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Elizabeth Bishop e “L’arte di perdere”

Quasi sempre, quando vogliamo dimenticare qualcosa o qualcuno, fuggiamo dai ricordi. Con la poesia “L’arte di perdere” Elizabeth Bishop ci insegna che non si può dimenticare senza ricordare.

Non si può dimenticare senza ricordare. Non si può far pace con il passato senza affrontare il dolore. Nella poesiaL’arte di perdere”, Elizabeth Bishop ci racconta attraverso un intenso climax cosa implichi diventare consapevoli della perdita, e come il percorso di guarigione debba necessariamente passare per il ricordo.

Ricordare per dimenticare

Partendo da una frase che viene ripetuta ciclicamente lungo le terzine di questa profonda poesia, Elizabeth Bishop ci accompagna e ci fa adagiare nel nido delle sue parole.

“L’arte di perdere non è difficile da imparare”.

Cominciamo così ad entrare nel mondo di Bishop, con versi che risuonano quasi come un mantra e si fanno strada nel cuore, adattandosi alla nostra vita, al nostro passato, alle nostre perdite.

Perdiamo qualcosa ogni giorno. Il climax ha inizio con quelle piccole cose che ci sfuggono senza che nemmeno ce ne accorgiamo: è così semplice perderle. Bishop ci ricorda che la loro perdita “non è un disastro”. Sembra che siano state create appositamente per questo scopo, per essere perdute per sempre. Un oggetto, così come le ore che sprechiamo in attività poco utili… Sono dimenticati, cancellati.

Il climax della poesia di Bishop procede: tutti i nomi, i luoghi, i dettagli che si perdono negli anfratti della memoria, tutti i volti che incrociamo per strada, tutto ciò che avremmo voluto trattenere in noi e che invece ci sfugge come il tempo. Tutto dimenticato, nostro malgrado.

E poi ci sono i ricordi più preziosi, quelli di un passato lontano che ci ha plasmato, rendendoci come siamo oggi, e di cui Elizabeth Bishop ci parla attraverso la metafora della “geografia perduta”:

Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro”.

Si arriva, infine, alla perdita più importante e difficile da accettare: quella di una persona cara, con cui si è condiviso un pezzo di vita. Ecco cosa vuol dire andare avanti: ricordare, essere sinceri con sé stessi, accettare la perdita nonostante il dolore. Soffrire, toccare le ferite, conoscerle a memoria per guardarle, lentamente, guarire.

“L’arte di perdere” di Elizabeth Bishop

“L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.

Pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.

Ho perduto l’orologio di mia madre.
E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.

Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.

Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato). Questa è la prova. È evidente,
l’arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero (scrivilo!) disastro”.

“One art”

“The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.

Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.

Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.

I lost my mother’s watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn’t hard to master.

I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn’t a disaster.

—Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan’t have lied. It’s evident
the art of losing’s not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster”.

Elizabeth Bishop

Nata l’8 febbraio 1911 a Worcester, Elizabeth Bishop è stata un’importante poetessa, scrittrice e pittrice statunitense.

Reduce da un’infanzia dolorosa per via della precoce perdita del padre e della malattia della madre, la giovane Elizabeth vive in compagnia dei libri e in particolare della poesia, sua àncora di salvezza.

Si appassiona alla scrittura sin da piccola, tanto da occuparsi strenuamente alla rivista della scuola che frequenta. La vita di Elizabeth Bishop è costellata di viaggi e scoperte. Curiosa e appassionata, si reca a più riprese in Europa, in Africa e nel Nord e Sud America. Rimane per molti anni in Brasile, dove si lega all’architetta Maria Carlota de Macedo Soares. Le sue esperienze risuonano nei versi che compone con amore ed attenzione.

Bishop trascorre gli ultimi decenni della sua vita insegnando in diverse università americane e godendo della cospicua eredità del padre, che le permette di condurre una vita serena ed agiata. Muore il 6 ottobre 1979, già nota al grande pubblico per aver vinto il Premio Pulitzer per la Poesia nel 1956 e il National Book Award nel 1970.

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