“Victorian Psycho”, il gotico è tra i 100 migliori libri del 2025 secondo il NYT

28 Novembre 2025

“Victorian Psycho”, entra nella lista dei migliori libri del 2025 secondo il New York Times e apre uno spiraglio alla letteratura gotica moderna. Scopri di più.

“Victorian Psycho”, il gotico è tra i 100 migliori libri del 2025 secondo il NYT

Victorian Psycho” è stato inserito tra i 100 Notable Books of 2025 segnalati dal New York Times Book Review: “Here is the standout fiction and nonfiction of the year, selected by the staff of The New York Times Book Review”. La lista è stata annunciata dall’account ufficiale @nytbooks, e il titolo di Virginia Feito compare tra le uscite dell’anno che hanno colpito la redazione per originalità e forza narrativa. A confermare il momento d’attenzione internazionale, Time ha definito il libro “deliciously macabre”, includendolo tra le letture da non perdere.

Il gotico di Virginia Feito: “Victorian Psycho”

Una casa padronale nell’Inghilterra del 1858, una giovane governante che parla in prima persona e promette al lettore due cose con la calma di chi ha già scelto: ordine assoluto e distruzione. Con “Victorian Psycho” (Mercurio, traduzione di Clara Nubile), Virginia Feito torna a spostare il baricentro del thriller psicologico dentro gli spazi della rispettabilità. Lo aveva già fatto con Mrs. March; qui affila ancora di più il rasoio: il romanzo usa i codici del gotico vittoriano — la grande casa, la padrona, i bambini, le scale, i corridoi, le stanze “giuste” e quelle interdette — per ribaltarne gli usi rassicuranti e chiedere: che cosa succede quando la violenza non arriva da fuori ma coincide con la voce narrante?

Il libro non si limita a “fare il verso” ai classici: li usa come materiale da costruzione. Feito prende l’archetipo della governante (da “Jane Eyre” in poi) e lo scardina dall’interno, lavorando sui dettagli quotidiani: una chiave sottratta, una porta accostata, il ritmo militaresco dei compiti domestici, i sopraccapi morali della padrona di casa, Ensor House come teatro dove il decoro è scenografia e arma. A tenerci lì, pagina dopo pagina, non è tanto il chi farà cosa (Feito suggerisce presto la direzione), ma come la narratrice — Winifred Notty — costruisce e giustifica ogni passo; e quanto il nostro stesso bisogno di ordine finisca per tifare, suo malgrado, per lei.

Di cosa parla?

È la vigilia di Natale del 1858 quando Winifred arriva a Ensor House come governante. Giovane, impeccabile, severa, si impone con una disciplina che pare virtù e invece è controllo. Il suo racconto alterna meticolosità domestica e fenditure improvvise: l’igiene come forma mentis, le punizioni come “pedagogia”, la rigida catalogazione di oggetti e persone, tutto raccontato con una lingua che cerca la perfezione come alibi e come ossessione. Il romanzo mette subito sul tavolo il suo patto: nessuna consolazione psicologistica, nessuna attenuante romanzesca. La narratrice è affidabile nel senso meno comodo del termine: dice il vero su di sé, e quel vero è agghiacciante.

Questa trasparenza di base sposta la suspense: non “chi è il colpevole”, ma “quale cornice morale può contenere ciò che stiamo leggendo”. Feito procede per scarti di tono: l’umorismo nerissimo che intride certe osservazioni di Winifred, il gusto per la frase perfettamente lucidante, l’improvvisa torsione che riporta ogni briciolo di ironia alla sua matrice crudele. Il risultato è un romanzo dove il magnetismo della protagonista ci trascina dentro un dispositivo etico: continuare a leggere significa accettare di condividere la stanza con l’inaudito, e di guardarlo senza abbassare lo sguardo.

La governante fuori cornice: genealogie e rovesciamenti

Il lavoro più interessante del libro è forse genealogico. La governante-eroina ottocentesca, custode di sé, povera ma integra, trova qui un doppio speculare: la governante-psicopatica che rivendica autonomia, ma per esercitare dominio. Feito non demonizza un’astratta “femminilità”; piuttosto indaga un punto cieco della tradizione: quante volte la cura e l’ordine sono serviti a mascherare poteri disciplinari?

