Canto della mia nudità di Antonia Pozzi è una poesia intensa, per certi versi rivoluzionaria, soprattutto se si considera l’epoca in cui fu scritta. A soli 17 anni, Antonia Pozzi mette in versi la scoperta del proprio corpo, la consapevolezza della sua bellezza fragile, e il desiderio profondo di offrirsi a un amore che sa già essere impossibile.
È la voce di una giovane donna che si guarda con occhi lucidi, che si espone. Sia chiaro non per provocare, ma per essere vista, accolta, amata. Si rivolge a un uomo preciso, probabilmente il suo professore Antonio Maria Cervi, figura amatissima e osteggiata dalla famiglia, che l’ha segnata profondamente, molto probabilmente accompagnadola all’insano gesto del suicidio avvenuto il 3 dicembre del 1938.
Questo amore, che la poetessa sente intimo e spirituale prima ancora che fisico, è però condannato alla distanza, al silenzio, alla rinuncia. E proprio in questo squilibrio tra desiderio e realtà prende forma la poesia. Sembra vivere un canto del corpo che si offre, ma che rimane solo, un inno alla sensualità, alla verità, alla solitudine.
Canto della mia nudità fu scritta a luglio del 1929 e si può leggere nel libro Poesie di Antonia Pozzi, pubblicato da Garzanti nel luglio del 2021.
Leggiamo questa meravigliosa poesia di Antonia Pozzi per coglierne la sensibilità e scoprirne il significato.
Canto della mia nudità di Antonia Pozzi
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
o sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d’avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.Palermo, 20 luglio 1929
La visione femminile della scoperta del corpo come atto poetico e d’amore
Canto della mia nudità è una poesia di Antonia Pozzi che unisce sensualità, fragilità e presagio. In questi versi la giovane poetessa si osserva, si espone, si interroga. E con una lucidità spiazzante mette in scena il corpo come luogo di rivelazione e destino, tra pulsioni vitali e presentimento che la vita non possa essere quella desiderata.
Nei versi di questa lirica si avverte già la lacerazione tra l’istinto e il dovere, tra il cuore e le convenzioni sociali. La poesia diventa allora l’unico spazio possibile per dire l’amore, per toccare simbolicamente chi non si può raggiungere nella vita.
Guardami: sono nuda.
La poesia si apre con un imperativo diretto: “Guardami”. Non è uno scontato invito erotico, ma una richiesta di riconoscimento profondo. La nudità di cui parla Antonia Pozzi non è solo fisica, ma anche psichica ed esistenziale. Spogliarsi significa mostrarsi per ciò che si è, senza mediazioni. Il corpo diventa parola, e la poesia è un atto di vulnerabilità e verità.
Molto probabilmente l’uomo a cui si rivolge nella poesia è Antonio Maria Cervi, il suo professore di greco e latino, trentenne, uomo colto, severo, appassionato di arte e filosofia. Tra i due si crea un’intesa profonda, fondata non su attrazione fisica o convenzioni romantiche, ma su un’alleanza spirituale. La giovane allieva riconosce in lui non solo una guida intellettuale, ma anche un’anima affine, tormentata, idealista, intensamente votata al sapere e al bene.
Il legame tra Antonia e Cervi è un un amore assoluto, totalizzante, che però si scontra con il mondo reale. Il padre di Antonia, avvocato e uomo d’ordine, percepisce questa relazione come inaccettabile e inopportuna: interviene, proibisce, separa. La relazione tra i due innamorati s’interromperà presto.Nel 1933 Antonia scriverà, con devastante lucidità, di aver rinunciato alla “vita sognata”, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”. L’amore, così come lei lo concepiva, fusione di anima, mente e ideali, le viene strappato. E ciò che rimane è la poesia, come forma di sopravvivenza.
Il corpo nudo diventa un appello alla vita e all’amore desiderato
Antonia Pozzi nei versi della poesia descrive il proprio corpo con precisione e pudore allo stesso tempo. La “magrezza acerba”, il “color d’avorio”, la “pallida carne” evocano una figura diafana, quasi preraffaellita, che sembra sul punto di dissolversi nella luce. Il sangue non scorre, “rosso non ne traspare”: è un corpo che vive più di pensiero che di materia, più di contemplazione che di pulsione.
Ma non è un corpo inerte: le “giunture scarne e salde” sono quelle di un “puro sangue”, di un animale nobile e fiero. La fragilità e la forza convivono, rendendo questo autoritratto profondamente umano e insieme mitico.
Ricordiamoci che è ancora una ragazza di soli diciassette anni, che inizia a scoprire le proprie pulsioni e il desiderio dell’uomo che ama e che molto probabilmente non potrà avere. Emerge nella poesia la delicatezza dello sguardo femminile nel guardare e raccontare il proprio corpo, convinta di essere pronta all’0uomo che ama, di essere pronta a condividere la propria intimità con l’altro sesso.
La condivisione dell’eros con il principio di morte
L’esplicita esposizione delle proprie qualità feeminili emergono con chiarezza nella parte finale della poesia.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà.
Questi versi sono straordinari. Antonia Pozzi non rimuove il desiderio, lo nomina: “m’inarcherò nuda / domani sopra un letto”. C’è un’attesa, un’apertura al piacere, ma anche una condizione subordinata, “se qualcuno mi prenderà”, che denuncia una solitudine affettiva e una dipendenza emotiva.
La ragazza evidentemente sente l’esigenza di farsi donna e di poter condividere la propria mente e il proprio corpo con una persona che si possa prendere cura di lei e allo stesso tempo con cui possa condividere sensibilità, pensiero, sentimenti, emozioni, poesia.
Stiamo parlando di una giovane donna che ha fatto della letteratura, della filosofia, della poesia non solo un momento di acculturamento, ma un vero e proprio stile di vita.
Il finale della poesia si fa crudo, vero, inimmaginabile per una diciassettenne che di fronte a lei ancora tutta una vita.
E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra
L’immagine erotica si rovescia in un’immagine di morte. La nudità diventa definitiva, la posizione supina del piacere diventa la postura della morte. È una visione che anticipa inquietantemente il destino di Antonia Pozzi, che morirà suicida a soli 26 anni.