“Fine del ‘68” è una delle poesie che Eugenio Montale ha dedicato al tema del Capodanno. Diversa dal solito, perché non celebra l’anno passato o l’anno che verrà, ma riflette sul tema dell’indifferenza e dello straniamento. In effetti, non tutti amano questa festività. C’è chi la trova banale e persino ipocrita.
In questo pensiero, un fondo di verità esiste, e la poesia dell’autore ligure aiuta a sviscerare questa peculiarità. Scopriamola insieme.
“Fine del ‘68” di Eugenio Montale
Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.
Tra poche ore sarà notte e l’anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Fine del ‘68”
Lo si evince già dallo stile diverso, dalla grande presenza dell’ironia e del disincanto: “Fine del ‘68” è una poesia matura. Essa è parte, infatti, di Satura, la raccolta che Eugenio Montale pubblica nel 1971 con Mondadori e che sancisce un cambiamento nella sua poetica: il tono è ironico, distaccato e disilluso. I temi sono più civili, meno esistenziali.
Sembra non esserci più spazio per trovare la “maglia rotta nella rete”. La terra è un luogo in cui manca la speranza, in cui si può sopravvivere soltanto grazie all’appiglio dell’amore e della poesia.
Il tema della luna
Il componimento di Eugenio Montale inizia con un’immagine chiaramente di attualità: il periodo in cui scrive l’autore è quello del primo allunaggio. Le conquiste astronomiche dell’essere umano sanno di imprese senza eguali, di conferma di superiorità e di grandezza.
Così, in un ironico ribaltamento, Montale apre la sua poesia con l’immagine di “un modesto pianeta”, la nostra terra, vista dalla luna. Una terra che viene ridimensionata, in cui l’uomo non è che un puntino fra tanti, come del resto il poeta stesso.
Il “tutto è molto stano” che viene posto a sigillo della prima metà della poesia incarna appieno il senso di straniamento che caratterizza l’ultimo Montale: la realtà è modesta e incomprensibile. E fra i momenti più incomprensibili figurano anche i festeggiamenti in occasione del Capodanno.
Una poesia per chi non ama il Capodanno
“Esplosioni di spumanti e di petardi”, ma anche di bombe, o di cose ben peggiori.
A Ornella Vanoni, in questi giorni diventata un meme dopo l’intervista di Pif per lo speciale di “Caro Marziano” andato in onda nei giorni scorsi sulla Rai, la poesia di Montale potrebbe piacere molto: “Mi viene una tristezza… I concerti di Capodanno, e poi tutti fanno uno, due, tre… oddio, che angoscia. Tutti che saltano felici. Ma cosa balli, che è una tragedia?” Così, la cantante ha raccontato al conduttore palermitano il suo rapporto Capodanno.
La sensazione è più o meno quella che lascia “Fine del ‘68”, soprattutto con la chiusa finale: cosa c’è da festeggiare? Violenza – anche nei festeggiamenti – e indifferenza sembrano permeare il mondo che Montale guarda da una prospettiva lontana, distaccata; da una luna che sembra estranea alla nostra barbarie, ancora incontaminata, libera.
Insomma, una poesia perfetta per chi non ama festeggiare l’anno nuovo. Per chi trova che sia ingiusto brindare ad altri 365 giorni di violenza, di povertà e di guerre. Per chi preferisce vivere giorno dopo giorno in modo consapevole e sincero.