Il romanzo porta in superficie l’ombra di Bertha Mason — la “pazza in soffitta” di “Jane Eyre” — e la sposa, con malizia, alla freddezza di Patrick Bateman evocato dai paratesti. Ma a fare la differenza è la scrittura: meno splatter e più clinica, più interessata ai rituali della mente che ai loro esiti scenici.

Il riferimento ai Brontë, spesso usato in sede promozionale, non è decorativo: “Victorian Psycho” non è un pastiche, è un esperimento di controllo del materiale vittoriano. La casa non è un cliché gotico; è una macchina di classe, di genere e di potere. La religione privata della pulizia — che Winifred impone come un sacramento — mostra come l’etica del lavoro e la moralità del decoro possano nutrire violenze “legate in grembiule”. Feito aggiorna così il gotico domestico senza sterilizzarlo: il soprannaturale non serve; bastano la gerarchia e il silenzio.

L’eleganza come arma contundente

Lo stile è l’arma primaria del romanzo. Frasi pulite, un’ironia che non “alleggerisce” ma irrigidisce, una calibratura delle scene che preferisce l’ellisse al compiacimento. Feito evita la pornografia del trauma; la violenza c’è, ma ci arriva come inevitabile conseguenza di una logica che la narratrice rivendica: non per estro, ma per sistema. È un’etica della prosa — più che un’estetica — quella che regge il libro: togliere immagini superflue, non stordire con metafore, lasciare che la precisione faccia male.

Questa scelta paga soprattutto sul piano del ritmo. Gli interni di Ensor House diventano diagrammi mentali; gli spostamenti di Winifred — dal dormitorio dei bambini alla cucina, dalla sala alla nursery — marcano un territorio come farebbe un investigatore. La differenza è che qui il “caso” non è da risolvere ma da eseguire. Chi ama il thriller psicologico troverà la tensione non tanto nell’azione, quanto nella sintassi: una virgola che arriva un attimo dopo, una subordinata che forza l’aria.

Da Mrs. March al nuovo romanzo: la coerenza di una ossessione

Victorian Psycho dialoga apertamente con Mrs. March, il debutto che ha trasformato Feito in un nome da seguire. Lì c’era l’alta borghesia di Manhattan, la paranoia di una moglie che vede in un romanzo del marito un ritratto impietoso di sé, il crollo di una persona “rispettabile” sotto il peso delle proprie maschere. La critica internazionale registrò la qualità del progetto—Book Marks aggregò per Mrs. March un responso complessivo “positivo”, con lodi alla messa in scena della paranoia e alla satira di costume.

Sul versante industriale, Mrs. March ha avuto una rapida corsa verso lo schermo: prima l’annuncio dell’adattamento con Elisabeth Moss e Blumhouse, registrato da Vogue in un profilo che inquadrava il romanzo come “commedia di maniere” ferocemente psicologica; poi, più di recente, l’evoluzione del progetto con A24 e un nuovo cast.

“Victorian Psycho” mantiene la vocazione di Feito per il personaggio inaffidabile che si crede nel giusto, ma cambia completamente ambiente: dai salotti di New York all’Inghilterra vittoriana. Il salto non è solo scenografico; è teorico. Lì l’ironia sulle buone maniere smascherava una violenza borghese; qui la disciplina della cura diventa direttamente violenza, senza intermediazioni. Se Mrs. March giocava sulla frizione tra immagine e realtà, Victorian Psycho elimina la frizione: l’immagine è la realtà, se la si fa rispettare con sufficiente ferocia.

Ricezione e traiettoria internazionale

Già prima dell’uscita italiana, il romanzo è entrato nel radar di grandi testate statunitensi: il New York Times lo ha inserito tra i libri “da tenere d’occhio” nelle sue anteprime, mentre The New Yorker ne ha seguito la traiettoria tra le uscite di narrativa. Non è una “incoronazione” a posteriori, è un segnale di attenzione preventiva su un progetto che mette insieme generi popolari e un nitore stilistico non comune.

