Emily Dickinson è stata una poetessa dalla penna molto sottile e delicata, che ha dedicato gran parte della sua opera poetica all’indagine dell’interiorità umana; e se i suoi primi esperimenti erano dediche casuali a personaggi presenti nella sua vita, subito dopo si è interessata a delle analisi più profonde a soggetti vaghi.
Nei suoi versi è facile intravedere pensieri, emozioni e percezioni che si muovono come creature vive.
La poesia numero 210 nell’edizione Einaudi, che come tutte è stata titolata dal suo primo verso – “Il pensiero sotto una membrana così fine” –, è un esempio concentrato di questa poetica: quattro versi che racchiudono un universo di introspezione, metafora e immagine naturale.
Qui, la Dickinson ci invita a guardare dentro la mente e a osservare cosa accade quando un pensiero si trova sotto una “membrana così fine” da lasciarlo intravedere, senza però esporlo del tutto.
È un’opera breve ma densa, in cui la leggerezza del velo e la potenza dell’immagine convivono in un equilibrio sottile.
“Il pensiero sotto una membrana così fine” di Emily Dickinson
(Italiano)
Il pensiero sotto una membrana così fine –
si vede più distintamente –
come il pizzo non fa che rivelare il palpito –
o le nebbie – l’Appennino –(Inglese)
The thought beneath so slight a film –
Is more distinctly seen –
As laces just reveal the surge –
Or Mists – the Appenine –
Dickinson parla di un pensiero, fragile e intimo, è protetto da un sottilissimo strato che non lo nasconde del tutto, ma lo lascia filtrare. La metafora del pizzo suggerisce eleganza e delicatezza, mentre l’Appennino avvolto nella nebbia introduce il paesaggio naturale come specchio dell’interiorità: il profilo si intravede, ma non si mostra mai completamente.
Non ci parla di una verità gridata o messa a nudo, ma di una verità sussurrata, che resta affascinante proprio perché velata. Questa “membrana” è allo stesso tempo barriera e rivelazione: protegge e, al contempo, rende possibile la percezione.
Versi importanti
“Il pensiero sotto una membrana così fine”
Qui la poetessa suggerisce che, paradossalmente, il sottile velo non nasconde, ma evidenzia. L’atto del pensare diventa visibile attraverso il filtro della fragilità.
“Come il pizzo non fa che rivelare il palpito”
Il pizzo, simbolo di raffinatezza e leggerezza, non impedisce di percepire ciò che copre, anzi ne esalta la vitalità sottostante.
“O le nebbie – l’Appennino –”
Il passaggio dall’immagine minuta del pizzo a quella maestosa della montagna avvolta nella nebbia crea un salto di scala che amplifica la suggestione: un pensiero può essere piccolo e intimo o vasto e imponente, ma il principio resta lo stesso.
Qualche parola su Emily Dickinson
Emily Dickinson (1830–1886) visse gran parte della sua vita nella casa di famiglia ad Amherst, Massachusetts, conducendo un’esistenza appartata. La sua produzione poetica, ricca di metafore e immagini naturali, riflette una costante tensione tra introspezione e osservazione del mondo esterno.
La poetessa amava ritrarre stati mentali e sensazioni con riferimenti a elementi concreti: fiori, uccelli, luce, ma anche montagne e fenomeni atmosferici. In questa poesia il riferimento all’Appennino è insolito: probabilmente, lo conobbe tramite letture e racconti di viaggi europei, trasformandolo in simbolo universale della realtà velata, di ciò che si percepisce ma non si afferra completamente.
La capacità di raccontare il mistero
Oggi viviamo in un’epoca in cui tutto sembra esigere esposizione e trasparenza totale, tra post social e Stories dove si cerca di sembrare autentici e genuini, mostrando tutta la vita al prossimo come niente fosse e dimenticando cosa sia la privacy.
Emily Dickinson ci ricorda che il fascino di un pensiero, di un’idea o di un’emozione risiede spesso nella sua parziale invisibilità. Il velo non è un ostacolo, ma una lente che permette di vedere in modo più intenso…
Come la nebbia attorno a una montagna, ciò che sfuma i contorni può renderli più evocativi.