La recente scomparsa di Ornella Vanoni ha scosso nel profondo il mondo della musica e della cultura italiana. In questo clima di commozione, il suo libro Vincente o perdente, uscito nel maggio 2025 pubblicato da La nave di Teseo e già accolto con entusiasmo dalla critica, diventa oggi molto più di una semplice biografia. È un’eredità emotiva e artistica, l’ultima preziosa occasione per ascoltare la sua voce autentica.
La sua lettura assume ora il valore di un vero e proprio evento. Possiamo considerarlo come l’ultimo concerto della sua grande carriera: un modo per ritrovarla tra frammenti, ricordi, ironia e confessioni che ci restituiscono, intatta, tutta la sua complessità.
A rendere quest’opera un documento così vivido e pulsante è stato il fondamentale contributo di Pacifico, pseudonimo di Gino De Crescenzo. Il cantautore non si è limitato al ruolo di co-autore, ma ha agito come un confidente discreto e attento, capace di raccogliere il flusso di coscienza della “Signora della canzone” senza imbrigliarlo in schemi rigidi. Pacifico ha saputo tradurre su carta le pause, gli slanci improvvisi e quella disarmante sincerità che ha sempre contraddistinto Ornella, preservando intatta la musicalità del suo racconto.
Un valore, quello di Vincente o perdente, che la critica aveva intuito e celebrato fin dalla sua uscita a maggio. Le recensioni hanno accolto il volume con unanime plauso, lodando il coraggio di una narrazione frammentata e “senza filtri”, lontana dalla classica autobiografia celebrativa. Già allora era stato definito un “diario sentimentale” prezioso.
Oggi, rileggere quelle pagine significa guardare dritto nel cuore di un’icona che ha deciso di congedarsi dal suo pubblico regalando, ancora una volta, la sua verità.
Un’esistenza senza rete, cosa racconta Vincente o perdente
Definire la trama di Vincente o perdente significa tentare di arginare un fiume in piena. Il libro non segue la classica linea retta “nascita-successo-vecchiaia”, ma si muove a spirale, guidato dalla penna sensibile di Pacifico, che funge da interlocutore e specchio. Al centro di tutto c’è la dualità che dà il titolo all’opera: non una domanda, ma una constatazione. Ornella Vanoni ci spiega che si può essere vincenti sul palco, acclamati da migliaia di persone, e sentirsi perdenti un attimo dopo, nel silenzio di una stanza d’albergo o davanti a un conto in banca svuotato dalla fiducia mal riposta.
Il teatro degli affetti: Strehler, Paoli e gli altri
Il cuore pulsante del racconto è la sua educazione sentimentale, priva di quel velo di nostalgia che spesso addolcisce i ricordi. La figura di Giorgio Strehler domina le prime parti del libro, ma viene spogliata dell’aura mitologica. Ornella Vanoni ce lo restituisce nella sua nuda umanità: un genio capace di creare mondi sul palco del Piccolo, ma talmente fragile da chiudersi a chiave in bagno per la paura del debutto, costringendo lei a rassicurarlo attraverso la porta. Un amore che lei descrive come formativo ma “tossico”, fatto di dipendenza e sottomissione artistica, da cui è dovuta fuggire per non annullarsi.
Diametralmente opposto è il ritratto di Gino Paoli: nel libro appare non come un semplice capitolo chiuso, ma come una costante. È l’amore che si è evoluto in fratellanza, l’unico capace di ridere con lei delle assurdità della vita e della vecchiaia. E poi c’è lo spazio per gli incontri intellettuali, come quello con Hugo Pratt, un legame etereo definito “impegnati senza promessa”, fatto di intese silenziose più che di passione.
“Un gigante e uno scricciolo”
È forse questa la frase che riassume l’intera opera. Nelle pagine più intense, la Vanoni affronta i suoi demoni senza cercare compassione. Racconta la depressione non come uno stato d’animo, ma come una vera e propria frattura identitaria che l’ha accompagnata per anni. La “trama” qui diventa psicologica, c’è la diva che deve essere un “gigante” per il pubblico, e la donna che si sente uno “scricciolo indifeso” nel privato.
Questa fragilità emerge prepotente anche nel racconto del suo rapporto con il denaro. Con una sincerità disarmante, ammette di essere stata preda facile per truffatori e approfittatori, pagando a caro prezzo la sua solitudine e il bisogno di essere accudita.
L’ironia come salvezza
Nonostante i temi densi, il libro non è mai pesante. La narrazione è costantemente alleggerita da quella sua ironia involontaria e geniale. Dagli aneddoti surreali sui regali di Strehler ai macchinisti (deodoranti, per “l’odore di fatica”), fino alle considerazioni spietate sul proprio corpo che cambia, Ornella trasforma ogni dolore in una battuta, ogni caduta in un passo di danza. Vincente o perdente è, in definitiva, il racconto di come si impara a stare al mondo accettando di non capirlo fino in fondo.
Il contributo di Pacifico: dare forma al flusso di coscienza
La stesura di Vincente o perdente è frutto di una collaborazione stretta con Pacifico, scelto non come semplice ghostwriter, ma come interlocutore artistico affine. Sfruttando la sua sensibilità di cantautore, Pacifico ha saputo incanalare il proverbiale “flusso di coscienza” della Vanoni, spesso torrenziale e frammentato, all’interno di una narrazione coerente.
Il suo lavoro è stato quello di un sarto invisibile. Ha saputo cucire insieme ricordi e divagazioni, stimolando la memoria di Ornella Vanoni nei punti più dolorosi, ma garantendo che la pagina scritta mantenesse intatto il ritmo, l’ironia e quella musicalità orale che rendeva unica ogni sua conversazione.
L’ultimo inchino ad una donna unica
Oggi che Ornella Vanoni ci ha lasciati, Vincente o perdente smette di essere solo un libro per diventare un’eredità tangibile, trasformandosi in un vero e proprio evento culturale ed emotivo. Non è più soltanto un’autobiografia uscita a maggio, ma l’ultimo grande regalo, quasi premonitore, che l’artista ha voluto fare al suo pubblico. Ci offre l’opportunità di entrare nella sua testa e nel suo cuore un’ultima volta, senza il filtro della ribalta o delle luci di scena.
La sua riscoperta e il successo confermano che ci troviamo di fronte alla celebrazione di una donna unica, ad una grandissima diva della canzone italiana. Leggere queste pagine ora è il modo migliore, forse l’unico possibile, per onorare la sua memoria e partecipare a un rito collettivo. Non c’è tristezza nel testo, ma una vitalità disperata e bellissima che suona come una sfida al tempo.
Come scrive lei stessa verso la fine, la vita va affrontata con la leggerezza di chi è pronto a tutto, anche all’uscita di scena. Con questo libro, Ornella non ci ha detto addio, ma ha posto il sigillo definitivo su un’esistenza inimitabile, insegnandoci ancora una volta come si fa a restare indimenticabili. In questo senso, Vincente o perdente è l’ultima standing ovation che lei si è concessa, e che noi le dobbiamo.
