I versi de “Il velo delle Grazie” appartengono al terzo inno del poema incompiuto “Le Grazie”, concepito da Ugo Foscolo come il coronamento della sua produzione poetica. Scritto negli anni dell’esilio e pubblicato postumo, il poema è una vera e propria utopia letteraria: un sogno di bellezza e misura in un mondo devastato dalla violenza e dalla disgregazione morale.
Leggiamola insieme.
“Il velo delle Grazie” di Ugo Foscolo
Mesci, odorosa Dea, rosee le fila;
e nel mezzo del velo ardita balli,
canti fra ’l coro delle sue speranze
Giovinezza: percote a spessi tocchi
antico un plettro il Tempo; e la danzante
discende un clivo onde nessun risale.Le Grazie a piedi suoi destano fiori,
a fiorir sue ghirlande: e quando il biondo
crin t’abbandoni e perderai ’l tuo nome,
vivran que’ fiori, o Giovinezza, e intorno
l’urna funerea spireranno odore.
Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;e ad un lato del velo Espero sorga
dal lavor di tue dita; escono errando
fra l’ombre e i raggi fuor d’un mirteo bosco
due tortorelle mormorando ai baci:
mirale occulto un rosignuol, e ascolta
silenzioso, e poi canta imenei:fuggono quelle vereconde al bosco.
Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;
e sul contrario lato erri co’ specchi
dell’alba il sogno, e mandi a le pupille
sopite del guerrier miseri i volti
de la madre e del padre allor che all’arerecan lagrime e voti; e quei si desta,
e prigionieri suoi guarda e sospira
Mesci, o Flora gentile, oro alle fila;
e il destro lembo istoriato esulti
d’un festante convito: il Genio in volta
prime coroni agli esuli le tazzeOr libera è la gioia, ilare il biasmo
e candida è la lode. A parte siede
bello il Silenzio arguto in viso e accenna
che non volino i detti oltre le soglie
Mesci cerulee, Dea, mesci le fila;
e pinta il lembo estremo abbia una donnache con l’ombre e i silenzi unica veglia;
nutre una lampa su la culla, e teme
non i vagiti del suo primo infante
sien presagi di morte; e in quell’errore
non manda a tutto il cielo altro che pianti.
Beata! ancor non sa quanto agl’infantiprovido è il sonno eterno, e que’ vagiti
presagi son di dolorosa vita.
Come d’Erato al canto ebbe perfetti
Flora i trapunti, ghirlandò l’Aurora
gli aerei fluttuanti orli del velo
d’ignote rose a noi; sol la fragranza,
se vicino è un Iddio, scende alla terra.
Nel passo dedicato al velo, Flora — dea dei fiori — è invitata a intrecciare, con l’aiuto delle Grazie, un tessuto immateriale, destinato a difendere gli uomini dalla barbarie. È un’immagine che fonde mito e filosofia: il velo non è un ornamento, ma un simbolo etico, riflesso della funzione salvifica dell’arte. Foscolo, deluso dal fallimento delle speranze politiche e travolto dall’esilio, affida alle Grazie il compito che la storia ha tradito: custodire la civiltà attraverso la bellezza.
Il velo come mito e armonia
Il velo rappresenta l’ordine morale e la grazia che addolciscono le passioni umane, trasformandole da forza cieca in armonia. Ogni lato del velo raffigura un’immagine ideale: la giovinezza danzante, l’amore coniugale, la concordia civile, la maternità, per concludersi nell’apparizione dell’Aurora, che ghirlanda il ricamo di rose ignote. Si tratta di un fregio simbolico, in cui la poesia diventa un’arte tessile: il linguaggio intreccia fili di bellezza, speranza e memoria.
Il primo lato: la giovinezza che danza
“Mesci, odorosa Dea, rosee le fila”
L’invocazione iniziale introduce la scena della giovinezza, una figura radiosa che danza al centro del velo, “fra ’l coro delle sue speranze”. È un’immagine di vitalità e splendore, ma attraversata da una nota tragica: il Tempo accompagna la danza, scandendo “a spessi tocchi” la sua corsa verso il declino.
