Gitanjali 18 di Rabindranath Tagore è una poesia che mette al centro il senso dell’attesa, la solitudine dell’uomo di fronte alle intemperie della vita e il conseguente desiderio di trovare pace e gioia grazie all’amore vero, quello che ricongiunge l’anima al divino.
Nella poesia di Tagore si respira l’inquietudine universale degli umani che nel loro percorso di vita si ritrovano molte volte a fare i conti con le difficoltà che pone la vita. Nei versi del poeta si può respirare il senso di solitudine che si prova, quando qualsiasi credo, amore, sentimento, emozione vengono a mancare. L’attesa diventa un malinconico canto disperato alla ricerca di qualcosa di magico che possa riempire il vuoto che inevitabilmente la disperazione crea.
La poesia è il diciottesimo canto della raccolta di poesie Gitanjali (Song Offerings – Offerta di Canti), in Italiano è stata tradotta Ghitangioli, di Rabindranath Tagore, pubblicata per la prima volta in India il 4 agosto del 1910 e tradotta in inglese, con l’introduzione di William Butler Yeats nel 1912. La raccolta permise a Tagore di ricevere il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, divenendo il primo non europeo, il primo asiatico e l’unico indiano, o meglio bengalese, a ricevere questo riconoscimento.
Leggiamo questa intensa poesia di Rabindranath Tagore per coglierne il profondo significato.
Gitanjali 18 di Rabindranath Tagore
Le nuvole si accalcano su altre nuvole, e il cielo si fa scuro. Ah, amore, perché mi lasci ad attenderti solo sulla soglia?
Nel pieno del giorno, tra il fervore del lavoro, sono tra la folla, ma in questa giornata cupa e solitaria, è solo te che attendo.
Se non mi mostri il tuo volto, se mi lasci del tutto da parte, non so come potrò sopportare queste lunghe ore di pioggia.
Fisso lo sguardo nell’oscurità lontana del cielo, e il mio cuore vaga, gemendo, con il vento inquieto.
Gitanjali 18, Rabindranath Tagore
Clouds heap upon clouds and it darkens. Ah, love, why dost thou let me wait outside at the door all alone?
In the busy moments of the noontide work I am with the crowd, but on this dark lonely day it is only for thee that I hope.
If thou showest me not thy face, if thou leavest me wholly aside, I know not how I am to pass these long, rainy hours.
I keep gazing on the far away gloom of the sky, and my heart wanders wailing with the restless wind.
L’amore che salva dalle difficoltà della vita
Gitanjali 18 è una poesia di Rabindranath Tagore che esprime il profondo desiderio e la solitudine dell’anima in attesa dell’amato, interpretato in senso ampio e universale di metafora del divino, dello spirito cui ogni umano dovrebbe ambire per dare senso all’esistenza. Attraverso immagini di grande significato simbolico che attingono dalla natura e un linguaggio evocativo, Tagore esplora temi universali come l’amore universale, l’attesa, l’inquietudine umana, la ricerca della spiritualità.
Ad una lettura veloce e non approfondita con il percorso mistico di Tagore, la poesia appare come una meravigliosa preghiera alla persona amata, all’amore della propria vita. Per lo scrittore bengalese il senso si amore è la riconnessione con nl’Assoluto, con il Creatore, con il proprio Credo.
In Gitanjali 18, Tagore utilizza l’amore umano come metafora dell’amore divino. L’attesa dell’amato rappresenta la ricerca dell’unione con il divino, un tema ricorrente nella tradizione Bhakti e nella poesia mistica indiana. La pioggia e il vento simboleggiano le prove e le tribolazioni dell’anima nel suo percorso spirituale. Gitanjali 18 può essere letta come una preghiera, una meditazione poetica sull’attesa e la fede.
Il racconto poetico della richiesta d’amore per far fronte alle difficoltà della vita
La poesia inizia un’immagine di grande effetto: “Le nuvole si accalcano su altre nuvole, e il cielo si fa scuro.” L’accumularsi delle nuvole simboleggia l’intensificarsi dell’angoscia e dell’attesa. Il cielo che si oscura riflette lo stato d’animo del poeta, immerso nel malinconico e inquieto senso di solitudine. Un concetto che possiamo riscontrare nello smarrimento dell’umano contemporaneo nei confronti del senso della vita, che tanta letteratura ha generato soprattutto ai primi del ‘900.
