C’è nel contatto umano un limite fatale di Anna Achmatova è una struggente, ma lucida poesia che evidenzia il confine invisibile che si genera tra gli esseri umani, un punto oltre il quale neanche l’amore più puro può arrivare. Anna Achmatova lo definisce in questa poesia “il limite fatale”.
La poetessa russa descrive in questo poema una soglia invisibile ma inviolabile, una distanza esistenziale che nemmeno l’amore più profondo può colmare del tutto. Anche nel momento più intenso, quando “si fondono le labbra” e “il cuore si dilacera”, rimane un nucleo di solitudine irriducibile.
C’è nel contatto umano un limite fatale fu scritta nel 1915, con una dedica speciale a Nikolaj Vladimirovič Nedobrovo, e fa parte della raccolta di poesie Lo stormo bianco (Belaja Staja) di Anna Achmatova, pubblicata nel 1917.
Leggiamo questa meravigliosa poesia di Anna Achmatova per coglierne la sensibilità e scoprirne il significato.
C’è nel contatto umano un limite fatale di Anna Achmatova
A Nikolaj Vladimirovič Nedobrovo
C’è nel contatto umano un limite fatale,
non lo varca né amore né passione,
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d’amore.Perfino l’amicizia vi è impotente,
e anni d’alta, fiammeggiante gioia,
quando libera è l’anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena…
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.
Quando la solitudine esistenziale non permette di lasciarsi andare
C’è nel contatto umano un limite fatale è una poesia di Anna Achmatova che possiamo considerare una confessione all’intimo amico Nikolaj Vladimirovič Nedobrovo sull’incapacità di provare quelle emozioni che una donna veramente innamorata dovrebbe poter provare.
La poetessa rivela a Nikolaj qualcosa di intimo e profondo, l’incapacità di lasciarsi andare in modo totale, non per una manifesta volontà, ma perché non riesce a provare quelò trasporto emotivo che le persone che si amano dovrebbero avvertire.
C’è un confine invisibile tra due esseri umani, un punto oltre il quale neanche l’amore più puro può arrivare. Evidentemente, il rapporto con il poeta e critico Nedobrovo risente della tumultuosa esperienza matrimoniale di Anna Achmatova, che era sposata Nikolaj Stepanovič Gumilëv, conosciuto nel 1903, quando lei aveva ancora 14 anni, frequentava ancora era il ginnasio, il quale s’innamorò perdutamente della giovane donna.
Ma, la relazione con il marito non riuscì mai a decollare, malgrado il matrimonio avvenuto il 25 aprile del 1910 e la nascita del figlio Lev, datata il 1 ottobre 1912. la freddezza e la titubanza di Anna furono sempre evidenti, tanto da indurre Gumilëv a tentare il suicidio più volte, tutte in corrispondenza dei rifiuti di lei di sposarlo. Ma alla fine qualcosa cambiò e così lei acconsentì, con una cerimonia a cui non parteciparono i familiari, scettici della loro unione.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914 il matrimonio dei Gumilëv cominciò ad incrinarsi. Nikolaj Stepanovic partì per il fronte e Anna si ammalò di tubercolosi. La crisi matrimoniale, la malattia sono certamente la causa del velo di tristezza che comparve nei versi scritti in quel periodo da Achmatova. I due coniugi sono due anime affilate, incapaci di fondersi ma incapaci anche di separarsi senza dolore.
In questo clima emotivo, Achmatova incontra Nedobrovo, che diventa per lei non un amante, ma uno specchio delicato, un’anima affine che sfiora la sua ma non riesce ad attraversarla.
In questo clima emotivo, Anna Achmatova incontra Nedobrovo, che diventa per lei non un amante, ma uno specchio delicato, un’anima affine che sfiora la sua ma non riesce ad attraversarla. La poesia diventa così un manifesto dell’incomunicabilità, una riflessione sulla solitudine dell’anima femminile, anche quando circondata dall’amore, “non riesce a far sentire il suo cuore che batte”. Non è un rifiuto dell’amore, ma la presa di coscienza che nessun amore umano può toccare davvero il cuore, se quel cuore ha scelto il silenzio come sua casa.
