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“A Silvia” (1828), la poesia di Giacomo Leopardi sulle fine della speranza e della felicità

Scopri il significa di "A Silvia", una delle poesie più famose di Giacomo Leopardi, sulla morte di Teresa Fattorini e la dine delle illusioni giovanili.

A Silvia di Giacomo Leopardi è una delle poesie più belle e famose della letteratura italiana in cui il poeta affronta il grande tema della disillusione. Una poesia molto attuale se si considera la percezione generale contemporanea sul futuro.

Per Leopardi non c’è spazio per una visione ottimistica dell’esistenza, esiste, purtroppo, l’inevitabile infelicità degli esseri umani e ogni speranza è destinata a crollare.

Una poesia dedicata ad una ragazza morta per tisi troppo giovane. Era il 1818 e lei era Teresa Fattorini, a cui il poeta diede il nome “ideale” di Silvia, traendo ispirazione dall’Aminta di Torquato Tasso.

Teresa era la figlia del cocchiere di Casa Leopardi, e con questa “fanciulla” Giacomo Leopardi aveva condiviso le aspettative e i sogni della propria giovinezza. La morte dell’ideale amata diventa il simbolo della fine di ogni speranza.

A Silvia fu scritta a Pisa tra il 19 e il 20 luglio del 1828. È il XXI dei Canti, la principale raccolta di poesie di Giacomo Leopardi, pubblicata per la prima volta a Firenze da Guglielmo Piatti nel 1831.

Ma, leggiamo questa splendida poesia di Giacomo Leopardi, cercando di cogliere il profondo messaggio del poeta.

A Silvia di Giacomo Leopardi

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltá splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventú salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
cosí menare il giorno.

Io, gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dí festivi
ragionavan d’amore.

Anche pería fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negâro i fati
la giovanezza. Ahi, come,
come passata sei,
cara compagna dell’etá mia nova,
mia lacrimata speme!

questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

Il Canto della disillusione del genere umano

A Silvia è la celebre poesia di Giacomo Leopardi che mette in scena la grande disillusione del genere umano.

Una poesia attuale e carica di significato, perché attraverso il ricordo della prematura morte di una giovane donna, il poeta di Recanati ci racconta, attraverso il dialogo interiore, la fine di ogni speranza terrena. Le aspettative e i sogni della giovinezza sono destinati a tramontare per sempre avanzando con l’età.

Silvia, ovvero Teresa Fattorini, rappresenta per Leopardi il desiderio di amore della propria giovinezza. In moti critici affermano che la figura di Silvia, è ideale da parte del poeta, anche perché nella poesia non c’è una rappresentazione fisica della stessa.

È l’amata spirituale, è la Beatrice di Dante che accompagna il “sommo poeta” nel Paradiso  della sua Divina Commedia.

La speranza e la disillusione

È  bene sottolineare che A Silvia non è una commemorazione funebre, ma una confessione che Giacomo offre della suo sentire esistenziale. È un dialogo ideale con questa figura femminile, in cui il poeta confessa la fine di tutte le sue illusioni.

La poesia è una sorta di “rito di passaggio”. La morte prematura della ragazza diventa il simbolo della fine delle speranze stesse del poeta, diminuite all’apparire della terribile verità della condizione umana.

Solo la giovinezza permette di avere delle illusioni, mentre l’età matura porta con sé solo un carico di delusioni e dolori.

A Silvia si sviluppa sulle esperienze parallele della giovinezza di Silvia e il passaggio all’età adulta del poeta.

La simbologia della morte prematura segna l’ingresso del poeta in un mondo senza nessuna via d’uscita, non c’è spazio per l’ottimismo e la speranza quando si diventa adulti.

Le aspettative e le illusioni condivide in vita con Silvia, quell’amore atteso e mai realizzato, sono il simbolo dell’ottimismo giovanile. I ragazzi nutrono speranze e vivono il presente con gioia, convinti che il domani la vita renderà concreti il loro sogni.

Ma, quando si diventa adulti si prende coscienza che non esistono sogni e illusioni, ma solo una vita reale da affrontare e subire.

Entrambi i protagonisti della poesia sono vittime della speranza che inesorabilmente si frantuma davanti alla disillusione della vita.

Silvia è morta giovane e non ha potuto godere della vita adulta. Le speranze per lei sono finite nel momento in cui la sua malattia ha messo fine alla sua vita.

Lo stesso però vale per Leopardi che, seppur sopravvissuto all’età della giovinezza, ha sperimentato l’inutile e continua delusione della vita che conduce ad un destino unico per tutti e senza soddisfazioni.