Sul versante delle interviste d’autore, Feito ha definito il libro “deliziosamente macabro” in un colloquio con People, spiegando come l’attrazione per i personaggi psicopatici serva a esplorare il confine tra empatia e manipolazione. È utile: porta la discussione lontano dal cliché della “donna mostro” e la riporta sul posto giusto, cioè l’uso narrativo della psicopatia come lente per interrogare il potere.

Dal romanzo al cinema

È già in sviluppo l’adattamento cinematografico per A24, con Margaret Qualley e Thomasin McKenzie in ruoli chiave e la regia di Nathalie Biancheri—un’ulteriore conferma della capacità di Feito di generare mondi visivi con forte presa contemporanea, pur lavorando su contesti storici. Lo ha riportato Deadline in esclusiva.

Ensor House come macchina sociale: classe, genere, obbedienza

Una delle ragioni per cui “Victorian Psycho” convince come romanzo “dopo i romanzi vittoriani” sta nel modo in cui usa gli spazi. La casa padronale non è un semplice scenario gotico; è il diagramma di poteri (economici, morali, domestici) che generano e nascondono violenza. Il pater familias è spesso fuori campo; l’ordine è sorvegliato da donne contro altre donne (la padrona, la governante, le domestiche). Feito ci obbliga a guardare dove la tradizione tendeva a mettere sfondo: la microfisica dei comportamenti.

Winifred struttura il mondo in categorie—purezza, contaminazione, obbedienza, insubordinazione—che ricordano da vicino l’ideologia della rispettabilità vittoriana. L’ossessione per la pulizia non è mania decorativa: è lo strumento attraverso cui stabilire chi merita l’attenzione, chi la punizione, chi la rieducazione.

L’“amore per i bambini” si rivela così una pedagogia crudele: l’affetto come premio all’obbedienza, la cura come dispositivo di controllo. Sotto questa lente, la governante non è un’eccezione patologica; è l’incarnazione estrema di una norma.

Il romanzo eccelle nel far percepire questa continuità tra normalità e orrore senza didascalismi. Non servono comizi, bastano i protocolli: un coltello che deve stare in un cassetto “giusto”, un orario per le preghiere, una tabella di marcia per i pasti. L’orrore si nutre di orari e cassetti.

Etica della rappresentazione: empatia, distanza, responsabilità

Un romanzo in cui la protagonista annuncia presto l’intenzione di nuocere rischia due trappole: la pornografizzazione del male e la sua romanticizzazione. Feito evita entrambe lavorando su tre piani.

  • La voce: Winifred parla in modo fermo, spesso quasi burocratico. L’effetto non è “raffreddare”; è impedire che l’attrazione nasca dal gesto e costringere il lettore a misurarsi con la logica. La domanda diventa: quante delle sue giustificazioni abbiamo già sentito, in quante forme più accettabili?
  • Lo sguardo sugli altri: i personaggi che orbitano intorno a lei non sono figurine. C’è una padrona, ci sono bambini, domestiche, visitatori—tutti restituiti con quanto basta per far capire cosa verrà intaccato. Non ci sono “mostri” sacrificabili; ci sono vite che brillano più o meno per un attimo, a seconda di dove Winifred decide di posare la sua attenzione.
  • Il montaggio: la prosa spezza sul nascere le possibilità di compiacimento estetico. Quando un’immagine rischia di farsi “bella”, un dettaglio pratico la interrompe: una macchia, una lista, una nuova consegna da impartire. È la stessa prosa a ribadire che qui non si fa spettacolo del dolore.

Traduzione italiana e cornice editoriale

L’edizione italiana pubblicata da Mercurio esce con la traduzione di Clara Nubile, mantenendo la nettezza della prosa originale senza irrigidirla in un italiano “d’epoca”. È una scelta cruciale: la lingua di Feito gioca proprio sul contrasto tra il setting storico e la lucidità moderna della costruzione; tradurla in un finto arcaico avrebbe tolto ossigeno.