La vita è discesa — “un clivo onde nessun risale” —, eppure i fiori che le Grazie destano ai piedi della fanciulla sopravvivranno, adornando la sua urna funebre.
Qui si coglie il nucleo della poetica foscoliana: la memoria e la bellezza come difesa dall’oblio.
Il secondo lato: l’amore coniugale
Sul secondo lato, Flora intreccia simboli di amore puro e fedele:
“due tortorelle mormorando ai baci”.
Le tortore e il mirto evocano la costanza, mentre il rosignolo, che “ascolta silenzioso e poi canta imenei”, celebra il matrimonio. Non c’è sensualità sfrenata, ma dolcezza e pudore: le coppie sono “vereconde”, rispettose dell’ordine. È l’ideale di una passione domata, elevata a vincolo etico.
Il terzo lato: la concordia civile
“Mesci, o Flora gentile, oro alle fila”
La tessitura si illumina di un banchetto armonioso, in cui un Genio incorona i convitati, mentre il Silenzio veglia “perché i detti non volino oltre le soglie”. È un’immagine di equilibrio sociale, lontana dal frastuono delle guerre che avevano sconvolto l’Europa; Foscolo, esule e deluso, trasfigura il suo desiderio di pace e comunità in una scena ideale, dove anche la parola è misurata, segno di civiltà compiuta.
Il quarto lato: la maternità e il presagio di dolore
Segue un quadro domestico: una madre veglia sul primo sonno del figlio, temendo che i suoi vagiti siano presagio di morte.
“Beata! ancor non sa quanto agl’infanti provido è il sonno eterno.”
La voce del poeta incrina l’idillio, ricordando la crudeltà del destino. La vita appare come una fragile tregua prima del dolore: la maternità è amore assoluto, ma non può sottrarre i figli alla legge della morte.
L’Aurora: il limite dell’ideale
Il canto si chiude con un’immagine sospesa: l’Aurora ghirlanda gli orli del velo di “ignote rose”, ma la perfezione resta celeste, inattingibile.
“Sol la fragranza, se vicino è un Iddio, scende alla terra.”
La bellezza che il velo rappresenta non appartiene al mondo reale, ma al regno dell’ideale. È un’illusione, sì, ma necessaria: senza questa tensione verso l’armonia, l’uomo resterebbe prigioniero del caos. Perché Foscolo scrive questa poesia Il progetto delle “Grazie” nasce da una crisi storica e personale: la fine delle speranze politiche, l’esilio, la perdita di punti di riferimento.
Foscolo cerca una nuova religione laica: non più fondata sulla fede tradizionale, ma sulla bellezza come principio ordinatore.
Il velo è il simbolo di questa fede: fragile come un tessuto, ma essenziale per coprire le ferite della storia. Come nei “Sepolcri” la memoria riscattava la morte, qui l’arte si fa scudo contro la barbarie. Non è fuga, ma resistenza culturale: un invito a coltivare l’armonia, pur sapendo che resterà incompiuta.
Ugo Foscolo: tra mito e disincanto
Ugo Foscolo (1778-1827) fu poeta e intellettuale europeo, oscillante tra il rigore neoclassico e le inquietudini romantiche. Patriota deluso, esule inquieto, trasformò la propria crisi in opere che fondono passione civile e tensione estetica. “Le Grazie”, scritte negli ultimi anni, sono il suo approdo estremo: una liturgia della bellezza che tenta di opporsi al disordine storico e al nulla della morte.
“Il velo delle Grazie” non è solo un’immagine poetica: è il sogno di un’umanità pacificata, difesa da un muro invisibile di arte e virtù. Un sogno irrealizzabile, ma vitale, perché — come scrive Foscolo — “sol la fragranza, se vicino è un Iddio, scende alla terra”.