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“Il canto di marzo” di Giosuè Carducci celebra la rigenerazione

Scopri i magici versi de "Il canto di marzo" di Giosuè Carducci una poesia che canta il risveglio della natura e una nuova rinascita dell'umanità.

Il canto di marzo di Giosuè Carducci  è un inno al mese che segna l’arrivo della primavera. Una poesia che mette al centro il risveglio e la rigenerazione di tutti gli esseri viventi e la natura.

Un messaggio che Carducci rivolge all’umanità chiamata ad una rinascita interiore che metta al centro la gioia e la felicità. Una rigenerazione spirituale che porti via per sempre i pensieri e le relazioni  umane negative come l’odio e la guerra. 

Un canto che oggi dovrebbe essere ripetuto da tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per poter guidare il mondo verso un destino migliore. La vita merita di essere celebrata nel modo migliore. Troppa rabbia e malessere sociale, purtroppo, stanno precipitando il presente verso il buio assoluto.  

Ben venga quindi questo canto di Giosuè Carducci che è tratto da II libro delle Odi barbare (Bologna, Zanichelli, 1906), la raccolta poetica in cui Giosuè Carducci intrecciava il culto della tradizione latina classica con la metrica e lo stile letterario moderno.

Il titolo originale della poesia era Canto di primavera e apparve per la prima volta il 12 aprile 1885 sul quindicesimo numero del supplemento culturale “La Domenica del Fracassa”.

Il canto di marzo di Giosuè Carducci

Quale una incinta, su cui scende languida
languida l’ombra del sopore e l’occupa,
disciolta giace e palpita su ’l talamo,
sospiri al labbro e rotti accenti vengono
e súbiti rossor la faccia corrono,

tale è la terra: l’ombra de le nuvole
passa a sprazzi su ’l verde tra il sol pallido:
umido vento scuote i pèschi e i mandorli
bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono:
spira da i pori de le glebe un cantico.

― O salïenti da’ marini pascoli
vacche del cielo, grigie e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
a la selva che mette i primi palpiti — .

Così cantano i fior che si risvegliano:
così cantano i germi che si movono
e le radici che bramose stendonsi:
così da l’ossa de i sepolti cantano
i germi de la vita e de gli spiriti.

Ecco l’acqua che scroscia e il tuon che brontola:
porge il capo il vitel da la stalla umida,
la gallina scotendo l’ali strepita,
profondo nel verzier sospira il cúculo
ed i bambini sopra l’aia saltano.

Chinatevi al lavoro, o validi omeri;
schiudetevi a gli amori, o cuori giovani,
impennatevi a i sogni, ali de l’anime;
irrompete a la guerra, o desii torbidi:
ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.

Il significato della poesia

Il canto di marzo di Giosuè Carducci inizia con la personificazione della Terra, che è raffigurata dal poeta come una donna incinta in procinto del sofferente  risveglio. Un’immagine sublime di sofferenza e allo stesso tempo che annuncia un possibile cambiamento.

Il cambiamento temporale è associata ad una percezione corporale. Tutto si risveglia con l’arrivo del mese di marzo. Il corpo femminile è metafora della fertilità, della capacità di generare e, dunque, della stagione che si apre alla vita.

L’elemento naturale si intreccia dunque a quello animale e umano. Giosuè Carducci offre un’immagine fisica e concreta, non c’è nessun elemento astratto o spirituale. La fisicità classica emerge con forza come un’immagine di un quadro in cui la forza del corpo è espressione di vita e di forza. 

Anche la natura sembra rendersi partecipe del desiderio, come dimostra il movimento delle radici che paiono allargarsi abbracciando la terra.

Una sinfonia che rigenera

Il canto di marzo è una sinfonia naturale in cui tutti gli elementi della natura intervengono coinvolgendo ogni cosa per donare l’armonia della rinascita. La sua forza  rapisce gli animi e sembra risvegliare persino gli spiriti dei morti. Anche le ossa dei sepolti si associano a questo canto irresistibile del trionfo della vita.

Dopo aver narrato il risveglio della natura e degli animali ecco che Carducci torna all’elemento umano che, per analogia, era già stato introdotto nella prima strofa.

La conclusione di Il Canto di marzo è un appello all’umanità, la vera protagonista dell’opera di Carducci. Il poeta richiama gli uomini al lavoro, ai sogni, all’amore e ai desideri troppo a lungo sopiti. Celebra il risveglio dei sensi e l’armonia perfetta della vita che sembrano suonare in perfetto accordo.

L’ultimo verso suona come una profezia, ma anche come una preghiera, ha lo stesso afflato di un inno sacrale:

Ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.

Giosuè Carducci celebra il ciclo della vita, il suo eterno ritorno, il conforto della ripetitività ciclica delle stagioni. È il concetto ciclico dell’esistenza che diventa il centro di ogni spinta verso il futuro. 

Un futuro di vita e di forza, che non può lasciare spazio al buio invernale, alle tenebre molte volte generate dall’uomo e che dovrebbero definitivamente cadere nell’oblio dell’inesistente. Viva la vita sembra cantare Carducci, basta con ciò che distrugge e non genera vita.

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