“Cose nascoste” (1925) di Costantino Kavafis: l’enigma dell’identità tra silenzi e libertà

4 Agosto 2025

Kavafis comunica la sua difficoltà nell'essere compreso con la poesia "Cose nascoste" del 1925, un silenzio sull'identità celata. Scopri di più...

“Cose nascoste” (1925) di Costantino Kavafis: l’enigma dell’identità tra silenzi e libertà

Cose nascoste” (1925) è uno dei componimenti più intensi e riflessivi di Costantino Kavafis (1863-1933), il grande poeta greco-alessandrino che ha fatto della discrezione e della malinconia del tempo il centro della sua opera.

Pubblicata nella maturità, questa poesia sembra una confessione indiretta: un’autoanalisi che, pur svelando, resta avvolta nell’ombra. In pochi versi essenziali, Kavafis ci trasmette verità non dette, ostacoli interiori e sociali, e l’attesa di un tempo migliore in cui poter essere sé stesso.

 

“Cose nascoste” di Costantino Kavafis

Da quel che ho fatto e da quel che ho detto
non si provi a capire chi sono stato.
Un ostacolo c’era che alterava
le mie azioni e il modo in cui vivevo.
Un ostacolo c’era ad arrestarmi
quando ero sul punto di parlare.
Dai gesti passati inosservati,
dagli scritti più di altri appartati…
solo da lì mi si potrà comprendere.
Ma poi non vale la pena di spendere
tanta cura e impegno per conoscermi.
Un giorno, in una società perfetta,
un altro che sia fatto come me
di certo apparirà e sarà libero.

 

Il testo ruota attorno a un’idea chiave: la difficoltà di essere compresi. Il poeta suggerisce che le sue azioni e parole non rivelano davvero chi è stato, perché qualcosa — “un ostacolo” innominato — le ha sempre deviate o bloccate. Lascia intendere che la sua autenticità si nasconda nei gesti trascurati, negli scritti “appartati”, in ciò che sfugge allo sguardo comune. Eppure, conclude amaramente: “non vale la pena di spendere tanta cura e impegno per conoscermi”.

Ma l’ultima strofa apre uno spiraglio: un giorno, in una “società perfetta”, qualcuno simile a lui potrà vivere libero. È il sogno di un mondo senza vincoli morali, dove la verità dell’essere non debba più occultarsi.

Il peso dell’ostacolo

“Cose nascoste” è una riflessione sulla frattura tra identità interiore e vita esteriore. Kavafis sembra ammettere di aver vissuto dietro un velo non per falsità, ma per necessità.

“Un ostacolo” — ripetuto due volte con forza — è il cuore segreto della poesia: i pregiudizi di una società ostile, forse il timore di ferire, forse il peso stesso del desiderio.

Non dimentichiamo che Kavafis, omosessuale in un’epoca severa, conosceva bene il compromesso tra verità e convenzioni. La sua poesia nasce proprio da questa tensione: dire senza dire, velare ciò che più brucia.

“Cose nascoste” è un autoritratto spoglio, un grido amaro, una lacrima solitaria che ci mostra la fatica di chi non ha potuto vivere interamente alla luce del sole.

E tuttavia non c’è rancore: l’ultimo verso sposta il baricentro sul futuro. Kavafis non sogna per sé, ma per “un altro come me”: un augurio universale, un gesto di speranza affidato al tempo.

Alcuni passaggi chiave

“Da quel che ho fatto e da quel che ho detto / non si provi a capire chi sono stato”

È un avvertimento critico del poeta che sembra allontanare il lettore dalla biografia tradizionale, chiedendogli di studiare tra le righe e cercare bene la sua anima.

“Un ostacolo c’era che alterava le mie azioni e il modo in cui vivevo”

Qui la confessione diventa più drammatica: l’ostacolo non è nominato, ma domina la vita del poeta come una forza muta. È l’ostacolo di molti, nel passato e nel presente. Il termine “alterava” indica una deviazione: l’esistenza non è mai stata interamente sua, ma plasmata da vincoli esterni.

“Dai gesti passati inosservati, dagli scritti più di altri appartati”

Questo è il punto più segreto della poesia. Kavafis lascia un indizio: chi vorrà comprenderlo dovrà cercare nelle pieghe, nelle cose minime, negli scritti non destinati alla scena pubblica. È il ritratto stesso del suo stile: essenziale, sobrio, appartato, distante dalle mode letterarie del tempo.

“Ma poi non vale la pena di spendere tanta cura e impegno per conoscermi”

L’autoironia, qui, è quasi una difesa: il poeta svuota di solennità la ricerca della sua verità, forse per schermarsi dall’intrusione o dal giudizio; è una frase che suona come congedo.

Le “cose nascoste” nella vita di Kavafis

Per comprendere la vibrazione intima di questa poesia, occorre ricordare chi era Kavafis. Nato ad Alessandria d’Egitto da famiglia greca, visse in bilico tra lingue, culture e identità. Condusse un’esistenza schiva, lontana dai salotti, impiegato anonimo di giorno e poeta silenzioso di notte.

La sua omosessualità, vissuta in un contesto rigido, accentuò questa ritrosia. Non potendo esprimersi apertamente, Kavafis affidò ai versi ciò che la vita negava: desideri, rimpianti, confessioni spezzate. Ma lo fece senza clamore, con una scrittura che è tutta pudore e misura. Cose nascoste è la sintesi di questo destino: la consapevolezza di un’identità rimasta in penombra, e la speranza che un giorno la luce non sia più proibita.

© Riproduzione Riservata