Ogni anno la Treccani seleziona una parola per raccontare il nostro presente. Un po’ come un hashtag esistenziale, uno specchio lessicale in cui proviamo a guardarci per capire chi siamo diventati. Nel 2024, la scelta è caduta su un termine che sembrava scomparso dalle bacheche dei social e persino dalle chiacchiere quotidiane: rispetto. Semplice, antico, fuori moda. Ma urgentissimo.
Tale parola è oggetto di una delle tracce uscite durante l’esame di Maturità 2025. In particolare, si tratta dell’articolo di Riccardo Maccioni, “Rispetto” è la parola dell’anno Treccani, uscito su Avvenire il 17 dicembre 2024.
Rispetto, la parola, sottovalutata, che può salvarci tutti
La scuola ha scelto questa traccia per far riflettere i maturandi su qualcosa che va oltre i libri. La parola dell’anno è un piccolo esercizio di cittadinanza attiva. È la dimostrazione che le parole non sono solo parole. Sono scelte. E che anche scrivere una traccia alla maturità può essere un primo atto di rispetto: per sé stessi, per gli altri, per il mondo che ci circonda.
Lo spiega bene Riccardo Maccioni nel suo articolo apparso su Avvenire il 17 dicembre 2024: «Una decisione che sembra un auspicio, che porta con sé il desiderio di costruire, di usare il dizionario non per demolire chi abbiamo di fronte ma per provare a capirne le ricchezze». E in effetti, mai come oggi, il rispetto sembra qualcosa da riscoprire e ricostruire: nei dibattiti pubblici, nelle relazioni quotidiane, nel modo in cui trattiamo l’ambiente, i dati, i corpi e le parole.
Viviamo nell’epoca dell’algoritmo emotivo, dove ciò che non urla non esiste. E in questo caos di like, cancel culture, indignazioni lampo e giudizi a pioggia, il rispetto si muove in sordina, senza filtri vintage o sticker brillanti. È una virtù poco telegenica, eppure essenziale. Perché dove non c’è rispetto, nasce l’arroganza, e l’arroganza è la radice sottile di ogni sopruso.
Il rispetto non è il contrario del conflitto, ma il suo migliore alleato: ci permette di discutere senza distruggere. È il codice d’onore invisibile che ci impedisce di “vincere” annullando l’altro. Non è solo buona educazione. È riconoscimento dell’alterità. È accettare che esistano visioni del mondo diverse, corpi diversi, desideri diversi. È ammettere che non siamo il centro dell’universo. È sapere che, in una società pluralistica, la convivenza richiede empatia, non omologazione.
Nel 2025, parlare di rispetto significa anche parlare di intelligenza artificiale, privacy, femminismo, diritti LGBTQIA+, disabilità, ecologia. Significa chiederci: come si declina la capacità di dialogo e accettazione nella realtà aumentata in cui viviamo?
Un errore comune è pensare che, la parola scelta, o sia un valore neutro, applicabile a tutto e a tutti. In realtà, va meritato? Va preteso? Va insegnato? La risposta è: va coltivato. E va anche scelto. Non lo si piò chiedere per le idee violente, per i comportamenti razzisti, per i valori che negano la dignità dell’altro. Il rispetto non è mai complice dell’oppressione.
Chi crede che i giovani non conoscano più di rispettare se stessi e gli altri, dovrebbe farsi un giro nei collettivi scolastici, nei gruppi trans-femministi, tra i ragazzi che manifestano contro l’alternanza scuola-lavoro o che chiedono spazi sicuri per essere se stessi. Il riguardo, per loro, è spesso un atto radicale: non forma, ma contenuto. Non cortesia, ma posizione politica.
E in questo senso, la scelta della Treccani è tutto fuorché banale. È un invito a riscrivere il vocabolario non con la penna del perbenismo, ma con quella della partecipazione consapevole.
Forse “rispetto” è davvero la parola che serviva nel 2024. Dopo anni segnati da pandemie, polarizzazioni, guerre, crisi ambientali e tensioni sociali, il mondo ha bisogno di rammendare i suoi tessuti strappati. E il primo filo da usare è quello del rispetto: lento, resistente, discreto. Ma capace di tenere insieme tutto. Una parola tanto leggendaria quanto banale, che molto spesso viene sottovalutata e la prima a essere sottratta, quando dovrebbe essere una delle poche parole a dover aver importanza.