“Infanzia” di Rainer Maria Rilke: la nostalgia luminosa del tempo perduto

1 Settembre 2025

"Infanzia" di Rilke è una poesia che intreccia memoria e simbolo: dal sambuco al cimitero, un viaggio potente tra luce e ombra che parla a tutti noi. Scoprila.

"Infanzia" di Rainer Maria Rilke: la nostalgia luminosa del tempo perduto

Scrivendo “Infanzia”, Rainer Maria Rilke cerca di afferrare l’essenza di ciò che è stato perduto ma non del tutto svanito, e ci conduce in un viaggio dentro la memoria del tempo, quello in cui l’anima era pura, prima che il peso della vita adulta la incupisse. Vivendo in uno stato artistico d’intermezzo, descrive una nostalgia aurea che è piuttosto un riconoscimento sacro della forza che l’infanzia conserva dentro tutti noi.

L’immaturità e l’immortalità

“Al limite del bosco viene una timida fiera”

Quando nel verso 9 viene introdotta la fiera, il poeta la scopre timida. Non è più come nell’infanzia. Dopo il suono delle “antiche campane” (V. 10) conosce “meglio gli anni oscuri” (V. 11). Perché un tempo si agiva diversamente: da adolescenti, da bambini si facevano sciocchezze, e la sensazione d’immortalità ci accompagnava in un modo che non è più del presente.

Serenità e pienezza

Tuttavia, il poeta abbraccia l’infanzia in uno spazio di serenità e pienezza: osserva l’anima giovane con “sguardo celeste”(V. 8) e la vede limpida e radiosa; poi la poesia si piega verso la consapevolezza adulta e compaiono gli “anni oscuri”, il freddo, le stanze nude, il cimitero. L’intenzione di Rilke è di mostrare il contrasto tra luce e ombra, tra origine e perdita, e al tempo stesso affermare che proprio il ricordo di quella luce può ancora consolare l’anima.

“Infanzia” di Rainer Maria Rilke

Colmo di frutti il sambuco; tranquilla era l’infanzia
nella grotta celeste. Su percorsi sentieri,
dove rossiccia stride ora l’erba selvatica,
medita il calmo intrico di rami; un frusciare di foglie.

Simile quando suona l’acqua azzurra sul sasso.
Mite è il lamento del merlo. Un pastore
tacito segue il sole, scende dai colli autunnali.

L’anima non è più che uno sguardo celeste.
Al limite del bosco viene una timida fiera,
posano in fondo le antiche campane e villaggi di tenebra.

Ma tu meglio conosci il senso degli anni oscuri,
freddo e autunno nelle camere nude;
fuori sul sacro azzurro suonano passi di luce.

Una finestra cigola piano; commuove
la vista del cadente cimitero sul colle,
narrate leggende; ma spesso l’anima schiara
pensiero di uomini lieti, di primavere d’oro.

Passaggi chiave

“Colmo di frutti il sambuco; tranquilla era l’infanzia / nella grotta celeste.”

La poesia si apre con l’associazione dell’infanzia a un sambuco maturo, dove diventa simbolo della fecondità dell’infanzia.

Accanto a esso, la “grotta celeste” (V. 2) evoca un rifugio sacro, un grembo azzurro in cui il bambino si sente protetto: non una caverna oscura, ma un santuario naturale che è tinto dei colori della volta — o della Madonna.

Qui Rilke colloca l’infanzia come uno spazio quasi mitico, intatto e avvolto da luce.

“L’anima non è più che uno sguardo celeste.”

Dal settimo verso troviamo il focus: l’anima infantile ancora pura, non corrotta dal dolore, non appesantita dalla colpa. È soltanto sguardo, nulla di materiale, un’apertura luminosa verso il cielo. Rilke ci dice che in quell’età l’essere umano viveva in armonia con il mondo, come trasparenza assoluta.

“Ma tu meglio conosci il senso degli anni oscuri, / freddo e autunno nelle camere nude.”

Il poeta, ormai adulto, riconosce la distanza da quell’infanzia celeste. Gli “anni oscuri” sono quelli della maturità, segnati da solitudine e malinconia, dove l’autunno si fa simbolo di decadenza e smarrimento. Sono i giorni in cui il calore della giovinezza è svanito, sostituito da un vuoto che pesa. Eppure, subito dopo, Rilke aggiunge che “fuori sul sacro azzurro suonano passi di luce” (V. 13): anche nell’ombra resta la possibilità di intravedere un oltre luminoso.

“Una finestra cigola piano; commuove / la vista del cadente cimitero sul colle.”

Il cimitero è l’immagine della morte, della fine inevitabile che accompagna l’età adulta. Eppure, guardandolo, l’anima può ancora “schiararsi” pensando a “primavere d’oro”. La memoria dell’infanzia è sempre presente e nonostante non possa eliminare l’ombra, la trasforma. Di fronte alla morte, rischiara, perché la luce di quei giorni continua a vibrare.

L’infanzia di Rilke

Dopo un’infanzia segnata dal collegio militare e una gioventù difficile, trascorsa tra malattia e precarietà, Rilke si è dedicato a numerosi viaggi — dalla Russia alla Francia, fino alla Svizzera — cercando costantemente immagini di origine e luoghi in cui la memoria potesse tornare a vivere.

È facile comprendere come nelle sue poesie sia “nata” questa idea d’infanzia, questo bisogno di purezza e questa ricerca della “stagione perduta e luminosa” che dipinge come quasi mitica. Sin dai primi giorni di vita, Rilke non ha di fatto potuto avere potere decisionale su se stesso, indossando i panni di una sorella mancata che sua madre tanto aveva desiderato.

“Infanzia” riflette questa tensione

I paesaggi rurali, le campane, il sambuco, la finestra sul cimitero sono insieme ricordi personali e archetipi universali.

Rilke ci offre una meditazione sul tempo e sulla memoria, sul passaggio inevitabile dalla trasparenza infantile alla consapevolezza adulta. Non è un semplice ricordo, ma una trasfigurazione: l’infanzia è vista come “sguardo celeste”, un’origine che resta dentro di noi anche quando sopraggiungono gli “anni oscuri”.

I simboli naturali – sambuco, grotta, campane, autunno – non sono decorazioni, ma porte interiori attraverso cui il poeta ci fa entrare nel cuore della sua esperienza. Così, l’infanzia diventa non solo un fatto biografico, ma un mito universale che appartiene a ciascuno di noi: tutti abbiamo avuto un tempo di luce che ancora ci accompagna.

© Riproduzione Riservata