Una delle più belle poesie mai scritte da Eugenio Montale si intitola “Felicità raggiunta”, ed è contenuta nella raccolta Ossi di seppia: racconta cosa sia la felicità, come si può evincere chiaramente dal primo verso, e ci mette in guardia sulla sua natura fugace e imprevedibile.
“Felicità raggiunta” di Eugenio Montale
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Il significato di questa poesia
Le parole di Eugenio Montale
Eugenio Montale descrive cosa sia la felicità parlando a lei direttamente, attraverso una serie di immagini fugaci e fragili: “Una volta che sei stata raggiunta, felicità, ti si vive con precarietà, come quando si cammina in equilibrio, sulla lama tagliente di un rasoio. Per i miei occhi sei simile a una fiamma, che traballa. Per il mio piede, sei come ghiaccio sottile, pronto a creparsi”.
“Per questa ragione è meglio che chi tiene davvero a te non si avvicini più di tanto. Se per caso ti addentri nel cuore di chi è disperato per tristezza e lo illumini, il tuo arrivo è dolce e turbolento come lo sono i nidi appollaiati sui cornicioni. Nulla, però, può ripagare il pianto di un bambino a cui vola un palloncino fra le case”.
Leggendo attentamente le parole di Eugenio Montale, che in questa poesia ci parla attraverso immagini e schemi metrici non canonici, scopriamo quanto dolore si annidi dietro il concetto di felicità: come arriva, può svanire. In un soffio, fragile come una fiamma, come il ghiaccio che si infrange sotto il peso dei corpi.
Fra un dolore e un altro
Chi la pensa e la analizza, chi la ama di più, è meglio che non la ricerchi. Perché da essa non scaturisce altra gioia, ma solo la consapevolezza del dolore che tornerà a rabbuiare l’esistenza.
In “Felicità raggiunta”, infatti, anche attraverso evocative immagini ossimoriche, Eugenio Montale esprime il concetto doloroso di una gioia che non può essere eterna, che non può farsi certezza. Se da una parte questa idea può scoraggiarci, dall’altra essa potrebbe, al contrario, infondere il giusto valore al concetto di felicità. Perché essere realisti aiuta ad essere più consapevoli.
La ricerca della felicità
Cosa vuol dire felicità?
Arriva per tutti il momento di chiederselo. Ci domandiamo se sia uno stato d’animo rapido e repentino; se possa diventare, in un modo o nell’altro, stabile; se dipenda da noi esclusivamente o da fattori esterni che non possiamo controllare. Ci domandiamo se sia davvero necessaria; se, infine, esista davvero o sia pura illusione.
Con la sua poesia, Eugenio Montale racconta la felicità nel suo essere effimera, inaspettata ed estremamente fragile. Lo fa con una serie di immagini che rapiscono l’attenzione del lettore e la portano lontano, in un mondo in cui i sentimenti e gli stati d’animo acquisiscono corporeità.
La felicità è sottile come il filo di una lama, bruciante di luce ed evanescente al tempo stesso come il lume di candela che vacilla, fragile come la crepa sul ghiaccio che scricchiola sotto il piede.
Arriva all’improvviso e all’improvviso se ne va, come un miracolo. Salvifica e precaria, la felicità. E preziosa, da amare e custodire, perché ci aiuti a illuminare i momenti in cui essa viene meno.
La felicità è qualcosa da cogliere in modo veloce, spontaneo. Quando arriva schiarisce l’anima, illumina il cuore. Ma, non può fare i miracoli. Quando il cuore soffre, i suoi effetti difficilmente possono cambiare le cose.