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Vincenzo Monfrecola, ”Nei miei libri cerco di bilanciare l’humour inglese e l’umorismo napoletano”

L'humour anglosassone nasce da una perfetta sicurezza degli inglesi, mentre l'umorismo partenopeo ha origine dal fatto che i napoletani ridono per non piangere, una necessità che serve per andare avanti tra le avversità...

MILANO – L’humour anglosassone nasce da una perfetta sicurezza degli inglesi, mentre l’umorismo partenopeo ha origine dal fatto che i napoletani ridono per non piangere, una necessità che serve per andare avanti tra le avversità di un territorio che non risparmia niente e nessuno. E’ questa la differenza tra i due timi di umorismo secondo Vincenzo Monfrecola, lo scrittore  che nei miei romanzi bilancia entrambe le anime facendo attenzione che l’una non prenda il sopravvento sull’altra. La terza opera dell’autore, dopo l’esordio con il ‘Decisionista’ e lo ‘Strano furto di Savile Row’, si chiama ‘La stagione degli scapoli‘ e può essere definita una vera e propria commedia dei paradossi, ancora una volta in bilico fra lo humor inglese e la vivacità e l’arguzia partenopea, come è nello stile di Monfrecola. Al centro della vicenda il matrimonio, osteggiato dagli uomini tanto da farli approdare alla fondazione di un vero e proprio ‘scapolificio’ messo costantemente a dura prova però dal fascino intrigante e misterioso delle donne, vere protagoniste.

Come nasce la trama di questo libro?

I romanzi sono delle creature strane che vengono fuori da situazioni ancora più strane. La Stagione degli scapoli, come gli altri miei romanzi, prende spunto dai piccoli fatti della vita. Quelli che una volta si raccontavano durante il pranzo domenicale o con i vicini sul pianerottolo di casa e che ora nessuno sente più perche gli smartphone e i computer hanno occupato ogni spazio della nostra vita.

Per la storia ed i protagonisti ti sei ispirato a fatti e personaggi realmente esistiti?

Assolutamente no. Sono immaginari ma ruotano intorno ad una storia e non viceversa. Entrano ed escono dalla scena, vengono in contatto con personaggi che, nel corso del romanzo, non incontreremo più. Un pò come nella vita. Ma soprattutto si muovono liberamente, senza interferenze. Così mi è toccato rincorrere George, Cyril, Penelope e Vera su e giù per Londra. Da Brighton al mercato di Bermondsey, dal Tamigi a Kennington. Una corsa faticosa ma, devo riconoscere, anche divertente.

Come mai la scelta di contestualizzare la storia sullo sfondo di atmosfere della Belle Époque?

È un’epoca affascinante e ingenua allo stesso tempo. La gente vive nella speranza che il nuovo secolo porterà gioia e benessere e, in parte, è così visto che molte innovazioni artistiche ma anche invenzioni e scoperte della scienza prendono vita proprio agli inizi del ‘900. Quindi in ogni cosa c’è positività e, La Stagione degli scapoli è proprio uno spaccato di società che vive nella positività sebbene l’abbandono dello sposo alla vigilia delle nozze lascerebbe pensare che possa innescare sentimenti tutt’altro che positivi.

Le donne sono le vere protagoniste di questo libro. Dai classici ad oggi, a tuo parere come è cambiato il ruolo delle donne all’interno dell’universo letterario?

La stagione degli scapoli non è solo una battaglia dei sessi. È una battaglia di intelligenze. Quella maschile a corto raggio e quella femminile acuta e di lunga prospettiva. Un vero pericolo per l’universo maschile che fa quel che può per ridurne l’intraprendenza. Non a caso negare alle donne il diritto di voto è un capitolo che ha caratterizzato quel periodo storico. Oggi i timori dell’uomo non sono cambiati visto che abbiamo altri tipi fenomeni come il femminicidio, tanto per dirne uno.

Quest’opera è stata definita una commedia dei paradossi, in bilico fra lo humor inglese e la vivacità e l’arguzia partenopea. Quali sono le differenze tra questi due tipi di comicità? Quali elementi attingi da entrambi?

Amo l’humor inglese perché sottile e raffinato. Ma nel mio dna c’è l’umorismo partenopeo. Il primo è figlio dell’aplomb anglosassone e nasce da una perfetta sicurezza di se stessi. Quello partenopeo ha radici diverse. Il napoletano ride per non piangere. E’ una necessità che serve per andare avanti tra le avversità di un territorio che non risparmia niente e nessuno. Nei miei romanzi bilancio entrambe le anime facendo attenzione che l’una non prenda il sopravvento sull’altra.

26 ottobre 2014

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