È con “Abdicazione” che Fernando Pessoa depone la spada, lo scettro e la corona (V. 6/8) e si presenta a noi lettori come un re che rinuncia volontariamente alla propria regalità. Si muove tra confessione intima e metafora, come tipico della sua ereditarietà simbolista, e sceglie di consegnarsi alla “notte eterna” (V. 1), la notte “antica e calma” (V. 14), senza timore alcuno, come fosse suo figlio (V. 1).
Una metafora con la corona in testa
È un’immagine di resa, ma anche di liberazione: una dichiarazione di abbandono dell’illusione del potere, delle fatiche e delle vanità della vita che, scevra dell’eccesso trova la pace in una dimensione notturna.
“Abdicazione” di Fernando Pessoa
(Italiano)
Prendimi, o notte eterna, fra le braccia
e chiamami tuo figlio.
Io sono un re
che volontariamente ha abbandonato
il suo trono di sogni e di stanchezze.La mia spada, pesante alle mie braccia esauste,
a mani forti e calme la ho affidata;
Lo scettro e la corona – li ho lasciati
nell’anticamera, ridotti in pezzi.La mia cotta di maglia, così inutile,
i miei speroni, dal tintinnio così futile,
li ho deposti sul gelido scalone.Ho smesso la regalità, corpo e anima,
per tornare alla notte antica e calma
come il paesaggio quando muore il giorno.(Portoghese)
Toma-me, ó noite eterna, nos teus braços
E chama-me teu filho.
Eu sou um rei
Que voluntariamente abandonei
O meu throno de sonhos e cansaços.Minha espada, pesada a braços lassos,
Em mãos viris e calmas entreguei;
E meu sceptro e corôa – eu os deixei
Na antecamara, feitos em pedaços.Minha cota de malha, tão inutil,
Minhas esporas, de um tinir tão futil,
Deixei-as pela fria escadaria.Despi a realeza, corpo e alma,
E regressei á noite antiga e calma
Como a paisagem ao morrer do dia.
“Abdicazione” è uno dei tanti componimenti presenti in “Poesie Esoteriche”, dove il lavoro d’introspezione di Pessoa trova terreno fertile in longhi ragionamenti occulti e filosofici. È in questa raccolta che sfoga il dolore della sua vita segnata dall’isolamento e dall’inquietudine con opere degne dei suoi modelli simbolisti e maledetti.
Tra i versi possiamo leggere la confessione di un uomo che sceglie di sottrarsi al peso della vita, di liberarsi da un potere che non porta gioia, ma solo fatica. Pessoa, con il suo temperamento malinconico e introspettivo, mette in scena l’abbandono del “trono di sogni e di stanchezze” (V. 5): non un potere reale, ma un potere simbolico, fatto di illusioni, ambizioni, e di quella regalità interiore che pesa come una condanna.
La “notte eterna” (V. 1) diventa allora rifugio e madre: non solo la morte, ma un nido, una dimensione superiore in cui dissolvere le contraddizioni dell’io. Non è una resa vile, ma una rinuncia consapevole: l’accettazione di un limite e, al tempo stesso, un atto esoterico di ritorno all’origine.
Analisi dei passaggi principali
“Prendimi, o notte eterna, fra le braccia e chiamami tuo figlio”
La poesia si apre con un’invocazione: la notte non è assenza, ma presenza viva, madre accogliente; e lo capiamo dal verso in cui il poeta si personifica come “figlio“. Pessoa, affascinato dall’esoterismo, qui trasforma la notte in un’entità superiore che accoglie l’anima come un’entità affettuosa.
“La mia spada, pesante alle mie braccia esauste, a mani forti e calme la ho affidata”
Qui emerge il tema della stanchezza. La spada, simbolo di lotta e difesa, diventa insostenibile. L’immagine richiama il temperamento fragile di Pessoa, la sua difficoltà ad affrontare la vita pratica, la sua inclinazione a rifugiarsi nella scrittura e nel sogno.
“Ho smesso la regalità, corpo e anima, per tornare alla notte antica e calma”
Il finale suggella la scelta: l’abbandono non è solo fisico ma totale, corpo e anima. La “notte antica” è il ritorno al grembo dell’eterno, alla pace cosmica. È la rinuncia che diventa paradossalmente vittoria: l’uomo non è più schiavo delle sue illusioni.
Qualche parola su Pessoa
Fernando Pessoa (1888–1935) visse gran parte della sua vita a Lisbona, in una dimensione di solitudine e dedizione quasi ossessiva alla scrittura. Introverso di natura crebbe per alcuni anni in Sudafrica e, quando tornò in Portogallo, non si sentì mai completamente a casa.
Appassionato di esoterismo, astrologia, cabala e occultismo, Pessoa vedeva l’uomo come un essere attraversato da forze invisibili, destinato a cercare un senso nell’oscurità. “Abdicazione” riflette questa visione: il poeta abdica non a un potere politico, ma alla “falsa regalità” dell’io. Il gesto di deporre la corona in pezzi e la spada troppo pesante diventa metafora della rinuncia alla vita mondana per abbracciare il mistero della “notte eterna”.
Se consideriamo anche il carattere di Pessoa — ansioso, incline alla malinconia, capace di straordinari voli intellettuali, ma spesso paralizzato nella vita quotidiana — non sorprende che per esprimersi abbia scelto proprio la figura del re stanco: egli stesso si sentiva spesso sovraccarico di progetti che raramente riusciva a portare a termine.
Abdicare oggi
“Abdicazione” di Pessoa è una poesia capace di parlare al cuore di molti: parla di resa emotiva, ma anche di lucidità.
Oggi, in un mondo dove siamo spinti a performare al 100%, dove siamo costretti dalla società a perseguire obbiettivi irrealizzabili con il solo scopo di brillare più degli altri per mantenerci “regali” a tutti i costi, i versi di Pessoa ci ricordano che esiste una nobiltà diversa dalla vittoria e una ancora più grande della sconfitta: la rinuncia. Deporre le armi, tornare a un rapporto intimo con la vita, con se stessi e con l’eterno.
Ed è così che quell’abdicazione potrebbe diventare inizio di qualcosa, non solo fine; perché se è vero che nei Tarocchi “La Morte” può essere tradotta come “cambiamento”, è vero anche che “La notte eterna” di Pessoa potrebbe essere una sua parente: una metafora di pace cosmica, di silenzio fertile, di ritorno all’essenziale.
In questo senso, la poesia assume le sembianze di una lezione spirituale: l’abdicazione non è la fine, ma l’inizio di un’altra dimensione.