“Cose di bottega” è un’emozionante poesia di Konstantinos Kavafis. Qui, l’autore greco che ci ha fatto innamorare di una poetica intima e nostalgica intrisa di storia personale e universale, racconta il segreto per custodire la bellezza che ci circonda: dobbiamo proteggerla dalle insidie del mondo.
“Cose di bottega” di Konstantinos Kavafis
Li ha avvolti, a uno a uno, molto attentamente,
in una preziosa seta verde.Erano rubini e ora sono rose, da ogni perla un giglio,
dalle ametiste ha ricavato viole. Il lavoro di intaglioli ha cambiati, e ora li vede belli: diversi da come li ha studiati
in natura. In cassaforte li ha conservati,come esempi nascosti di un lavoro audace e sapiente.
Se in negozio dovesse arrivare un acquirentetoglierà dalle custodie, e venderà altri, splendidi gioielli:
braccialetti, catene, collanine e anelli.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Cose di bottega”
“Cose di bottega” è una poesia che Kavafis scrisse in distici in rima baciata di endecasillabi, alessandrini e altri metri della tradizione greca. La traduzione che abbiamo letto è quella curata da Andrea Di Gregorio nella raccolta “Kavafis. Poesie” edita da Garzanti nel 2017. La poesia è stata composta invece nel 1913.
“Cose di bottega” è una delle poesie più sottili e metaforiche di Konstantinos Kavafis, poeta dell’intimità e del silenzio, delle rovine e del desiderio trattenuto. Composta nel 1913, questa lirica riflette bene la sua poetica: la bellezza segreta, l’eleganza contenuta, l’allusione come forma di protezione.
Kavafis è il poeta che più di ogni altro ha saputo far parlare il non detto, l’allusivo, il gesto misurato. In questa poesia, il “laboratorio” è metafora dell’anima del poeta, del suo spazio privato e creativo.
Come spesso accade nei suoi versi, ciò che è più prezioso — l’amore, il piacere, l’arte — va celato, protetto dal mondo volgare o disattento. I gioielli nascosti diventano così simbolo di un’esperienza raffinata, forse scandalosa per la mentalità comune, ma pura e sacra agli occhi di chi sa riconoscerla. È una dichiarazione velata di poetica e di identità, un’ode alle cose che brillano nell’ombra.
Il mestiere di scrivere
Lo stile di “Cose di bottega” è limpido ma raffinato, come i gioielli che descrive. Kavafis costruisce l’intero testo su immagini concrete, materiali, quasi artigianali — rubini, perle, ametiste, viole — ma il lessico sobrio e la struttura compatta dei distici gli conferiscono un tono classico, raccolto.
L’uso della rima baciata, mai forzata, accarezza l’orecchio del lettore come un ritornello sommesso. Le trasformazioni che avvengono nel laboratorio — le gemme che diventano fiori, il lavoro di intaglio che muta le forme — sono metafore eleganti della trasfigurazione poetica.
L’arte, come l’amore, prende la materia grezza e la rende visione, purezza. Non c’è enfasi, ma una sensualità misurata, quasi sacra, che si ritrova anche nei verbi usati: “avvolti”, “conservati”, “ricavato”, “cambiati”. Ogni azione è compiuta con cura, con rispetto, come si fa con ciò che si ama profondamente.
L’amore è prezioso, come la poesia
Il cuore della poesia sta proprio in questo gesto protettivo: Kavafis ci parla della necessità di custodire ciò che è raro. I veri gioielli — quelli che ha intagliato con amore e trasformato in qualcosa di unico — non sono destinati alla vendita. Rimangono in cassaforte, nascosti agli occhi del mondo.
Solo oggetti di minore valore verranno esposti e venduti. Questo non è solo un discorso sull’amore segreto, che in Kavafis è spesso omosessuale e quindi nascosto, ma anche sulla poesia stessa: i versi più veri, più intimi, non sono quelli pubblicati e offerti al pubblico, ma quelli serbati nel cuore del poeta, intatti nella loro autenticità.
L’opera d’arte, come il sentimento profondo, si difende dal mondo. In “Cose di bottega” il silenzio non è codardia, ma scelta: quella di sottrarre il sacro all’indifferenza del mercato, di lasciare che le cose splendano, ma nell’ombra.