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Viviana Mazza, ”Malala ha espresso con forza un bisogno, cambiare le cose tocca a tutti noi”

Il libro di Viviana Mazza, con illustrazioni di Paolo d'Altan, è il tentativo di appassionare i ragazzi a una storia che è loro vicina, che tanti genitori hanno già iniziato a raccontare ai loro figli: la ''Storia di Malala'', una ragazzina come loro che si batte con coraggio per il diritto all’istruzione suo e di tante altre ragazze...
La giornalista del Corriere della Sera, che scrive per la redazione esteri e ha seguito tra le altre le vicende del Pakistan e le storia di Malala, presenta il suo libro dedicato alla coraggiosa ragazza divenuta il simbolo della lotta per l’istruzione ed emancipazione femminile

MILANO – Il libro di Viviana Mazza, con illustrazioni di Paolo d’Altan, è il tentativo di appassionare i ragazzi a una storia che è loro vicina, che tanti genitori hanno già iniziato a raccontare ai loro figli: la “Storia di Malala”, una ragazzina come loro che si batte con coraggio per il diritto all’istruzione suo e di tante altre ragazze, contro i soprusi di un regime che si oppone ai diritti delle donne. Dal 2009 Malala tiene un blog sulla BBC per raccontare le ingiustizie subite nel suo Paese, in Pakistan. Per la sua lotta per il diritto allo studio delle bambine è stata ferita da un colpo di pistola alla testa, sul pullman che la riportava a casa da scuola, per mano dei talebani, ma questo l’ha fermata. Oggi Malala è nella lista delle 100 persone più influenti del 2013 secondo la rivista Time ed è stata candidata al premio Nobel per la pace dal partito laburista norvegese e appoggiata dall’organizzazione internazionale Change.org. Il 12 luglio, nel giorno del suo 16simo compleanno, ha commosso il mondo con il discorso tenuto all’ONU, con cui ha voluto testimoniare ancora una volta l’importanza dell’educazione come strumento dell’emancipazione femminile. Personalità politiche e del mondo dello spettacolo le hanno espresso il loro appoggio – Angelina Jolie ha donato 200 mila dollari e ha intitolato a Malala un fondo per lo studio di giovani ragazze indigenti.

Perché raccontare la storia di Malala e perché raccontarla in un libro per ragazzi?
Io avevo già raccontato la storia di Malala agli adulti, sul Corriere della Sera e su La 27ORA, il blog al femminile del corriere.it. Quando mi è stato proposto dalla Mondadori di scrivere su di lei un libro per ragazzi, sebbene non ci avessi mai pensato prima, mi è sembrata un’ottima idea. Malala è loro coetanea: aveva 11 anni quando ha cominciato a scrivere il suo blog per la BBC e ha attraversato il periodo più delicato della crescita – la preadolescenza e la prima adolescenza – in un momento difficilissimo per il suo Paese, per la sua città e per le ragazzine come  lei, riuscendo tuttavia a gestirlo con grandissimo coraggio. Lei stessa aveva raccontato alcuni passaggi della sua storia in interviste, video: c’era molto materiale da cui partire. Ma non c’era un libro per ragazzi – Malala scriverà anche una sua autobiografia, ma non sarà un volume illustrato per ragazzini di 11 anni. Per queste ragioni l’idea di Mondadori mi ha entusiasmato.

È stato difficile trovare le parole per raccontare un’ingiustizia e una tragedia quale quella vissuta da Malala e da tante ragazze nel mondo ai lettori più giovani?
È una cosa su cui ho riflettuto molto mentre scrivevo. È facile attribuire a un personaggio i propri pensieri da adulto, mentre in questo libro volevo fare in modo che la sua voce permeasse il racconto. Volevo che trasparisse il personaggio non attraverso quello che a me sarebbe piaciuto immaginare, ma per quello che realmente questa ragazzina è.  
Nel contempo però il contesto in cui Malala viveva, nel Nord del Pakistan, in una situazione di conflitto e poi di vera e propria guerra, era una realtà lontana e complicata da descrivere – difficile da descrivere persino agli adulti. Il mio tentativo è stato quello di parlarne, senza perdere la complessità di quella situazione, in modo il più possibile semplice e diretto. Questa ricerca della semplicità e della verità nel linguaggio mi ha costretto a ripensare anche il modo in cui si scrive per gli adulti: a volte sui quotidiani si danno troppe cose per scontato.

