Sei qui: Home » Poesie » “Il mio primo trafugamento di madre” di Alda Merini, poesia sulla violenza alle donne

“Il mio primo trafugamento di madre” di Alda Merini, poesia sulla violenza alle donne

Scopri il poetico ma amaro racconto de "Il mio primo trafugamento di madre", poesia di Alda Merini sulla violenza femminile e il valore del perdono.

Il mio primo trafugamento di madre di Alda Merini è una poesia che dà voce a tutte quelle donne che subiscono la violenza maschile e sociale in tutte le sue forme. Una poesia di grande impatto emotivo che parla del concetto del perdono, della perdita della propria dignità, dell’ingiustizia sociale che una donna deve subire anche quando è vittima della barbarie dell’uomo.

Tutti i giorni tante donne come Alda sono costrette a vivere l’aggressione della barbarie maschile e la società in molti casi finisce addirittura per aumentare la dose di trasformando la vittima in colpevole. Ecco perché i versi di Alda Merini diventano sempre attuali e universali.

Il mio primo trafugamento di madre fa parte della raccolta La Terra Santa di Alda Merini pubblicata per la prima volta nel 1984. La raccolta di quaranta poesie fu curata da Maria Corti, in cui il tema centrale è la vita vissuta nel manicomio, che la poetessa dei Navigli assimila alla “Terra Santa”. La raccoltà subì la quasi totale indifferenza da parte della comunità editoriale. La raccolta fu ristampata da Vanni Scheiwiller nel 1996, dando il dovuto riconoscimento alla grandezza dell’autrice.

Leggiamo questa poesia di Alda Merini per coglierne il profondo significato.

Il mio primo trafugamento di madre di Alda Merini

Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d’estate
quando un pazzo mi prese
mi adagiò sopra l’erba
e mi fece concepire un figlio.

O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,
né il Signore volse mai il capo all’indietro,
come in quell’istante preciso
vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.

Il mio primo trafugamento di donna
avvenne in un angolo oscuro
sotto il calore impetuoso del sesso,
ma nacque una bimba gentile
con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.

Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo
e affidato a mani più « sante »,
ma fui io ad essere oltraggiata,
io che salii sopra i cieli
per avere concepito una genesi.

Il Trafugamento vissuto da molte donne

Il mio primo trafugamento di madre di Alda Merini esprime in poesia la tragedia della violenza subita, prima come donna e poi come madre. Un atto di accusa che libera l’identità di una donna che ha dovuto subire la duplice ingiustizia della violenza sessuale e della privazione della figlia, proprio perché considerata “folle”.

Una poesia che nasce dall’esperienza del manicomio

Come afferma la stessa Alda Merini nel libro La pazza della porta accanto (Firenze-Milano, Giunti, 2017) parlando della raccolta della cui poesia è tratta

“La Terra Santa” non è il manicomio, ma questo caldo concime che ogni malata deposita dentro e fuori di sé e che è anatomicamente sbagliato. Nessun uomo ha in sé tanta terra per potersi preparare un cammino da morto e nessun uomo è sopravvissuto al proprio terreno.

Il mio primo trafugamento di madre è la poesia che chiude la raccolta ed è notevole sia dal punto di vista letterario, sia umano, poiché la poetessa riesce a raccontare la propria orribile esperienza attraverso il filtro della poesia, paragonando il manicomio ad un luogo sacro, la Terra Santa biblica, appunto.

La scrittura possiede un potere liberatorio del quale i medici stessi incoraggiarono Alda Merini a servirsi. Spesso, infatti, le venivano fornite carta e penna (talvolta addirittura una macchina da scrivere) per dare forma a quelle sensazioni contrastanti, ora di amore, ora di odio, di terrore o di sollievo.

Protagonisti diventano i sentimenti umani, l’animo dell’individuo viene completamente messo a nudo e sottoposto a tensioni inaudite che lo portano quasi a non riconoscersi più.

Il mio primo trafugamento di madre è una di denuncia, in cui la poetessa dei Navigli apre i confini della memoria senza nessun velo, raccontando con poetica prosa la dura esperienza subita.

Il racconto di una donna che diventa madre e non può più perdonare

I primi cinque versi della lirica descrivono la passività dell’io poetico, costretto a subire la violenza: “mi prese”, “mi adagiò” e “mi fece concepire”. Si evince esplicitamente la fragilità di una giovane donna costretta a subire un atto intimo che reclama solo amore, rispetto, condivisione, armonia. È invece emerge da subito prevaricazione, dominio, sottomissione, annullamento.

L’identità femminile totalmente violata, il “primo trafugamento di madre” rappresenta la sottrazione di ciò che dovrebbe possedere qualsiasi madre, quel rispetto del marito, dell’uomo che sta accanto che dovrebbe prendersi cura della donna che può diventare moglie e madre.

Quell’intimo atto che dovrebbe essere la cosa più bella, invece viene oltraggiato perché le poetessa è presa con la forza. Questo distrugge ogni cosa, lasciando un segno indelebile nella memoria di Alda Merini.

La luna si fa spettatrice della scena, ma non rimane inerme, facendo sentire le proprie grida forte, come se fosse una persona. Anche le stelle, di fronte a tale visione, si sentono oltraggiate, “offese”. Persino il Signore soffre dinanzi a siffatto male.

Subito dopo  irrompe un ossimoro di notevole pregnanza: “verginità di madre”. Un’espressione contraddittoria, eppure efficace nell’accostamento alla figura della Vergine Maria.

Nella seconda metà della poesia si assiste alla sostituzione del termine “madre” con quello più generale ed inclusivo di “donna”, dove questa volta il trafugamento riguarda la nascita di una bambina dalla che per le dolci emozioni che la bambina riesce a donare, porta immediatamente al perdono.

Anche il più folle e barbaro dei gesti di fronte all’amore per una creatura appena nata, per il sorriso di una piccola figlia, può trovare il non giustificato perdono. Ma, l’amore con la A maiuscola, come quello di veder nascere una propria figlia, può spingere a superare l’orrore e l’ingiustizia.

Ma, la vita può essere davvero malvagia. Dopo averla ferita una volta, le ripropone un altro oltraggio, ancor più duro e violento. La figlia sottratta perché ritenuta “folle”, non mentalmente sana per poter gestire la sua creatura.

Di fronte all’ennesimo trafugamento non può esserci perdono. La genesi, secondo la poetessa, è qualcosa che rende la donna simile al Creatore, e di fronte alla sottrazione della propria creatura non può esserci nessun perdono.

Alda Merini esplicita con amarezza il fatto di aver affidato la sua creazione a mani più “sante”. Ma possono esserci mani più sante, nella visione di una madre, a cui è stata tolta la propria figlia? Pensiamo proprio di no, qualsiasi sia la giustificazione. E non dimentichiamo che quella figlia è nata da una percepita violenza.

Essere diversi nella società in cui Alda Merini si sposò, poteva portare al manicomio. E così fu, la donna per le sue “stranezze” dovette sopportare la prigionia non solo del corpo, ma anche della mente. I manicomi erano qualcosa di terribile, in cui i pazzi venivano rinchiusi e curati in modo coercitivo. Venivano sottoposti a cure al limite della decenza umana e molte volte i poveri folli finivano per stare ancora peggio, soffrire, molte volte persino morire.

Con la sua poesia, coraggiosa, Alda Merini ha avuto il coraggio di raccontare un frammento del suo vissuto, in cui si riconosceranno molte donne. L’abuso, la violenza, che non dovrebbero accadere “mai più”, continuano a destabilizzare e troncare la vita di molte donne.

© Riproduzione Riservata