C’è un’isola, nel Golfo di Napoli, che non ha solo ispirato la letteratura italiana del Novecento, ma ne è diventata parte viva, tangibile. Si chiama Procida, ed è lì che Elsa Morante ha ambientato L’isola di Arturo, romanzo uscito nel 1957 e vincitore del Premio Strega, tra le opere più intense e poetiche della nostra narrativa. Non una semplice scenografia, ma un microcosmo in cui l’infanzia, il desiderio, la solitudine e la scoperta si fondono in uno spazio geografico e simbolico unico.
Curiosità su Procida, Elsa Morante e “L’isola di Arturo”: lo sapevi che…
Procida è l’unica isola del Golfo di Napoli a non essere diventata una meta turistica di massa, conservando il fascino autentico delle sue tradizioni.
Elsa Morante soggiornava davvero sull’isola durante la scrittura del romanzo, e parte del manoscritto è stato steso proprio nella zona dell’Eldorado.
Il film tratto dal libro, “L’isola di Arturo” (1962), fu girato interamente a Procida, restituendo in immagini la poesia della scrittura morantiana.
Il romanzo è stato tradotto in numerose lingue, ed è tuttora uno dei più letti tra i classici del Novecento italiano, anche nei licei.
Il finale del libro, in cui Arturo si allontana dall’isola, è stato spesso interpretato come una metafora della fine dell’innocenza e dell’inizio della disillusione adulta.
Elsa Morante e “L’isola di Arturo”: viaggio nei luoghi dell’anima
L’isola di Arturo non è solo un romanzo, ma un luogo reale e immaginato che continua a parlarci. In un tempo in cui si ha sempre fretta di crescere, di andare altrove, di scappare, Morante ci invita a guardare il mondo attraverso lo sguardo di chi, prima di tutto, vuole comprendere sé stesso.
E se anche non possiamo più tornare all’isola della nostra infanzia, possiamo ancora camminare su quella di Arturo, dove ogni sasso, ogni profumo, ogni silenzio, continua a raccontare una storia eterna: quella di diventare umani.
Arturo Gerace, il protagonista, cresce in un mondo chiuso e misterioso, fatto di cieli limpidi, sentieri aspri e promontori che si affacciano sul mare. L’isola, così come la descrive Morante, ha qualcosa di mitico e fuori dal tempo. Ogni scorcio, ogni angolo, ogni casa sembra parlare al lettore, diventando eco dei pensieri del giovane protagonista.
Procida, nella visione dell’autrice, è più che un luogo fisico: è un’isola interiore, uno spazio in cui si riflettono i turbamenti della crescita, l’attesa del padre, il desiderio confuso, la rabbia e la bellezza dell’adolescenza. La villa e la solitudine La casa in cui Arturo vive con il padre è una delle immagini più potenti del romanzo: antica, un po’ decadente, sospesa tra la grandezza del passato e il vuoto del presente.
È lì che il ragazzo si rifugia, esplora, immagina. Le stanze della villa sono come capitoli della sua formazione, mentre dalla terrazza si scruta il mare, simbolo del padre che va e viene, dell’avventura, dell’ignoto.
È una casa che protegge ma che imprigiona, come spesso accade nei romanzi di formazione.
Il porto di Corricella
Un altro luogo ricorrente è il porto di Corricella, oggi tra gli scorci più fotografati di Procida. Nel romanzo, è teatro di attese silenziose e speranze inquiete. Arturo lo percorre spesso, lo abita in silenzio, aspettando che qualcosa, o qualcuno, ritorni.
Morante descrive con rara intensità i momenti in cui il porto diventa simbolo dell’attesa esistenziale, di quell’intervallo tra l’infanzia e l’età adulta che non si può né abbreviare né comprendere fino in fondo.
Terra Murata e il Palazzo d’Avalos
Nel cuore dell’isola si erge Terra Murata, la parte più alta e antica di Procida, con il suo palazzo che per decenni fu anche carcere.
Per Arturo, e per lo sguardo letterario di Morante, quel luogo è un confine. Le mura segnano la separazione tra il mondo conosciuto e quello temuto, tra ciò che si è e ciò che non si può diventare.
Il carcere, simbolo di reclusione, contrasta con il senso di libertà che Arturo cerca, in una dialettica continua tra costrizione e desiderio di evasione.
Vivara
A pochi passi da Procida, collegata da un ponte, si trova l’isoletta di Vivara, riserva naturale e nel romanzo limite estremo dell’esplorazione. Arturo guarda a Vivara come al punto più lontano che si possa raggiungere.
Quel lembo di terra, così vicino ma così difficile da conquistare, diventa l’emblema della soglia: l’ultimo spazio prima di diventare altro, prima di uscire dal bozzolo dell’isola e affrontare il mondo.
Il mare
Ma il vero protagonista di questo romanzo, accanto all’isola, è il mare. Immenso, misterioso, incantato. Il mare è il padre che si allontana, la madre mai conosciuta, la promessa di un altrove.
Arturo ci nuota, lo sfida, lo teme, lo scruta. Ogni avventura ha inizio e fine sul mare. Morante ne fa il cuore pulsante dell’isola, la sua linfa e la sua minaccia, il suo confine e la sua salvezza.
Camminare per le strade di Procida
Camminare oggi per le strade di Procida, visitare Terra Murata, sedersi al porto di Corricella o guardare Vivara da lontano, significa entrare in dialogo con le pagine di L’isola di Arturo.
Il tempo sembra essersi fermato: i colori delle case, i profumi della macchia mediterranea, il silenzio del pomeriggio estivo restituiscono al visitatore le stesse sensazioni di cui Morante ha impregnato il suo romanzo.
Non a caso l’isola è stata nominata Capitale della Cultura nel 2022 e oggi ospita un Parco Letterario dedicato a Elsa Morante, nella zona dove l’autrice soggiornava durante la scrittura del libro.
Un romanzo che è anche un atlante dell’anima Più che un romanzo di formazione, L’isola di Arturo è una geografia sentimentale. Ogni luogo è un sentimento, ogni confine una soglia interiore.
La crescita di Arturo è legata indissolubilmente al paesaggio che lo circonda: quando lascia l’isola, non lascia solo una casa o una terra, ma un pezzo di sé. Il viaggio, come ci insegnano i grandi romanzi, non è mai solo nello spazio. È, soprattutto, un viaggio dentro di sé.