Uno smarrimento, un’inquietudine che sembra molto vicina alla profonda solitudine che vive l’umanità dei nostri tempi. L’incertezza sembra essere uno dei temi più presente nella vita dei nostri giorni e le immagini simboliche di Tagore sembrano darne evidenza e significato.
Il grande poeta continua con, “Ah, amore, perché mi lasci ad attenderti solo sulla soglia?”, si rivolge all’Amato/a, esprimendo ila profonda amarezza dell’attesa solitaria. La “soglia” rappresenta il confine tra la speranza e la disperazione.
“Nel pieno del giorno, tra il fervore del lavoro, sono tra la folla, ma in questa giornata cupa e solitaria, è solo te che attendo.” Quando si svolge la vita di tutti i giorni le distrazioni della “folla” permettono di non avvertire la mancanza, ma nei momenti di difficoltà, quando la vita presenta il lato peggiore, l’assenza dell’amato diventa insopportabile. Tutto ciò che circonda è come inutile, non aiuta, non dà supporto, anzi, quell’indifferenza rende ancora più soli.
Questo concetto è rafforzato dal verso successivo, “Se non mi mostri il tuo volto, se mi lasci del tutto da parte, non so come potrò sopportare queste lunghe ore di pioggia.” L’assenza dell’amato è paragonata a una pioggia incessante, simbolo di tristezza e solitudine. Un lungo scorrere di lacrime che avvolgono l’anima, amplificando il senso della disperazione. La pioggia e il vento non sono solo elementi atmosferici, ma incarnano lo stato d’animo del poeta: un cuore inquieto, gemente, in cerca di una rivelazione. L’assenza dell’amato – che può essere letto sia come persona amata sia come Dio – diventa una prova, un momento di trasformazione interiore.
“Fisso lo sguardo nell’oscurità lontana del cielo, e il mio cuore vaga, gemendo, con il vento inquieto.” Il finale di questo canto di Tagore lascia senza fiato. Il poeta bengalese tutta l’inquietudine dello smarrimento umano alla ricerca della via che conduce all’Amore. Le metafore naturali che utilizza sono la perfetta emanazione della sofferenza che provoca l’attesa, che in questo caso non ha un tempo determinato. Il poeta cerca conforto nell’osservazione del cielo, ma il suo cuore, come il vento, è irrequieto e lamentoso.
Gitanjali 18, il canto disperato dell’uomo contemporaneo
Gitanjali 18 riesce a dar voce a un’esperienza che oggi, più che mai, tocca profondamente l’animo umano: la solitudine e l’inquietudine di fronte alla vita.
Nel caos che sembra caratterizzare la vita della società contemporanea, si nasconde un vuoto difficile da colmare, simile a quello che il poeta descrive con l’immagine delle nuvole che si addensano e del cielo che si oscura.
Una poesia che racchiude un senso di smarrimento universale: anche immersi tra le persone e gli impegni, resta dentro un’irrequieta domanda di senso, un’attesa per qualcosa, o qualcuno, che dia significato profondo all’esistenza.
L’inquietudine interiore evocata dalla pioggia incessante e dal vento errante è il simbolo perfetto della condizione contemporanea: una ricerca continua di autenticità, amore e spiritualità, spesso frustrata dalla superficialità dei rapporti e dalla mancanza di tempo per l’introspezione.
In questo quadro, Gitanjali 18 mette in scena l’attesa eterna che accompagna ogni essere umano: l’attesa di un senso più grande, di una risposta al perché esistiamo, di una presenza capace di placare il vento del cuore.
C’è bisogno di amore per stare bene e questo è un tema contemporaneo. Sempre più persone si smarriscono alla ricerca di un punto di riferimento smarrito. Quel concetto di Amore assoluto, riconducibile al divino, appare sommerso da ostacoli esistenziali che non permettono di trovare pace, armonia e fede.
Proprio per questo motivo, leggere Rabindranath Tagore oggi è così attuale: il poeta invita a non fuggire dalla nostra inquietudine, ma a riconoscerla come un motore della crescita interiore. Nella solitudine, nell’oscurità e nell’attesa, possiamo ritrovare noi stessi e riscoprire il valore di ciò che è essenziale. Bisogna tornare a credere al potere salvifico dell’amore.