Nedobrovo morirà giovanissimo nel 1919. Gumilëv sarà fucilato dai bolscevichi nel 1921. Anna Achmatova si rivelò come una delle più grandi poetesse russe e mondiali. Anna rimarrà, con i suoi versi, testimone dell’assenza, voce eterna di un secolo che ha ucciso l’amore, la parola e la giovinezza.
Il “limite fatale” del contatto umano
Approfondendo i versi della poesia, Anna Achmatova introduce immediatamente l’esistenza di una soglia invalicabile nell’incontro tra due esseri umani
C’è nel contatto umano un limite fatale
“Contatto” non è solo fisico ma anche spirituale e affettivo. “Fatale” suggerisce non solo l’inevitabilità, ma anche il senso di destino, qualcosa che non può essere superato senza conseguenze.
Nemmeno le emozioni più intense riescono a superare questo confine. L’amore, che nella tradizione lirica è spesso visto come fusione totale, si rivela in questa poesia impotente. La passione, con la sua carica di desiderio fisico, è altrettanto incapace di colmare l’abisso tra due anime.
Anche quando il corpo si unisce nell’atto più intimo, resta un silenzio spaventoso, un non detto, un vuoto. L’“orrore muto” richiama la consapevolezza che, anche nel massimo dell’unione sensuale, qualcosa resta irrimediabilmente separato.
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d’amore.
Il cuore prova un amore lacerante, ma questa intensità emotiva non basta a rompere il “limite fatale”. L’amore, invece di unire, lacera, accentuando il senso di solitudine e di separazione.
Nella seconda strofa Anna Achmatova evidenzia che Anche il legame più puro e spirituale, l’amicizia, è incapace di superare quel confine. È una dichiarazione amara, specie se pensata in riferimento a Nedobrovo, con cui Achmatova aveva un legame profondo ma mai completamente consumato o compreso.
Non bastano neanche anni di felicità intensa, vissuta insieme. La metafora della “fiamma” richiama un amore nobile, elevato, ma anch’esso destinato a bruciare senza fondersi. Malgrado, la partecipazione intima guidata dalla reciproca sensibilità, Anna trasferisce a Nedobrovo l’incapacità di sentire l’uomo come vera parte di sé.
quando libera è l’anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.
In questi versi Achmatova, sottolinea l’incapacità di lasciasi andare in modo totale, distinguendo l’anima dal corpo, come qualcosa di separato e autonomo, “libera ed estranea”, il corpo si abbandona a un piacere che è “struggersi lento”, cioè doloroso, logorante. L’anima, però, resta sempre altrove.
Nella terza e ultima strofa, la poetessa russa, rende ancora più manifesta la confessione all’amico speciale:
Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena…
Chi tenta di superare questo confine compie un gesto temerario, forse autodistruttivo. La follia non è solo mentale, ma esistenziale. Sembra voler annullare la distanza tra sé e l’altro è andare contro la natura stessa dell’essere umano.
E se per un attimo si riesce a toccare quel limite, la conseguenza è un dolore muto, senza voce, senza conforto. È come se il confine ci punisse per aver osato troppo. Il dolore è “sordo”, ovvero profondo, solitario, incomunicabile.
Gli ultimi due versi della poesia sono lo svelamento totale del messaggio che la poetessa vuole condividere con l’amico che ama.
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.
Il finale è un colpo al cuore, un messaggio chiaro, esplicito, difficile da non comprendere. Il cuore dell’autrice non risponde al tocco dell’amato, non per mancanza d’amore, ma perché quel limite tra loro non si può superare. Il distacco è definitivo, inesorabile.
Anna Achmatova non riesce a provare quella pulsione, quella passione che una relazione dovrebbe saper donare. E ciò che si evince dal tono dei versi è la dispiaciuta consapevolezza che non potrà mai condividere e contraccambiare la passione desiderata e richiesta.