrivare al momento tanto atteso del sedersi a tavola. Non è il pasto ad essere protagonista, ma la preparazione, simile ad una catena di montaggio di una fabbrica del primo ‘900, con i suoi rumori e la sua serialità.

La canzone del girarrosto è il poema 41 della raccolta di poesie Canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli, pubblicata per la prima volta nel 1903.

Leggiamo questa originale poesia di Giovanni Pascoli per viverne l’atmosfera e coglierne i valori.

La canzone del girarrosto di Giovanni Pascoli

Domenica! il dì che a mattina
sorride e sospira al tramonto!…
Che ha quella teglia in cucina?
che brontola brontola brontola…

È fuori un frastuono di giuoco,
per casa è un sentore di spigo…
Che ha quella pentola al fuoco?
che sfrigola sfrigola sfrigola…

E già la massaia ritorna
da messa;
così come trovasi adorna,
s’appressa:

la brage qua copre, là desta,
passando frr come in un volo,
spargendo un odore di festa,
di nuovo, di tela e giaggiolo.

II

La macchina è in punto; l’agnello
nel lungo schidione è già pronto:
la teglia è sul chiuso fornello,
che brontola brontola brontola…

Ed ecco la macchina parte
da sè, col suo trepido intrigo:
la pentola nera è da parte,
che sfrigola sfrigola sfrigola…

Ed ecco che scende, che sale,
che frulla,
che va con un dondolo eguale
di culla.

La legna scoppietta; ed un fioco
fragore all’orecchio risuona
di qualche invitato, che un poco
s’è fermo su l’uscio, e ragiona.

III

È l’ora, in cucina, che troppi
due sono, ed un solo non basta;
si cuoce, tra murmuri e scoppi,
la bionda matassa di pasta.

Qua, nella cucina, lo svolo
di piccole grida d’impero;
là, in sala, il ronzare ormai solo
d’un ospite molto ciarliero.

Avanti i suoi ciocchi, senz’ira
né pena,
la docile macchina gira
serena,

qual docile servo, una volta
ch’ha inteso, nè altro bisogna:
lavora nel mentre che ascolta,
lavora nel mentre che sogna.

IV

Va sempre, s’affretta, ch’è l’ora,
con una vertigine molle:
con qualche suo fremito incuora
la pentola grande che bolle.

È l’ora, s’affretta, nè tace,
che sgrida, rimprovera, accusa,
col suo ticchettìo pertinace,
la teglia che brontola chiusa.

Campana lontana si sente
sonare.

Un’altra con onde più lente,
più chiare,

risponde. Ed il piccolo schiavo
già stanco, girando bel bello,
già mormora, in tavola! in tavola!
e dondola il suo campanello.

La gioia, lo stare bene, l’armonia vanno conquistati con fatica

La canzone del girarrosto è una poesia di Giovanni Pascoli che, in coerenza con la raccolta che la contiene, mette in scena un’esperienza autobiografica immersa nella società rurale di Castelvecchio, una frazione di Barga in provincia di Lucca, dove il poeta aveva una casa in cui visse molto a lungo per studiare e approfondire sempre più la sua poesia.

Il “fanciullino” in questa poesia, così come nella raccolta Canti di Castelvecchio, diventa spettatore di ogni elemento di quella comunità rurale e la rappresenta attraverso il “linguaggio fonosimbolico” o “fonosimbolismo”, ovvero la capacità dei suoni del linguaggio, i “foni”, di interagire mediante le loro qualità acustiche e semantiche con il significato dei termini che veicolano. Pascoli quindi dona una poesia che mette insieme simboli che vivono attraverso le parole, riuscendo a trasmettere al lettore i suoni e la musicalità dell’ambiente rappresentato.

Ciò che colpisce della poesia è che Giovanni Pascoli con i suoi versi permette al lettore d’immergersi e vivere l’atmosfera di quel momento domenicale toscano, in cui, finita la messa, la “massaia” rientrava e andava in scena “accendendo” i suoi strumenti di lavoro.

