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“Canzona di Bacco” (1490) di Lorenzo de’ Medici, poesia sul valore della giovinezza

Scopri il grande messaggio della "Canzona di Bacco" di Lorenzo Il Magnifico, poesia che celebra il valore della giovinezza ed esalta il "carpe diem".

Canzona di Bacco di Lorenzo de’ Medici, detto “Il Magnifico”, è una poesia che celebra del carpe diem oraziano, il cogliere l’attimo del presente senza dover pensare al futuro. La vita va vissuta e la giovinezza è un momento della vita da cogliere e da vivere con la massima gioia e felicità.

Il grande “Signore” di Firenze, mecenate e molto coinvolto dal punto di vista artistico, volle dare il suo contributo per sensibilizzare riguardo al tema della fugacità della vita, spingendo a godere la bellezza dell’esistere in tutte le sue forme, esaltando la bellezza, l’amore, i sensi.

Ha scritto Cesare Garboli (1928 – 2004) che “la giovinezza è un luogo-o un non luogo- uno stato di confidenza irrevocabile con la vita, durante il quale ci sembra che il tempo stia fermo, e che la sua fissità, la sua immobilità, coincidano con una misteriosa eternità del futuro.”

La Canzona di Bacco, altrimenti titolata Il trionfo di Bacco e Arianna, fu scritto molto probabilmente nel 1490 e fa parte dei Canti carnascialeschi (Canti di carnevale) di Lorenzo il Magnifico, pubblicati proprio in quell’anno.

Leggiamo in versi della poesia di Lorenzo de’ Medici, per interpretare questa originale concezione della giovinezza, grazie al contributo del professor Dario Pisano.

Canzona di Bacco di Lorenzo de’ Medici

Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arïanna,
belli, e l’un dell’altro ardenti;
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe e altre genti
sono allegri tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se non gente rozze e ingrate;
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.

Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi,
oggi sìan, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi.
Ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti,
arda di dolcezza il core:
non fatica, non dolore!
Ciò che ha esser, convien sia.
Chi vuole esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

La fugacità della giovinezza

Canzona di Bacco è una poesia di Lorenzo de’ Medici in cui la giovinezza viene rappresentata come fase della vita da cogliere in tutti i suoi aspetti. Si vive una volta sola e quando si è giovani è meglio godere al massimo della bellezza di tutto ciò che l’esistere offre e pone davanti.

Pensare al dopo, al domani, senza cogliere il dono dell’oggi è un peccato che molte volte si compie. Il Principe, a cui Niccolò Machiavelli dedicò la sua celebre opera, aveva una visione lungimirante della vita e un culto per la bellezza. Proprio per questo decise di comporre un vero e proprio inno alla giovinezza.

L’interpretazione di Dario Pisano

Secondo quanto sottolinea Dario Pisano, il tema della fugacità della giovinezza è tra quelli più cari ai poeti, i quali hanno dedicato moltissime opere a celebrare il dono più bello ed effimero della vita; uno di questi è Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, mecenate e poeta nato il giorno 1 gennaio 1449 a Firenze e scomparso il 9 aprile 1942.

La versatilità di Lorenzo per molti generi letterari si può appurare dai diversi tipi di componimenti che ha scritto, connotati tutti da un identico entusiasmo nell’affrontare i vari temi e nello sperimentarsi su differenti piani stilistici. Oltre a poemetti, rime, canzoni a ballo e strambotti, egli si cimentò nei Canti carnascialeschi, molto diffusi a Firenze, specialmente in occasione del carnevale.

Avevano infatti la funzione di accompagnare – con musica – i carri mascherati. Lorenzo aggiunge una nota di festosità e di brio ai ritmi che la tradizione popolare aveva tramandato e ne nobilita anche la lingua. Il più famoso canto è quello di Bacco, noto appunto come Canzona di Bacco, che fa veramente da spia per capire a fondo l’anima del poeta mediceo.

È un testo di navigazione scolastica perenne dove, al di sotto del tono burlesco e scherzoso, dell’atmosfera euforica in cui la scena è ambientata, si cela una vena profondamente malinconica. In piena esaltazione della vita e della giovinezza, si insinua il motivo della fugacità e dell’incertezza del domani.

In ciò, l’atteggiamento dell’uomo nuovo del Rinascimento, il quale pur avendo tanta fiducia nelle proprie capacità costruttive e creative, ha perduto ogni sicurezza nei valori soprannaturali e vive, quindi, momento per momento. rinunciando a porsi interrogativi metafisici, per non essere costretto ad ammettere i suoi dubbi.

Riporto l’incipit del componimento laurenziano:

Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia:
chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.

La ballata si apre con la proposta che enuncia il tema fondamentale del testo, poi richiamato insistentemente nelle riprese (gli ultimi due versi di ciascuna strofa) e in maniera esplicita ai versi 45 – 50 («Ciascun apra ben gli orecchi / di doman nessun si paschi; / oggi sian, giovani e vecchi, lieto ognun, femmine e maschi. / Ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia»).

La spensieratezza… un eccesso del presente

La giovinezza fugge inesorabilmente (il poeta francese ottocentesco Charles Baudelaire dirà che il tempo mangia la vita), dunque si goda del momento presente perché il futuro è incerto. Questo invito ha una validità perenne. Il problema di noi uomini è che – come scrive Pier Paolo Pasolini – la luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci. Possiamo dire così: l’ansia è un eccesso di futuro; la depressione un eccesso di passato; la spensieratezza…un eccesso di presente!

La giovinezza nei poeti

Questo è in realtà un tema già classico, di ascendenza epicurea ( Epicuro è il filosofo di età ellenistica che voleva insegnare agli uomini la corretta postura esistenziale; quell’ars bene vivendi in grado di affrancarli dall’angoscia di vivere ). Un messaggio analogo a quello di Lorenzo ci viene dal mondo latino, dal poeta Orazio il quale ci invita al carpe diem, ossia ad afferrare l’attimo, che vuol dire valorizzare al massimo il presente facendo il minimo affidamento possibile sul futuro.

Il poeta statunitense Wallace Stevens ci ha insegnato che « la Morte è la madre della bellezza »: la caducità, l’impermanenza di tutte le cose è ciò che le rende particolarmente care a noi uomini.

Il poeta greco Mimnermo ha scritto che « Fulmineo / precipita il frutto di giovinezza / come la luce di un giorno sulla terra » ( traduzione di Salvatore Quasimodo ).

L’invito, dunque, che in questa canzone viene rivolto ai giovani, ad essere lieti, a godere nella loro migliore stagione, muove non già da una concezione banalmente edonistica della vita, ma da un senso profondo di angoscia di fronte al buio del dopo, all’enigma del domani, sia terreno sia ultraterreno. La morte – ci ha insegnato Gianna Manzini – « è il buio che circonda la vita per rialzarne i colori.»

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