Cosa ci conforta nei momenti tristi? Cosa ci fa rimanere aggrappati alla speranza anche quando sembra tutto finito? Nella sua “Giorno e notte”, il poeta ligure Eugenio Montale canta il suo motivo di speranza, la sua donna-talismano Clizia, capace di riportarlo alla luce in un mondo in cui non regna che oscurità. Scopriamo insieme la poesia.
“Giorno e notte” di Eugenio Montale
Anche una piuma che vola può disegnare
la tua figura, o il raggio che gioca a rimpiattino
tra i mobili, il rimando dello specchio
di un bambino, dai tetti. Sul giro delle murastrascichi di vapore prolungano le guglie
dei pioppi e giù sul trespolo s’arruffa il pappagallo
dell’arrotino. Poi la notte afosa
sulla piazzola, e i passi, e sempre questa durafatica di affondare per risorgere eguali
da secoli, o da istanti, d’incubi che non possono
ritrovare la luce dei tuoi occhi nell’antro
incandescente – e ancora le stesse grida e i lunghi
pianti sulla verandase rimbomba improvviso il colpo che t’arrossa
la gola e schianta l’ali, o perigliosa
annunziatrice dell’alba,
e si destano i chiostri e gli ospedali
a un lacerìo di trombe…
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Giorno e notte”
“Giorno e notte” è stata pubblicata per la prima volta nel 1943 sulla rivista Parallelo. Soltanto in seguito essa è stata inclusa nella sezione “Finisterre” de “La Bufera e altro”, raccolta che racchiude tutte le poesie composte da Eugenio Montale fra gli anni ‘40 e ‘50.
L’opera, pubblicata nel 1956 per la prima volta, nasce proprio dal nucleo di “Finisterre” e si articola in altre sei sezioni: “Dopo”, “Intermezzo”, “Flashes e dediche”, “Silvae”, “Madrigali privati” e “Conclusioni provvisorie”, composta da sole due poesie.
“La bufera e altro” segna un profondo cambiamento nella poetica di Eugenio Montale, che qui si serve di uno stile più complesso e meno colloquiale, come a voler imitare attraverso la scrittura la complessità delle relazioni e del reale.
Questa è la raccolta più pessimista, più oscura di Eugenio Montale: la guerra e i suoi indelebili strascichi sono visibili in tutti i componimenti, così come lo è la donna angelo, Clizia, che ricorre spesso a simboleggiare un’ancora di salvezza, una scintilla di luce in fondo al buio.
Un barlume di speranza
Leggendo “Giorno e notte”, già dal titolo, vengono in mente le celebri opere caravaggesche in cui a uno sfondo scuro, minaccioso e tenebroso, fa da contrasto una luce accecante, un bagliore che arriva improvviso a illuminare un qualche dettaglio della tela.
Così, nel tetro paesaggio – del mondo e del cuore – descritto da Eugenio Montale in questa poesia, arrivano dei segnali, dei magici barlumi di speranza che ricordano la presenza della donna amata. Clizia, come un angelo senza corpo, viene a visitare la veglia e il sonno dell’io lirico.
Lo fa con una piuma che entra di soppiatto dalla finestra, con il riflesso di uno specchio lontano, con un raggio di sole che arriva a illuminare il dettaglio di un mobile.
Così, il ricordo di Clizia, la speranza di incontrarla, ma anche il potere che essa esercita sul cuore adombrato del poeta, tornano ciclicamente a illuminare un buio apparentemente senza uscita. Annuncia l’alba, l’angelo Clizia. E non importa se la notte rimbomba di pianti e urla e sirene.
Lei torna sempre, a rischiarare i sogni dell’io lirico, e a ridestarlo dal torpore della notte con una rinnovata fede. Non nel mondo, non nella storia, né nell’uomo. Nelle uniche cose che possono salvare l’umanità: la poesia e l’amore puro.