Benvenuta, donna mia, benvenuta! (1948) di Nazim Hikmet, poesia sul potere miracoloso dell’amore

20 Novembre 2025

Scopri il significato dei versi di "Benvenuta, donna mia, benvenuta!" una delle poesie più intense di Nazim Hikmet sui miracoli dell'amore.

Benvenuta, donna mia, benvenuta! (1948) di Nazim Hikmet, poesia sul potere miracoloso dell'amore

Benvenuta, donna mia, benvenuta! di Nazim Hikmet è una di quelle rare poesie in cui i sentimenti non restano sospesi nei versi, ma trasformano la realtà. Dentro una cella spoglia, senza acqua di rose né lino candido, l’arrivo dell’amata diventa un miracolo quotidiano: il cemento si fa prato, le sbarre fioriscono, le lacrime diventano perle.

È la prova più poetica e struggente di ciò che l’amore può fare quando tutto sembra perduto. Una dichiarazione di libertà che nasce nel luogo meno libero di tutti.

Benvenuta, donna mia, benvenuta! fu scritta nel 1948 ed è inclusa nella raccolta Poesie d’amore di Nazim Hikmet, pubblicata a Milano da Mondadori nel 1963, nella celebre traduzione di Joyce Lussu.
In quell’anno, in cui fu scritta la poesia, Nâzım Hikmet era incarcerato nella prigione di Bursa, in Turchia. Il poeta iniziò la detenzione nel 1938 e rimase rinchiuso in carcere fino al 1950, per ben 12 anni. Il motivo della sua condanna fu di natura puramente politica, mascherato da accuse di insubordinazione militare

Leggiamo questa poesia di Nazim Hikmet per coglierne la bellezza e scoprirne il significato.

Benvenuta, donna mia, benvenuta! di Nazim Hikmet

Benvenuta, donna mia, benvenuta!
certo sei stanca come potrò lavarti i piedi
non ho acqua di rose né catino d’argento

certo avrai sete
non ho una bevanda fresca da offrirti

certo avrai fame e io
non posso apparecchiare
una tavola con lino candido

la mia stanza è povera e prigioniera
come il nostro paese.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

hai posato il piede nella mia cella
e il cemento è divenuto prato

hai riso
e rose hanno fiorito le sbarre

hai pianto
e perle son rotolate sulle mie palme

ricca come il mio cuore
cara come la libertà
è adesso questa prigione.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

L’amore trasforma anche una prigione rendendo libero chi è prigioniero

Benvenuta, donna mia, benvenuta! è una poesia di Nazim Hikmet che racchiude un messaggio semplice e potentissimo, l’amore può trasformare anche il luogo più ostile, perfino una prigione, nella forma più alta di libertà. Hikmet racconta come la presenza dell’amata non cancelli il dolore della detenzione, ma lo trasfiguri, restituendo allo spazio buio della cella una nuova luce.

La poesia nasce nel 1948, durante uno dei periodi di reclusione più duri dell’autore nelle carceri turche. Hikmet, perseguitato politico, visse anni di isolamento, sorveglianza e privazioni. In quelle condizioni, l’amore per Piraye, moglie, musa, ancora di salvezza, divenne una forza interiore che gli permise di resistere e creare. La visione poetica non nega la prigione, ma la rilegge attraverso la potenza del sentimento, capace di generare bellezza in mezzo alla brutalità.

Quando l’amore riesce a trasformare la cella in paradiso

La poesia si apre con un gesto di umiltà quasi dolorosa. Hikmet accoglie l’amata chiedendo scusa per tutto ciò che non può offrirle: non ha un catino d’argento, non ha acqua di rose, non ha bevande fresche né una tavola imbandita. È un’accoglienza ferita, di un uomo che vorrebbe essere generoso ma è costretto alla privazione. La cella è “povera e prigioniera”, e il paragone con “il nostro paese” aggiunge subito una dimensione politica: la prigione del poeta è la stessa in cui si trova la sua patria.

Poi avviene il miracolo. L’ingresso dell’amata non è un dettaglio realistico, ma un evento che cambia la natura stessa del luogo. Basta che lei “posi il piede nella cella” e il cemento si trasforma in prato: non è un’immagine di fantasia, è un modo per dire che la bellezza arriva anche dove non dovrebbe essere possibile. E quando lei ride, perfino le sbarre, simbolo massimo della costrizione, fioriscono di rose. L’amore non distrugge la prigione, ma la sovrascrive, la ricrea dall’interno.

Il momento forse più intimo è quello delle lacrime. Lei piange, e le lacrime non diventano un peso: si trasformano in “perle” che rotolano sulle palme del poeta. Qui Hikmet mostra una tenerezza assoluta. Il dolore dell’amata è qualcosa da accogliere, da custodire, da considerare prezioso.

Il finale rovescia tutto con un paradosso meraviglioso. La prigione, luogo di privazione totale, diventa “ricca come il mio cuore, cara come la libertà”. È il culmine del poema. La cella non è cambiata nella sua struttura, ma è cambiata nella percezione. È l’amore che crea un mondo nuovo, non annienta la sofferenza, ma le dà un senso.

La libertà, allora, non è solo uno spazio fisico, è uno stato dell’anima che nessun muro può imprigionare.

l’amore come forza che libera e riscrive il mondo

Il cuore di Benvenuta, donna mia, benvenuta! è un’idea semplice e rivoluzionaria: l’amore non cancella il dolore, ma gli dà una forma nuova. Hikmet non finge che la prigione non esista; non trasforma la cella in un luogo romantico. La prigione rimane dura, spoglia, ingiusta. Ma la presenza dell’amata riscrive il suo significato, la rende vivibile, la illumina di una libertà interiore che nessun regime può soffocare.

Il messaggio è doppio. Da un lato c’è la dimensione personale: il poeta, prigioniero e privato di tutto, ritrova nella relazione umana una ricchezza che nessun oggetto materiale potrà mai eguagliare. Dall’altro c’è la dimensione politica. In un paese oppresso, in un tempo di persecuzioni e silenzi forzati, l’amore diventa una forma di resistenza, una dichiarazione di dignità, un modo per affermare che la vita può fiorire anche dove non dovrebbe esserci nulla.

Hikmet ci consegna così una verità che supera la sua biografia. La libertà non è sempre un luogo, ma a volte è un sentimento, altre volte uno sguardo, altre ancora una presenza.
E quando l’amore entra in scena, perfino la realtà più dura può trasformarsi in un giardino inatteso.

© Riproduzione Riservata