Sei qui: Home » Libri » Vittorio Macioce, ”I beni culturali italiani rappresentano un’opportunità di reddito per il Paese”

Vittorio Macioce, ”I beni culturali italiani rappresentano un’opportunità di reddito per il Paese”

l vero capitale dell’Italia è la cultura e la sua storia, capaci di diventare fonte di reddito e di ricchezza, non ancora opportunamente sfruttate. Parola di Vittorio Macioce, capo redattore de Il Giornale...

Il capo redattore de Il Giornale parla della sua passione per la lettura e di come abbia influito nel corso della sua carriera

MILANO – Il vero capitale dell’Italia è la cultura e la sua storia, capaci di diventare fonte di reddito e di ricchezza, non ancora opportunamente sfruttate. Parola di Vittorio Macioce, capo redattore de Il Giornale. Nato ad Alvito, un piccolo paese tra Sora e Cassino, nel versante laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Macioce analizza la situazione culturale in Italia e porta l’esempio del Festival delle Storie, da lui ideato, come dimostrazione che è possibile fare cultura e valorizzare un territorio senza attendere che siano le istituzioni le prime a muoversi.

Come è nata la sua passione per la lettura?
E’ nata fin da bambino: a 7-8 anni leggevo libri come “I tre moschettieri” o fumetti. Pur essendo figlio di un meccanico e di una panettiera, ho avuto la fortuna di avere due sorelle maggiori e un fratello maggiore che fin da piccolo mi hanno messo i libri sul comodino, dandomi occasione di leggere. Il resto è passione personale. Leggere è una delle cose più semplici e naturali che ci siano: occorre solo avere l’occasione e l’abitudine, dopodiché la passione del leggere diventa una "malattia" di cui non puoi più fare a meno.

Quanto ha influito questa predisposizione nei confronti della lettura nel suo lavoro?
Leggere così tanto fin da piccolo mi ha permesso di avere un potenziale in più: la lettura ti dà più idee, un linguaggio migliore, sviluppa la curiosità e la voglia di raccontare storie. Saper scrivere è in parte una dote naturale, che però credo vada accompagnata dall’esercizio della lettura.

Lei ha un blog chiamato “Il cartografo”. Ce ne può parlare?
Al centro di questo blog, c’è la passione e la voglia di capire il mondo attraverso quello che scrivono gli altri. Il cartografo non è un nome scelto a caso: il compito di chi scrive è quello di costruire dopo il ‘900 la mappa del futuro. Da tempo andiamo avanti con una sorta di navigatore satellitare obsoleto, vecchio almeno  di 30 anni. Questo comporta problemi: applichiamo una visione del mondo datata a problemi nuovi, e non sempre quella mappa è adatta alle circostanze nuove che viviamo. Il rischio di smarrirsi in questi casi è molto forte. Quello che cerco continuamente di fare è di individuare cartografi che possano aiutarmi a riaggiornare la mappa: dalla narrativa americana a quella africana, fino ad arrivare al realismo magico delle cosiddette “terre fredde”( letteratura canadese, islandese…). Identità fortemente legate alla propria terra che stanno cercando di dare nuove visioni del mondo.


In Italia, le istituzioni fanno poco per valorizzare il patrimonio culturale italiano, con conseguenze anche nel numero sempre più inferiore di italiani che leggono. Cosa ne pensa?
 
Più che commentare, preferirei raccontare ciò che faccio io. Sono l’ideatore ed organizzatore del “Festival delle Storie”, un tentativo di fare cultura “prevenendo” l’intervento dello Stato. Sono nato in un piccolo paese, Alvito, che si trova nella valle di Comino, che pochissimi conoscevano. Una “terra di mezzo” tra Roma e Napoli. La scommessa è stata quella di realizzare un festival di 9 giorni itinerante per i paesi della valle, basandosi su un badget ridotto e la passione dei volontari. Riporto questo esempio perché per troppo tempo abbiamo delegato allo Stato la risoluzione dei problemi legati alla cultura. Questo non vuol dire che lo Stato non debba preoccuparsi, ad esempio, di Pompei. La vera tragedia non è trascurare Pompei, ma il fatto che non riusciamo a trasformare Pompei con la sua storia in una fonte di reddito capace di finanziare tutta la cultura in Italia. Lo stato dovrebbe pensare ad una start-up per Pompei. La cultura può creare opportunità e reddito, non deve essere intesa come un peso.

11 novembre 2013

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione Riservata