Nel suo discorso alle Nazioni Unite Malala ha detto “Prendiamo i nostri libri e le nostre penne, che sono la nostra arma più potente. Un libro, un bambino, un insegnante e una penna possono cambiare il mondo”. Perché non riusciamo a fare capire ai nostri ragazzi che i libri, l’educazione e la cultura sono legati a stretto filo al valore della libertà?
È una domanda difficile, cui non voglio fingere di saper rispondere. Forse in questo senso può aiutare cercare di avvicinare le storie alle persone. Se io per esempio sto cercando di descrivere il Pakistan a un ragazzino che non c’è mai stato, un modo più facile di farlo è raccontarlo attraverso delle storie individuali, come quella di Malala, che è una ragazzina come lui.
I libri e la realtà sono più vicini di quello che pensiamo. C’è però un approccio diverso per ogni età. Adesso a me piace tantissimo leggere l’“Economist”, e tra i libri scelgo molti saggi. Se dovessi però trattare gli stessi argomenti per un ragazzino, potrei farlo, ma in un modo diverso.
Questo libro è il mio tentativo di avvicinare i ragazzi a una storia che credo sia importante per loro, e che già moltissimi genitori hanno raccontato ai loro figli prima di me – una cosa che mi ha colpito infatti è che quando Malala era in ospedale riceveva moltissime poesie, lettere e disegni da parte di bambini e ragazzini come lei, che ne avevano sentito parlare dai genitori. Se poi sia riuscita nel mio intento, devono giudicarlo i miei lettori.

Dopo il discorso di Malala all’ONU un talebano ha indirizzato una lettera alla ragazza in cui le chiedeva scusa per quello che le è stato fatto. È un bel messaggio di speranza, non crede?
In realtà questa lettera parte come lettera di scuse, ma si rivela nel seguito tutt’altro. Il comandante talebano che l’ha scritta dice che apprendere la notizia di quanto accaduto a Malala per lui è stato uno shock, che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe voluto succedesse. In verità però procede con il giustificare questo attacco – perpetrato non perché i talebani fossero contro l’istruzione, ma perché Malala aveva parlato contro di loro – e anche i bombardamenti alle scuole per ragazze che sono avvenuti nel Nord del Pakistan – motivati con il fatto che quelle scuole erano state occupate dall’esercito.
Questa lettera è una controffensiva, una contro-argomentazione al discorso di Malala all’ONU. L’intervento di Malala alle Nazioni Unite e le moltissime reazioni e proteste di tutto il mondo contro quelli che l’avevano attaccata hanno preoccupato i talebani, che si sono mossi per presentarsi invece dalla parte del bene. Hanno per esempio accusato Malala di farsi interprete e rappresentare non l’ideale universale dell’istruzione, ma quello dell’istruzione occidentale. La lettera si conclude invitando Malala ad andare a studiare in una madrasa [scuola in arabo – N.d.R.] e a leggere il Corano, anziché stare in Inghilterra. Questa lettera, che è stata percepita come lettera di scuse, era in realtà un modo per dire al mondo musulmano, cui fondamentalmente era diretta: “Attenti, perché Malala non è il simbolo che l’Occidente vuole farne”.

Crede che atti di coraggio come la lotta portata avanti da questa ragazza possano davvero cambiare il mondo?
Il discorso di Malala all’ONU è stato un discorso fortissimo. E le sue non sono soltanto parole: appena uscita dall’ospedale ha creato una fondazione, ha ricevuto moltissime donazioni e ha già distribuito fondi in Pakistan e altrove. Questa ragazzina – e tantissimi altri ragazzi che erano con lei all’ONU – è riuscita senz’altro a comunicare un’esigenza, ma non si può pensare che lei faccia tutto il lavoro. Se gesti come quello di Malala possano o no cambiare il mondo, beh, dipende da tante variabili. Ci sono le responsabilità dei governi, delle organizzazioni internazionali, dei singoli. Per cambiare il mondo bisogna volerlo in tanti.

24 luglio 2013

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