Mercurio sta costruendo un catalogo molto riconoscibile nel campo del noir/letterario, e la scommessa su Feito è coerente con un’idea di narrativa di genere che non rinuncia alla precisione stilistica. (Dati editoriali e sinossi dell’edizione italiana sono reperibili sul sito dell’editore).

Letture di contesto: dal gotico femminile alla “psychopathy novel”

Collocare “Victorian Psycho” significa anche inserirlo in due linee di tradizione.

Il gotico domestico femminile. Da Jane Eyre a Rebecca, fino a The Turn of the Screw e ai loro discendenti contemporanei, il gotico è spesso una pratica di smascheramento: dietro il decoro, c’è un fuori registro. Feito aggiorna il gesto indicando un “dentro” della violenza: non il fantasma in soffitta, ma la persona che gestisce la soffitta. La casa, da spazio assediato, diventa dispositivo di assedio.

Il romanzo della psicopatia. Da “American Psycho” in poi, la narrativa ha spesso scelto la psicopatia per criticare l’ideologia del successo e del consumo. Feito compie un movimento diverso: prova a rendere comprensibile (non giustificabile) la struttura mentale dell’ossessione. Quando in un’intervista con People parla del confine tra empatia e manipolazione, indica il punto preciso del suo esperimento: costringerci a sentire la logica di Winifred—e a respingerla a mente lucida.

Cosa aggiunge al dibattito contemporaneo

Il romanzo arriva in un tempo in cui libri, serie e film stanno ripensando le figure dell’“angelo del focolare” e della caregiver. La domanda, in controluce, è politica: quante violenze quotidiane passano intatte grazie alla patina dell’utilità, dell’efficienza, della “cura che fa funzionare tutto”? Feito, ambientando la storia nel 1858, evita il pamphlet e preferisce la dimostrazione narrativa: se un sistema scolpisce gerarchie e silenzi, non stupisce che qualcuno usi quegli stessi strumenti per fare il male perfetto.

In questo senso “Victorian Psycho” dialoga bene con un filone di critica sociale che oggi vede nel “management delle vite degli altri” — che sia domestico, aziendale o pubblico — una forma edulcorata di coercizione. Non c’è bisogno di urlare: basta segnalare dove le parole del dovere e del decoro smettono di servire i viventi e cominciano a servire il potere.

Per chi vuole proseguire

Chi volesse leggere il romanzo “da fuori” può trovare due utili sponde nel discorso pubblico che lo ha accompagnato.

  • La stampa anglofona. Il New York Times lo ha segnalato tra i titoli da seguire nelle sue liste mensili e stagionali; The New Yorker e The Guardian ne hanno tratteggiato il profilo, quest’ultimo sottolineando come Feito piaccia a lettori capaci di tenere insieme satira e inquietudine. Queste menzioni dicono soprattutto una cosa: “Victorian Psycho” è percepito come libro “conversabile”, capace di generare interpretazioni laterali.
  • Il cinema. L’annuncio dell’adattamento con A24 (Qualley e McKenzie, regia di Nathalie Biancheri) racconta di un immaginario che il cinema vuole tradurre in immagini. A conferma di una tendenza: l’opera di Feito ha una precisione di sguardo che “chiama” la messa in scena, non perché sia facile, ma perché è già molto visiva senza essere illustrativa.

Se il gotico vittoriano è, per molti, una “stanza di giochi” letteraria, Victorian Psycho la rimette in sicurezza solo dopo aver mostrato dove si nascondeva la sega. La perfezione della casa, la grazia della governante, la saggezza dei compiti quotidiani: tutto concorre a un ordine che non è neutrale. Feito lo sa e lo dice con una prosa ferma, anallergica agli orpelli, che rende Ensor House un luogo mentale prima ancora che narrativo.

È lì che il libro parla al presente: nei protocolli, nei ruoli, nei piccoli imperativi del “così si fa” che riempiono le nostre giornate. Winifred Notty è un mostro, certo. Ma il modo in cui chiama “virtù” il proprio horror somiglia a un campanello di casa: suona, se diamo corrente. E la corrente, oggi come nell’Ottocento, si chiama abitudine.

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