Leggendo la poesia, sembra che tutti gli elementi della cucina, come in un cartoon della Disney, si animano ed entrano in scena nel teatro della preparazione del pranzo della domenica.

Ciò che lascia senza fiato è che ogni elemento partecipa al magico rituale, prendendo vita e offrendo prova della sua esistenza: la teglia che brontola, la pentola che sfrigola, il camino del girarrosto che gira docile come un servo. Il lettore sembra partecipare a quel rituale e a quella frenetica atmosfera che ha come unico obiettivo far sedere uniti a tavola i commensali per vivere un momento di sana condivisione.

Dietro quella frenetica, rumorosa preparazione c’è un elemento fondamentale da tutelare, la gioia dell’unione familiare, fondamentale per tenere in vita la comunità.

Scorrendo i versi sembra sia possibile sentire i profumi, i suoni, l’attesa gioiosa, l’energia che vive nel pranzo della festività. Giovanni Pascoli  riesce a trasformare una scena domestica in un vero e proprio rituale, in cui ogni oggetto ha voce, ruolo e poesia. I suoni onomatopeici (“brontola”, “sfrigola”, “frr”, “ticchettìo”) rendono vivida la scena, mentre la struttura metrica cadenzata rievoca quasi una filastrocca popolare, ma con profondità lirica.

Il pranzo domenicale espressione del nido familiare

La poesia riesce a dare vita, da un punto di vista simbolico, al concetto, tanto caro alla poetica di Giovanni Pascoli, del “nido”, rappresentando, indirettamente, quel momento di preparazione come fondamentale per rinsaldare e trasmettere affetti e tradizioni familiari. La preparazione al rito culinario domenicale diventa metafora di comunione e continuità con il passato, evocando ricordi e legami affettivi. ​

Ricordiamo che il poeta fin da bambino non ha potuto vivere la magia di questa atmosfera. Rimase orfano fin da piccolo e quella mancanza della gioia dell’unione familiare, che trovò solo da testimone nella vita più adulta a Castelvecchio, furono per lui una condanna. Tutta la sua poesia è stata segnata da questa condanna.

Leggere oggi i versi di questa poesia è come immergersi in un trattato antropologico culturale o sociologico, in cui un attento scienziato sociale attraverso la sua “osservazione partecipante” trasferisce qualcosa che sembra essersi perso: i valori fondamentali di una comunità tradizionale, fondati sulla condivisione di un legame familiare allargato, in totale antitesi con l’attuale modello di famiglia, fondata sul modello mononucleare e, più si va avanti, uninucleare.

Ciò che si può evincere dalla poesia di Pascoli è che per garantire la salvaguardia del “nido familiare” serve un sacrificio. Non a caso, la domenica solitamente associata alla pausa, al riposo, al relax, in La canzone del girarrosto, è invece rappresentata come un momento che richiede fatica, energia, attivismo.

La nostra brava “massaia” non ha rinunciato alla messa, ma appena rientrata a casa, da brava maestra dei fornelli, altro che “Masterchef”, agita la sua bacchetta e tutti i soggetti coinvolti all’unisono fanno sentire la loro sinfonia, garantendo quella ricercata e lenta armonia, fondamentale per la giusta messa in scena dell’opera.

Ciò che si respira nella poesia è un’energia che nessuno si aspetterebbe da versi dedicati alla domenica, ma è questa la grandezza di quest’opera di Giovanni Pascoli. Le cose importanti hanno un costo e richiedono impegno, dedizione, sacrifico. Se si vuole godere della gioia e della felicità, bisogna mettere energia per conquistarle.

Ogni cosa ha un prezzo, compreso il benessere esistenziale, Non importa se il lavoro per garantire quel pranzo domenicale sia stato duro e faticoso, ma il risultato seppur non espresso dal poeta ci appare scontato. La massaia e i suoi compagni di lavoro, compreso per quel povero schiavo del girarrosto, hanno dato il massimo per la salvaguardia della gioia familiare.

Buona Domenica!

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