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“A se stesso” (1833) di Giacomo Leopardi, geniale poesia contro la vanità delle illusioni

Le illusioni e la speranza sono il male assoluto per gli umani. In " A se stesso", Giacomo Leopardi ci invita a rifiutare le passioni e i desideri per sopravvivere al male.

A se stesso di Giacomo Leopardi è una poesia che offre un messaggio duro e potente, il poeta sembra raggiungere il massimo della negatività, affermando che nella vita non bisogna farsi nessuna illusione.

In realtà, la poesia suggerisce di non farsi contaminare dagli ardori e dai desideri per evitare il soffrire esistenziale. Il peggior nemico degli esseri umani è proprio quella passione che genera illusione, finisce per scatenare sofferenza e male.

La poesia fu scritta nel 1833 da Leopardi a Firenze e fu pubblicata nell’edizione napoletana dei Canti nel 1835.

A se stesso chiude il Ciclo di Aspasia, composto da Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo e Aspasia, scaturito in seguito all’innamoramento disastroso di Giacomo Leopardi per Fanny Targioni Tozzetti.

A se stesso presentata la profonda disillusione del poeta, dopo il rifiuto dell’amata. Leopardi rivela il profondo pessimismo e nichilismo a cui è giunto.

La realtà ha perso ogni significato. Ogni illusione è crollata e la vita umana è cosa misera e infelice.

Ma leggiamo questa breve poesia di Giacomo Leopardi per vivere tutta la disperazione del poeta di Recanati.

A se stesso di Giacomo Leopardi

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinita vanità del tutto.

La consapevolezza di Leopardi che la speranza non esiste

A se stesso è una poesia di Giacomo Leopardi nasce dalla consapevolezza del poeta di non che bon ci sarà mai una storia d’amore con Fanny Targioni Tozzetti.

Chi era Fanny Targioni Tozzetti

La nobildonna fiorentina, il cui nome da nubile era Francesca Ronchivecchi, era sposata con il medico e botanico Antonio Targioni Tozzetti, padre delle sue tre figlie.

Fanny Targioni Tozzetti era la protagonsita del salotto letterario più in voga nella Firenze di quegli anni. Era la donna perfetta per illuminare e far palpitare il cuore di Giacomo Leopardi.

Era bella, elegante e colta e, secondo quanto emerge da diverse fonti, grazie al suo fascino riusciva a conquistare molti uomini. Con alcuni di questi ebbe delle storie extraconiugali.

Giacomo Leopardi perse letteralmente la testa per lei, ma la donna non volle saperne di avere una storia con lui. Secondo sempre alcune fonti sembra che Leopardi non abbia mai avuto il coraggio di rivelare i suoi sentimenti alla nobildonna.

Ciò che è certo è che ogni speranza di poter conquistare la stupenda Fanny cadde miseramente nel vuoto assoluto.

Aspasia lo pseudonimo di Fanny Targioni Tozzetti

Alla donna, come dicevamo sopra, il poeta dedica addirittura un ciclo di poesie, il Ciclo di Aspasia.

Aspasia era una donna colta e autorevole, nata a Mileto, città dell’Asia minore, nel 470 a.C. ma vissuta ad Atene, prendendo parte alla vita pubblica della città.

Aspasia fu amante, consigliera autorevole e infine sposa di Pericle. Una parte della tradizione letteraria l’ha descritta nei panni di un’etera, ovvero una cortigiana, insomma una donna di “facili costumi”.

Facciamo attenzione che nell’antica società Greca, le etere costituivano in pratica l’unica tipologia femminile che poteva realmente dirsi indipendente, a volte riuscendo anche a esercitare un’influenza notevole sui personaggi pubblici di una certa rilevanza.

Condannato a dover soffrire per sempre

A se stesso è il dialogo interiore in cui Giacomo Leopardi celebra tutta la sua disillusione riguardo alla gioia, alla felicità, all’amore.

Il poeta tocca il punto più estremo della sua negatività e nei suoi versi sembra di vivere una sorta di lotta contro le avversità che propone la vita e il Mondo nella sua complessità.

Già nei primi due versi della poesia

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,

si avverte immediatamente l’ineluttabile condanna alla sofferenza di Leopardi. L'”inganno estremo” è la manifestazione che l’amore è l’illusione più grande che gli esseri umani possono vivere.

Il poeta avverte con lucidità, nei versi successivi, “Ben sento”, che ogni speranza, ogni illusione di poter avere amore, è destinata a “spegnersi”. Così come il desiderio di poter credere in questa illusione è finito per sempre.

Dal “poserai” del primo verso si passa al futuro “Posa per sempre”, per sancire con forza e definitivamente che non esiste nessuna speranza di salvezza. L’illusione è la disperazione dell’esistenza.

La vita diventa amarezza e noia e tutto il resto si trasforma in nullità. Il mondo nella sua interezza è da disprezzare.

Giacomo leopardi nell’undicesimo verso passa dal grido della condanna all’eterna disperazione, alla presa di coscienza che non resta nient’altro che attendere l’arrivo della morte, per poter espiare la condanna alla sofferenza terrena.

La natura per Leopardi diventa un potere malvagio, “brutto poter”, del tutto cieco ed insensibile rispetto ad ogni forma di bisogno, desiderio, esigenza del genere umano.

Gli uomini sono condannati a vivere per sempre governati da questo malvagio essere che riesce ad imporsi su ogni cosa che è stata creata.

Il punto più estremo della negatività Leopardiana 

Non ci sono dubbi, più nera di così l’esistenza non può essere rappresentata. Ma, nel prendere coscienza della fine di ogni illusione si apre uno scenario di assoluta chiarezza nella mente del poeta.

In A se stesso si respira una forte tensione in cui finisce per esaltarsi un eroismo lucido e rassegnato, sdegnato e superiore, che non si spinge più a urlare la propria protesta e il proprio dolore, ma si chiude definitivamente nel nome di un rifiuto assoluto e totale.

“La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo” esplicita con chiarezza questo cambio di visione da parte del poeta che se ci si pensa, porta irrimediabilmente ad un livello diverso della percezione della vita.

Non è negatività ma disillusione esistenziale

Ad essere messa in discussione è quell’essenza di vanità che l’individuo dimostra nel sognare ciò che la vita non può offrire. La consapevolezza dell’io prende vigore sulla paranoica convionzione che tutto sia possibile.

Giacomo Leopardi guidato dal suo materialismo individua un principio negativo trascendente che si insinua nei corpi e nelle passioni.

L’ardore delle passioni diventa un artefice malvagio che ha costruito il genere umano come sistema dei desideri. L’universo è retto da un principio di desiderio e da una forza amorosa che spinge gli esseri umani all’esistenza.

Leopardi invece invoca un atto di purificazione da tutto ciò che la passione può inculcare nell’anima umana. L’unica soluzione per vivere un’esistenza priva del dolore è spegnere ogni forma di energia passionale, per lasciare spazio all’indifferenza emozionale.

In questo concetto andrebbe riletto quel “pessimismo cosmico” che in modo banalmente critico viene visto come semplice sofferenza dell’umano. In realtà, Leopardi indica la strada “illuminata” del distacco di ogni forma di contaminazione emozionale.

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