Quando Saba parla dell’autunno, non lo fa descrivendo solo giornate di “pioggia e vento” (V. 1). Non parla solo di natura, ma vede un’età della vita (V. 7). Ne “L’arboscello”, poesia tratta da “Il canzoniere”, l’immagine stagionale diventa una piccola parabola sulla crescita e sulla cura: l’arboscello è alto “troppo per la sua troppo verde età” (V. 7), la “bora” di Trieste lo piega (V. 10), i fiori cadono (V. 12); ma proprio quelle perdite sono la condizione del frutto e della “vasta maternità” della natura (V. 13). Per questo l’autunno di Saba è una maturazione che parla anche di noi.
“L’arboscello” di Umberto Saba
Oggi il tempo è di pioggia.
Sembra il giorno una sera,
sembra la primavera
un autunno, ed un gran vento devasta
l’arboscello che sta – e non pare – saldo;
par tra le piante un giovanetto alto
troppo per la sua troppo verde età.
Tu lo guardi. Hai pietà
forse di tutti quei candidi fiori
che la bora gli toglie; e sono frutta,
sono dolci conserve
per l’inverno quei fiori che tra l’erbe
cadono. E se ne duole la tua vasta maternità.
Un piccolo canto d’autunno
Il tema dominante è l’autunno come passaggio: la descrizione di una stagione di perdite solo apparenti che preparano un guadagno più profondo. Il tempo è “di pioggia”, la luce si abbassa, il giorno “sembra una sera” e la primavera “un autunno”. Saba crea un clima crepuscolare che confonde le stagioni per dirci che, nella crescita vera, c’è sempre una quota di malinconia. Il “gran vento” (V. 4), allusione immediata alla bora triestina del V. 10, schiaffeggia un giovane albero che “sta – e non pare – saldo” (V. 5), un albero che resiste, ma è ancora esposto alle intemperie.
H3 Simboli autunnali e “maternità” della natura
Pioggia, luce che s’abbassa: segnali visivi e sonori dell’autunno. Saba li usa come una metafora della crescita: l’infanzia appare luminosa — paragonata alla primavera —, ma poi sopraggiunge l’età adulta — l’autunno.
Arboscello/giovanetto: un’allegoria trasparente dell’adolescente “troppo alto”/“troppo verde” (V. 6/7) per la sua età.
“Tua vasta maternità”: la natura, o la Terra, come principio materno che soffre, ma regge il senso del ciclo vitale. È uno dei nuclei affettivi della poesia di Saba: una tenerezza oggettiva, mai sdolcinata.
Saba e l’autunno: vita e poesia
Umberto Saba (Trieste, 1883–1957) cresce in una città di confine e di venti. Figlio di padre assente e madre di origine ebraica, conosce presto la ferita e la cercata consolazione. La sua poesia — poi raccolta, ne “Il canzoniere” — nasce da una voglia di dire cose semplici, cose attraverso le quali pulsa il cuore del mondo.
Trieste e la bora
Trieste è il suo paesaggio morale. Nei versi de “L’arboscello” si sente la geografia di casa: quel vento che “devasta” ma fa posto al frutto, proprio come le prove personali: la depressione, la precarietà economica, la guerra, le ombre psichiche che Saba attraversa e trasforma in pane quotidiano.
La maternità finale ricorda il suo lungo dialogo con figure materne — la madre, la balia “Peppa Sabaz” —, presenza sofferta e salvifica che nella poesia diventa Terra, che protegge e permette.
La sua scelta di una lingua piana e nuda – contro mode avanguardistiche – è qui esemplare: parole concrete, sintassi chiara, metrica sobria che restituisce al lettore il mondo com’è, non come uno stile vuole che sia. È per questo che Saba parla bene d’autunno: perché fa vedere che maturare non è uno slogan, è accettare la stagione che prepara.
Perché “L’arboscello” è così importante?
La primavera è importante, è segno di rinascita e giovinezza, ma la resilienza dell’autunno, di un piccolo albero piegato alla bora, è simbolo di perseveranza. È una etica della maturazione che spesso viene ignorata e che, tuttavia, è utile badare con più attenzione.