La vita porta al dolore, ci si illude che il passare dei giorni possa portare ad una qualsiasi felicità, ma la speranza si vanifica di volta in volta.

Il ricordo di Silvia

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltá splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventú salivi?

Nella prima strofa il poeta ricorda la figura di Teresa Fattorini. La sua Silvia, ancora giovane e piena di vita attende tutto ciò che di bello la vita le può offrire. La ragazza era ancora inconsapevole del “limitare” della sua vita. Non poteva mai pensare che i desideri della ragazza potessero essere stroncati insieme alla sua vita.

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
cosí menare il giorno.

La figura di Silvia è una compagnia per il poeta. Il canto della ragazza intenta nei lavori casalinghi che all’epoca erano riservate alle ragazze, erano per Leopardi il simbolo la speranza di una vita serena.

Quel canto offre compagnia e combatte la solitudine percepita dal poeta. È il ricordo di un piccolo sprazzo illusorio di una vita felice e piena d’amore.

La giovinezza vissuta da leopardi

Io, gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.

La voce della ragazza era pura evasione per Leopardi. Era un richiamo istintivo a qualcosa che attrae e distrae. È l’amore che inizia a far battere il cuore e offre energia alla speranza.

Il poeta intento nello studio, e sappiamo quanto è stato coinvolto Leopardi in questa attività, si lasciava catturare dalla voce di quella fanciulla e iniziava ad osservala dal suo terrazzo.

Non c’erano altre distrazioni per il poeta, Silvia era l’altra parte della sua giovinezza, era l’illusione di poter vivere il sogno di una vita piena di amore, felice, magari tenendo tra le braccia la desiderata.

Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

Questa strofa conferma le meravigliose sensazioni che gli provocava la figura di quella donna. Sensazioni confermati dalle immagini naturali che propone Leopardi. Tutto gli appare da quel balcone spettacolare. Emozioni intense gli conquistano il cuore.

L’immagine di Silvia e della natura circostante osservata dal balcone, coincidono con le illusioni tipiche della condizione giovanile.

La natura che non mantiene le promesse

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

La morte segna la fine delle illusioni umane

La caduta delle illusioni e di ogni speranza vissute da giovani prende totalmente forza in questa strofa. Il poeta sembra attaccare “Madre Natura” per le sue promesse non mantenute.

Da giovani non si aveva consapevolezza alcuna di cosa potesse invece riservare il “fato”. Il ricordare le speraza e le illusioni giovanili provocano nell’autore un chiaro senso di malinconia, di malumore. Si percepisce il senso della “sventura”.

La vita adulta purtroppo è un’altra cosa.

Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dí festivi
ragionavan d’amore.

In questa strofa emerge il racconto della morte di Silvia. Tutte le illusioni sono destinate a finire. La tubercolosi porta via il corpo e l’anima della ragazza. Tutte le aspettative di una giovane donna in attesa di trovare la propria realizzazione, svaniscono per sempre.

Questo diventa un momento simbolico importantissimo. Perché così come la ragazza portata via dalla morte, anche Leopardi sente di aver perso ogni cosa. Silvia era la sua “speranza” e lei purtroppo è stata strappata alla vita.

Anche pería fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negâro i fati
la giovanezza. Ahi, come,
come passata sei,
cara compagna dell’etá mia nova,
mia lacrimata speme!

La speranza giovanile, “personificata”, in Silvia muore definitivamente con la morte della ragazza. Il poeta costretto dalla vita ad una giovinezza non uguale a quella degli altri ragazzi, ha perso ogni cosa.

Non ha avuto mai la possibilità di poter nutrire neppure i sogni “vissuti” da Silvia. Quella flebile possibilità di trovare un “domani” migliore finisce per sempre.

La rivelazione di un destino senza gioia

La natura matrigna che toglie ai suoi figli ciò che sembra promettere ingannandoli è un concetto che accompagnerà tutta la poesia leopardiana e il suo “pessimismo cosmico”.

La condizione umana è quella dell’infelicità e quando dall’odorosa stagione si passa a quella “invernale” le illusioni sono definitivamente cadute e ciò che la natura sembrava promettere diventa solo un inganno.

questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

Giacomo Leopardi ci dona in questa ultima strofa tutta la sua rabbia. Pone una serie di domande disperate che hanno il senso di indicare la cattiveria del destino umano.

“Madre Natura” toglie ogni cosa e non offre spazio alla speranza. Ogni illusione che la natura promette, ogni aspettativa che il mondo crea, il mondo disattende, provocando profondo dolore e sofferenze.

Le speranze non sono altro che illusioni. La Natura non mantiene le promesse fatte alle sue stesse creature e resta solo la morte a porre vita al dolore scaturito dall’illusione.

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