Chi siamo, come appariamo, in cosa ci riconosciamo. Il modo in cui ci vestiamo non è mai stato solo un fatto estetico o funzionale: è sempre stato, da secoli, un linguaggio, una mappa culturale, uno strumento di potere.
Ce lo ricorda Giulia Calvi con il suo libro Vestire il mondo (Il Mulino), uno studio affascinante che intreccia arte, moda, antropologia e politica per raccontare una storia globale degli abiti e dei corpi.
Attraverso album, atlanti e immagini provenienti da Venezia, Parigi, Anversa, Norimberga ma anche dall’Impero Ottomano e dal Giappone, Calvi ci guida in un vero e proprio Grand Tour delle identità vestite, e ci mostra come la cultura visiva abbia costruito una narrazione del mondo a partire dai vestiti.
Curiosità sul libro “Vestire il mondo”
Le immagini dei primi album di costumi stampati a Venezia e Anversa nel Cinquecento, oggi ricercatissimi dai collezionisti.
Le figure orientali reinterpretate dagli artisti giapponesi nei Namban screens, dove i portoghesi vengono disegnati con enormi nasi e abiti sgargianti.
La centralità di Venezia come crocevia di mode, stili e immagini dell’Oriente e dell’Africa.
Il ruolo degli abiti nelle missioni diplomatiche: ambasciatori vestiti in modo teatrale per impressionare le corti straniere.
Gli abiti come oggetto di scambio e merce di lusso che anticipano il concetto di “moda globale”.
Un libro da leggere oggi In tempi in cui la moda è spesso raccontata solo come consumo o tendenza social. Vestire il mondo ci riporta alla sua radice storica e politica.
Ci ricorda che ogni outfit è figlio di una cultura, di un contesto, di una visione. E che guardare un’immagine significa anche riflettere su chi l’ha costruita, con quale scopo e da quale punto di vista.
Questo libro è perfetto per chi ama la moda, ma vuole andare oltre il guardaroba; per chi studia storia culturale o visual culture; per chi si interessa di identità, colonialismo, gender e rappresentazione. Ma anche per chi semplicemente vuole capire come siamo diventati ciò che siamo… anche grazie ai vestiti
Vestire il mondo: come l’abito ci rappresenta, ci esprime, ci fa apparire
Un mondo da leggere attraverso gli abiti Giulia Calvi ci regala un’opera preziosa: Vestire il mondo è un atlante culturale che ci invita a riconsiderare il nostro sguardo, a mettere in discussione l’apparenza e a riconoscere la storia dentro ogni stoffa, ogni colore, ogni piega.
Perché il modo in cui ci vestiamo è sempre una forma di racconto. E questo racconto non ha mai smesso di cambiare il mondo.
Album di costumi: il teatro del mondo vestito
Nel Cinquecento, con l’espansione coloniale e l’invenzione della stampa, nascono i primi “libri di costumi”, raccolte di immagini che mettono in scena i popoli del mondo secondo categorie culturali, spesso esotiche, sempre codificate.
L’abito, in queste opere, diventa metonimia dell’identità: l’altro si riconosce, e si giudica, da come si veste. Ma non si tratta solo di rappresentare: si tratta di costruire.
Queste immagini non si limitano a fotografare ciò che esiste, modellano immaginari, influenzano il modo in cui l’Europa guarda il mondo e, specularmente, il modo in cui gli altri si autorappresentano. Nasce così una moda globale ante litteram, fatta di contaminazioni, appropriazioni, miti e fantasie.
Europa e oltre: la moda come diplomazia e ibridazione
Giulia Calvi allarga il campo: non è solo l’Europa a rappresentare il mondo. Anche l’Impero Ottomano e il Giappone producono atlanti di figure, mescolando la tradizione rinascimentale a modelli locali. In questi contesti, vestire significa mettere in scena il potere, la classe, il genere.
I viaggiatori occidentali tornano con disegni e descrizioni di abiti, ma anche gli artisti orientali reinterpretano lo sguardo europeo. In questa trama si inseriscono missionari, ambasciatori, collezionisti, tutti protagonisti di una circolazione globale di oggetti, stili e visioni. Il risultato è una vera e propria storia transculturale del corpo vestito.
L’abito come dispositivo visivo: corpi, immaginari, stereotipi
Il cuore del libro sta qui: l’abito come strumento di narrazione visiva. Il vestito diventa mappa politica, codice sociale, racconto del sé e dell’altro. Ma anche costruzione di stereotipi, gerarchie, oppressioni.
Le donne, in particolare, vengono rappresentate secondo canoni fissi, esotizzati o idealizzati, riducendo spesso la complessità delle culture a un’apparenza decorativa.
Giulia Calvi ci mostra come dietro ogni album illustrato, dietro ogni “tipo umano” vestito con cura, si celi una visione del mondo . La moda, quindi, non è solo una questione di stoffe, ma di discorsi e potere .