“Addio a una vista” è una poesia sulla primavera. La bella stagione, però, è in contrasto con lo stato d’animo dell’io lirico. In questo componimento, infatti, Wisława Szymborska ci racconta il contrasto tra il “fuori” e il “dentro”. Scopriamolo insieme.
“Addio a una vista” di Wisława Szymborska
Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.
Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.
Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sull’acqua
abbiano di nuovo con che stormire.
Prendo atto
che la riva d’un certo lago
è rimasta – come se tu vivessi ancora –
bella com’era.Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.
Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi,
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.
Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.
Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.
Non pretendo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.
Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza –
ci rinuncio.
Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Addio a una vista”
All’interno della raccolta La fine e l’inizio, la poesia “Addio a una vista” si muove con la grazia discreta di chi cammina a piedi scalzi tra i resti di un mondo crollato eppure ancora splendente.
È un componimento che incarna con struggente lucidità il cuore dell’opera: quel momento sospeso in cui il dolore non è più urlo, ma eco; in cui la vita, pur ferita, ricomincia a pulsare.
La primavera, emblema della rinascita, torna puntuale, eppure la voce poetica la osserva da una distanza incolmabile, come chi ha conosciuto una fine intima, silenziosa.
In questa cornice, “Addio a una vista” si fa specchio dell’intera raccolta: una poesia del dopo, che canta non ciò che accade, ma ciò che resta, ciò che sopravvive, ciò che – pur essendo ancora bellissimo – non ci appartiene più.
È una resa quieta, fatta non di disperazione ma di una profonda, lucida accettazione del tempo e delle sue leggi imperscrutabili.
Lo stile della poesia
Lo stile di Szymborska è, come sempre, disarmante nella sua apparente semplicità. La poesia è costruita come un susseguirsi di negazioni e concessioni: non ce l’ho con la primavera, non incolpo, non mi fa soffrire, non pretendo.
E in questo ritmo sommesso, fatto di frasi brevi e misurate, si avverte tutta la forza contenuta di un dolore che non cerca di imporsi, ma solo di essere riconosciuto.
Le immagini sono limpide e quotidiane – un tronco di betulla, i giuncheti, le onde – eppure dentro di esse si aprono abissi di senso.
Le ripetizioni (non ce l’ho, non pretendo, prendo atto) diventano figure musicali che scandiscono il distacco, mentre il tono colloquiale cela, come un velo leggero, una solennità quasi sacra.
Non c’è enfasi né retorica: solo una scrittura che sa farsi trasparente, lasciando che a parlare siano i silenzi, gli oggetti, la natura che continua il suo corso.
La primavera, specchio del mondo interiore?
Il cuore del componimento pulsa nel contrasto tra la bellezza intatta del mondo esterno e lo strappo irreversibile del mondo interiore.
La natura rifiorisce, le coppie si amano, i giunchi frusciano, ma nulla di tutto questo può più toccare la protagonista. Il dolore non è rabbia, è esclusione: è lo sguardo che guarda senza più appartenere, è il desiderio negato del ritorno.
Il privilegio della presenza viene rifiutato, non per orgoglio, ma per fedeltà a ciò che non c’è più. Il “fuori” – luminoso, vivo, promesso agli altri – si oppone a un “dentro” che è ormai ombra, lontananza, memoria. E tuttavia, nella rinuncia, c’è una forma alta di amore: l’autrice augura agli altri la gioia che lei non può più sentire, riconosce il diritto della vita a continuare.
Così, “Addio a una vista” diventa non solo un saluto struggente a un paesaggio, ma una meditazione profonda sulla perdita, sull’ineluttabile separazione tra ciò che accade e ciò che ci attraversa, tra la scena del mondo e il sipario già calato dentro l’anima.