Immagina di passeggiare in un giardino greco, tra allori frondosi e fontane che mormorano. All’ombra di quei rami antichi, una voce femminile, risalente al III secolo a.C., rivolge un invito universale: fermati, bevi, lasciati accarezzare dalla brezza estiva.
Anite di Tegea, poetessa dell’epoca ellenistica, ci regala attraverso un brevissimo epigramma (A.P. IX 313) un momento di ristoro interiore che sembra scritto per gli uomini e le donne di oggi. In questo articolo esploreremo la figura di Anite, scopriremo cosa sia un epigramma, analizzeremo il significato del suo verso e ne coglieremo l’attualità estiva.
A.P. IX 313 di Anite di Tegea
Siedi chiunque tu sia sotto le belle rigogliose foglie di alloro
e attingi una dolce bevanda alla bella fontana,
per concedere riposo, al tocco della brezza di Zefiro,
alle tue membra sfinite dalle fatiche dell’estate.La versione originale
Ἵζευ ἅπας ὑπὸ καλὰ δάφνας εὐθαλέα φύλλα
ὡραίου τ᾽ ἄρυσαι νάματος ἁδὺ πόμα
ὄφρα τοι ἀσθμαίνοντα πόνοις θέρεος φίλα γυῖα
ἀμπαύσῃς πνοιᾷ τυπτόμενα Ζεφύρου.
Il significato di questa poesia
Chi era Anite di Tegea
Anite di Tegea, attiva tra la fine del IV e il III secolo a.C., è tra le prime poetesse dell’epigramma greco: figlia della scuola “dorico‑peloponnesiaca”, fu definita “Omero al femminile” da Antipatro di Tessalonica, che la includeva tra le nove Muse terrene.
Autrice di almeno ventuno epigrammi tramandati nell’Antologia Palatina, ella concentri la sua poesia sull’attenzione ai piccoli, alle fragilità: fanciulle, animali, paesaggi naturali.
Le sue opere segnano un passaggio fondamentale: dall’epigramma inciso nelle pietre alla forma letteraria ritmica, pensata per essere letta e meditateda un pubblico colto.
Cos’è un epigramma
In poesia, l’epigramma è un componimento breve, di norma in distici elegiaci, nato come iscrizione su monumenti o statue, evolutosi poi in genere letterario vivo e raffinato.
Nella sua essenzialità sta la sua forza: in poche righe trapela un’immagine, un’emozione, un invito. Anite lo usa con eleganza e delicatezza: i suoi epigrammi bucolici, come l’A.P. IX 313, rappresentano pause liriche radicali, costruiscono atmosfere sospese – ideali per l’estate e per la riflessione personale.
Il significato
In sole quattro righe, Anite dipinge un’oasi di sollievo. Il lettore, senza nome ma invitato con familiarità (“chiunque tu sia”), viene accolto sotto il potente simbolo dell’alloro — pianta sacra, ombrosa e balsamica.
L’invito a bere “dolce acqua” da una fontana rende concreta la suggestione. Infine, la brezza di Zefiro, il vento primaverile-estivo per eccellenza, diventa lo strumento che cura l’anima e il corpo dal peso della fatica e della calura. In un’estate di lavoro e corsa, ecco un invito a rallentare, a ritrovarsi nel contatto con la natura.
Un testo ancora attuale
Da secoli questo piccolo epigramma accompagna viaggiatori, lettori, studiosi. Ha entusiasmato non solo per la sua grazia formale, ma perché offre qualcosa di concreto e universale: una pausa poetica. L’estate contemporanea è spesso paradossale: tra troppe attività e poco spazio interiore.
In questo verso, Anite restituisce un messaggio urgente: fermati. Respira. Ristora mente e corpo. La semplicità del suo gesto poetico diventa, così, un grande atto rivoluzionario.
Gli epigrammi di Anite hanno anticipato modalità che poi avrebbero ispirato autori latini (Catullo, sui piccoli animali; Ariosto, su nature curiose), e poetesse posteriori (Nosside, Saffo).
La sua capacità di rendere sacre la fontana, la brezza, l’invitato anonimo, dimostra una sensibilità che travalica il tempo e assume valenza meditativa, antidoto alla frenesia.
Nel panorama della letteratura greca antica, Anite di Tegea si fa testimone di una femminilità autentica, legata alla vita semplice e all’amore per ogni creatura e per ogni gesto del mondo naturale.
L’estate e il potere della pausa
Leggere questo epigramma in estate è come trovare uno specchio nel quale ritrovarsi. Chi scorre pagine sotto l’ombrellone, chi cerca sollievo in un giardino, chi semplicemente vive la pausa stagionale: l’invito poetico di Anite si offre a chiunque abbia bisogno di riposo.
È una mini-pausa ispira analoga alla meditazione moderna: sostegno, sollievo, presenza. E più la nostra estate è digitale e caotica, più questo invito ha valore.
L’epigramma A.P. IX 313 di Anite di Tegea è una gemma della poesia ellenistica, una piccola porta aperta su entusiasmo, freschezza e coscienza dei sensi.
In un’epoca in cui la velocità ci travolge, la sua voce di oltre 2300 anni fa ci darà un sollievo silenzioso. Quell’invito – siedi, bevi, lascia che la brezza ti attenui – è un messaggio che abbiamo urgente bisogno di ascoltare, soprattutto in estate.
Perché, come scrive Anite di Tegea, il ristoro non è un capriccio ma un gesto necessario, un atto poetico che riconduce il corpo e l’anima all’essenziale.