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Gli “Inni alla notte”: Novalis e la sensibilità romantica

Novalis è stato uno dei più importanti rappresentanti del Romanticismo tedesco. Ecco il suo IV Inno alla notte, che costituisce un alto esempio di sensibilità romantica.

Il 2 maggio 1772 nasceva in Sassonia Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, che noi tutti conosciamo con lo pseudonimo di Novalis. Teologo, filosofo, poeta, quest’uomo ha contribuito allo sviluppo del movimento romantico tedesco, componendo opere di altissima sensibilità che ancora oggi emozionano e conducono ad una riflessione su temi importanti.

In occasione dell’anniversario della sua nascita, vogliamo ricordare Novalis attraverso uno dei suoi celebri “Inni alla notte”, il IV.
Leggiamolo insieme.

IV Inno alla notte

Ora so quando sarà l’ultimo mattino – quando la luce non mette più in fuga la notte e l’amore – quando eterno sarà il sonno e un solo sogno inesauribile. Celeste stanchezza sento in me. – Lungo e faticoso mi fu il pellegrinaggio alla tomba santa, grave la croce. Chi ha assaporato l’onda cristallina che, impercettibile ai sensi comuni, zampilla nel grembo oscuro del tumulo, ai cui piedi s’infrange il flutto terrestre, chi stette sopra le montagne all’estremo limite del mondo, e guardò di là, nella nuova terra, nella dimora della notte – costui davvero non torna al travaglio del mondo, alla terra dove la luce abita in eterna inquietudine. Lassù costruisce le sue capanne, capanne di pace, ardentemente desidera e ama, guarda al di là, finché la più gradita di tutte le ore non lo trascina giù, nella vena della fonte – dove galleggiano i residui terrestri, sospinti indietro dai turbini; ma ciò che sacro divenne al contatto d’amore, corre disciolto per tramiti oscuri alla sfera ultraterrena, dove si fonde, simile a vapore, con gli amori assopiti.

Ancora tu risvegli,
allegra luce,
lo stanco al lavoro – mi infondi
vita gioiosa –
però non mi attiri
lontano dal monumento
muscoso del ricordo.
Lieto voglio agitare
le mani operose,
guardarmi intorno, dovunque
tu avrai bisogno di me –
esaltare la piena
magnificenza del tuo splendore –
assiduamente perseguire
la bella concordanza
della tua opera ingegnosa –
lieto voglio osservare
il saggio cammino
del tuo potente orologio che splende –
scrutare l’equilibrio delle forze
e le norme
del giuoco prodigioso
degli spazi innumerevoli
e dei loro tempi.

Ma fedele il mio cuore
segreto rimane alla notte,
e a suo figlio, l’amore che crea.
Puoi tu mostrarmi un cuore
fedele in eterno?
Ha il tuo sole
occhi amici
che mi ravvisino?
e le tue stelle afferrano
la mia mano supplichevole?
Mi rendono in cambio
la tenera stretta

Nuove forme, nuove sensibilità

Gli “Inni alla notte” sono un ciclo di poesie sui generis. Pubblicata nell’agosto del 1800 sull’ultimo numero della rivista Athenäum, quest’opera si contraddistingue per la forma e per il contenuto. Gli inni, che sono in tutto 6, sono stati composti in quella che viene denominata “prosa ritmica” – ad eccezione della chiusa del IV inno e di alcune parti del V e del VI, scritte in versi –, con un risultato che appare assolutamente moderno e particolare rispetto agli standard dell’epoca.

Nei suoi inni, Novalis parte dalla dolorosa esperienza della morte di Sophie, la sua fidanzata, per intraprendere un percorso etico e filosofico che lo porterà ad un profondo rinnovamento spirituale.

Ogni inno segna un passaggio importante dell’acquisizione di questa nuova consapevolezza, ma è soprattutto il III a costituire il nucleo dell’intero ciclo, quando il poeta si reca presso la tomba dell’amata e vive un momento mistico in cui spazio e tempo sembrano aboliti, così come sembra essere inesistente l’opposizione tra il mondo visibile e quello invisibile.

Nell’inno che abbiamo letto insieme, il IV, Novalis sembra divenire testimone dal legame che unisce la vita alla morte, il giorno alla notte, che non devono essere visti come opposti e contrari, ma come complementari, come due facce della stessa medaglia. La morte di Sophie e la visione avuta andando in visita alla sua tomba, fanno comprendere all’autore il mistero dell’esistenza e gli fanno rivalutare il senso della morte stessa. Ed è appunto la morte la chiave del IV Inno alla notte: pur non essendo mai nominata apertamente, la morte è al centro della scena, così come lo è la sofferenza simboleggiata dalla croce. Tutto ciò che all’essere umano è sempre apparso come in opposizione, la vita e la morte, adesso appare in armonia nella rivelazione di Novalis, che riesce a superare il dualismo fra le due realtà grazie all’esperienza dell’amore e della fede.

Novalis

Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, universalmente noto come Novalis, nasce il 2 maggio 1772 in una piccola località situata nel land della Sassonia-Anhalt. Cresciuto in una famiglia profondamente religiosa, Novalis trascorre le sue giornate solitarie immerso nello studio. Nel tempo libero, coltiva la passione per la filosofia e la teologia.

Dopo aver concluso il ginnasio, il giovane si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma in parallelo porta avanti gli studi matematici e filosofici. Nel 1794 si laurea in legge con il massimo dei voti. Tre anni dopo, Novalis va incontro a due eventi drammatici che segnano per sempre la sua vita: muoiono la sua amata, Sophie, e suo fratello Erasmus. Da qui in poi, l’esperienza di fede del giovane diventa sempre più vicina alla corrente del pietismo.

Intanto, l’ambizione e la sete di conoscenza non si arrestano. Novalis decide infatti di studiare scienza mineraria con l’idea di diventare un ingegnere. Poco tempo dopo, viene incaricato di dirigere alcuni giacimenti di salgemma. Nel corso della sua vita, Novalis non ha mai smesso di documentarsi, studiare e scrivere. Le sue idee romantiche nascono, in particolare, dalla lettura di Plotino e dei filosofi neoplatonici, ma sono anche fortemente influenzate dal pietismo protestante e dal forte isolamento in cui vivono il poeta-filosofo e la sua famiglia.

Muore nel 1801 dopo un lungo periodo di malattia causato dalla tubercolosi.

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