“Gli alieni” (1992) di Charles Bukowski: una poesia sull’umanità

7 Luglio 2025

Charles Bukowski, nella poesia “ Gli alieni”, parla dell’alienazione umana in mezzo al prossimo. Scritta due anni prima della morte.

“Gli alieni” (2007) di Charles Bukowski: una poesia sull’incomunicabilità nell’umanità

Gli alieni siamo noi, anche se siamo abituati a immaginarli con gli occhi grandi, allungati e all’insù. Anche se crediamo che sarebbe impossibile leggere in quelle mandorle nere, perché troppo scure e simili agli omatidi infiniti delle mosche.

Sappiamo che sono strani, diversi, fuori posto, con la pelle grigia o blu. Li abbiamo visti sulle copertine di cartoni animati come American Dad, oppure su film cult come Guerre Stellari. Ma non serve un’astronave per sentirsi alieni. A volte basta entrare in un ufficio, salire su un autobus, ascoltare una conversazione tra estranei al bar, e di colpo siamo noi gli alieni.

“Gli alieni” (1992) di Charles Bukowski

[…]
vestono bene, mangiano bene, dormono bene.
sono soddisfatti della loro vita familiare.
hanno momenti di dolore
ma tutto sommato nessuno li disturba
[…]

Charles Bukowski, nella poesia “ Gli alieni” , riesce con la sua solita lucidità a fotografare l’essenza di una sensazione comune: l’alienazione profonda in mezzo agli altri. È contenuta nella raccolta “The Last Night of the Earth Poems“, uscita nel 1992, due anni prima della sua morte ed edito in Italia per la Minimum Fax in un cofanetto di quattro volumi stampato tra il 2001 e il 2003.

[…]
anche se io non sono uno di loro.
eh no, io non sono uno di loro.
non ci vado nemmeno vicino
a essere uno di loro
però loro sono lì
e io sono qui.

Ma chi sono davvero gli alieni di cui parla Charles Bukowski?

Non creature grigie, blu o verdi venute da un altro pianeta, ma persone comuni, uomini e donne maledetti dalla propria solitudine, che vagano in mezzo ad altri esseri umani senza riuscire a stabilire un contatto autentico. Siamo noi, che ci chiediamo se mai riusciremo ad avere un amico, se quella gioia che avevamo alle elementari, o alle medie, potrà tornare a splendere nei nostri occhi, o se alla fine della fiera resteremo solo degli alieni che camminano da soli sulla Terra.

Charles Bukowski non li osserva con pietà né con ironia, ma con una rassegnazione cruda, come chi ha accettato l’assurdità del mondo. Uno sguardo disilluso, il suo, che fa male, ma anche un’eco di tenerezza, una nostalgia del legame che poteva esserci e non c’è mai stato.

La poesia è breve ma feroce

Descrive persone in fila, negli uffici, nei negozi, nei bar. Tutti cercano qualcosa, ma nessuno guarda davvero l’altro. “Erano tutti alieni” dice Charles Bukowski, e lo ripete più volte, come per convincere prima di tutto se stesso. Alienati, alienanti, incapaci di parlare davvero. Sono alieni che vorrebbero allungare la mano per toccarsi, sono alieni senza voce, che non hanno modo di parlare la stessa lingua e che un tempo riuscivano a farlo.

Nel mondo di Charles Bukowski non c’è spazio per le illusioni romantiche. L’essere umano è un’isola che si agita in mezzo ad altre isole, senza ponti, senza barche. La sua poetica è spesso considerata ruvida, nichilista, perfino volgare, ma in realtà ha il coraggio di dire a voce alta ciò che molti non vogliono ammettere.

Il bisogno umano dietro “Gli alieni”

Eppure, ciò che colpisce ne “Gli alieni” non è solo il grido muto dell’incomunicabilità, ma il bisogno umano che c’è dietro la poesia. Perché se siamo alieni, è perché abbiamo cercato invano di essere umani tra gli umani. Ogni “alieno” di Charles Bukowski è, in fondo, una creatura che non ha smesso di cercare.

Cerca negli uffici il suo bambino interiore, e con la fantasia vola nei bar, nelle strade. Gioca a campana nei ricordi, prova a fare amicizia con la fantasia; ma resta un alieno e si perde tra i se e i ma. Cerca negli occhi degli altri un riflesso, un gesto, un cenno. Se, ma. Lo fanno anche gli altri alieni. Se, ma. Lo fanno tutti al momento sbagliato.

Come molti altri testi di Charles Bukowski, anche questo è una lama che taglia il lettore con la sua semplicità. Nessuna retorica, nessuna costruzione sofisticata. Solo immagini quotidiane, riconoscibili, che diventano specchi. Chi non si è mai sentito un alieno in mezzo agli altri? Chi non ha mai avvertito quella sensazione strisciante di essere fuori posto , anche nei luoghi più familiari?

Una poesia che parla dell’uomo

Questa poesia — come gran parte dell’opera di Charles Bukowski — parla agli esclusi, ma anche agli inclusi che si sentono fuori posto. A quelli che lavorano, sorridono, timbrano cartellini, pagano le tasse, ma dentro portano un grido. È una poesia urbana, sociale, ma anche esistenziale. Perché la vera alienazione non è politica o economica: è umana. È lo sguardo che si spegne, la parola che non trova risposta, il contatto che non avviene. È il vivere accanto, senza mai davvero toccarsi.

In questo senso, “Gli alieni “è una poesia universale. Non ha bisogno di tempo né di geografia. Potrebbe essere stata scritta ieri, oggi, domani. Potrebbe parlare di una metropolitana affollata come di una fila alla posta: il suo messaggio non cambia, perché la vera solitudine non è stare soli, ma non essere visti.

C’è, però, una chiave di lettura più sottile, più inquieta. Perché se tutti sono alieni, nessuno è veramente colpevole. E allora forse il problema non è la cattiveria del mondo, ma la nostra stessa struttura emotiva, sociale, linguistica. Forse siamo costruiti per fallire nell’incontro.

Charles Bukowski non consola, non offre soluzioni, ma con “Gli alieni” ci permette di sentirci meno in colpa. Non siamo noi quelli sbagliati. Basta guardarsi dentro — anche se fa male — per capire che, se anche continueremo a passarci l’uno accanto all’altro come figure indistinte, aliene, almeno sapremo di non essere soli nel nostro sentirci soli.

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